
Curata da Sam Bardaouil e Till Fellrath, la Biennale di Taipei si svolgerà quest’anno dal 1° novembre 2025 al 29 marzo 2026, presso il Taipei Fine Arts Museum, con 54 artisti provenienti da 35 Paesi. Tema di questa nuova edizione? Il desiderio inteso come una forza che si estende attraverso il tempo e la geografia, tra realtà e illusione, appartenenza e migrazione, presenza e assenza. Nelle parole dei curatori, ecco tutte le anticipazioni sulla nuova edizione.
Il tema e gli artisti della Biennale di Taipei 2025
Come avete concepito il tema della Biennale?
Till Fellrath: Il tema, Whispers on the Horizon, è emerso dalla nostra profonda riflessione sulla storia stratificata di Taiwan e sulla sua risonanza con le esperienze umane universali. Il passato del Paese, segnato dal dominio coloniale, dalle identità mutevoli e dalle trasformazioni politiche, funge da toccante sfondo per esplorare il concetto di desiderio. Questo desiderio non è semplicemente tale, ma una forza persistente e irrisolta radicata nella condizione umana.
A cosa vi siete ispirati?
T. F: Ci siamo ispirati a tre oggetti letterari e cinematografici radicati a Taiwan: una marionetta dal film The Puppetmaster (1993) di Hou Hsiao-Hsien, un diario dal racconto My Kid Brother Kangxiong (1960) di Chen Yingzhen e una bicicletta dal romanzo The Stolen Bicycle (2015) di Wu Ming-Yi. Questi oggetti, pur non essendo fisicamente presenti in mostra, fungono da silenziosi marcatori della memoria, incarnando ciò che è stato perso, preso o lasciato indietro. Ci ricordano che il desiderio ha a che fare tanto con l’assenza quanto con la presenza, con ciò che cerchiamo e con ciò che già portiamo dentro di noi. Immergendoci in queste narrazioni, abbiamo voluto creare uno spazio in cui i ricordi personali e collettivi si intersecano, permettendo ai visitatori di riflettere sulle proprie esperienze di desiderio e sulla sua natura universale.

Come avete selezionato gli artisti? Quali aspetti delle loro pratiche vi hanno spinto a sceglierli?
Sam Bardaouil: Il nostro processo di selezione è stato guidato dall’impegno ad amplificare quelle voci che si accordano con il tema del desiderio. Abbiamo dato priorità ad artisti giovani e a metà carriera, con quasi la metà dei 54 partecipanti nati dopo il 1984. Questo approccio garantisce una prospettiva nuova e un approccio dinamico alle tematiche contemporanee. Abbiamo cercato artisti le cui pratiche approfondissero le narrazioni personali e i ricordi collettivi, creando opere sospese fra realtà e illusione, appartenenza e spostamento, presenza e assenza. La loro capacità di scavare in storie profondamente personali, interagendo al contempo con contesti socio-politici più ampi, è stata un fattore chiave nella nostra selezione.
Inoltre, abbiamo posto l’accento su installazioni site-specific e opere di nuova commissione che interagiscono con l’architettura e il contesto del museo. Questo approccio favorisce un dialogo tra le opere d’arte e lo spazio, migliorando l’esperienza immersiva dei visitatori.
Raccontateci i progetti più rappresentativi.
T. F: La mostra presenta 33 opere di nuova commissione e diverse installazioni site-specific. Piuttosto che privilegiare alcune opere rispetto alle altre, consideriamo la Biennale come un paesaggio di voci che si intersecano, ugualmente vitali nell’esplorazione del tema del desiderio. Detto questo, alcune opere si distinguono per la loro profonda interazione con i temi centrali della mostra: la memoria personale, il trauma collettivo, la politica della perdita e la possibilità poetica di recuperare narrazioni dimenticate o oscurate.






La Biennale, il Museo e la città di Taipei
C’è qualche forma di interazione tra opere e ambiente?
T. F: Diversi progetti interagiscono direttamente con l’architettura fisica del Taipei Fine Arts Museum, trasformandone gli spazi in territori emozionali e storici. Altri propongono approcci intimi e diaristici a questioni politiche e ambientali più ampie. Molti artisti hanno creato opere completamente nuove per la Biennale, rispondendo specificamente al contesto sociale e storico di Taiwan. Insieme, questi progetti formano una potente costellazione, ognuno un sussurro che echeggia verso l’orizzonte.
In che modo la Biennale dialoga e coinvolge la città di Taipei?
S. B.: La Biennale è radicata nella città non solo attraverso la sua sede fisica – il Taipei Fine Arts Museum – ma anche attraverso il suo coinvolgimento con le storie, le comunità e i ritmi della città. L’architettura del museo gioca un ruolo cruciale, poiché molte delle opere d’arte sono concepite in dialogo con l’edificio stesso, invitando i visitatori a entrare in contatto con spazi familiari attraverso nuove prospettive. Oltre le mura del Museo, la Biennale si connette alla città attraverso il suo coinvolgimento tematico con il desiderio, la memoria e la transizione – esperienze che rispecchiano quelle di molti abitanti di Taipei. Attraverso programmi pubblici, incontri con artisti e collaborazioni con professionisti locali, miriamo a creare punti di contatto significativi con la comunità più ampia. Taipei non è solo uno sfondo per questa mostra, ma partecipa attivamente al suo sviluppo.
Come descriveresti la scena artistica asiatica contemporanea?
T. F.: La scena artistica in Asia è diversificata, in rapida evoluzione e sempre più influente sulla scena globale. In tutto il continente, gli artisti si confrontano con le complessità della storia, della tradizione, della modernità e della globalizzazione in modi profondamente innovativi. Non esiste un’unica narrazione che definisca l’arte contemporanea asiatica, e questa molteplicità è uno dei suoi maggiori punti di forza. Taiwan, in particolare, svolge un ruolo unico in questo ampio contesto. La sua vivace vita culturale, l’apertura democratica e le narrazioni storiche stratificate la rendono un terreno fertile per la sperimentazione artistica. La scena locale prospera grazie a un equilibrio tra impegno internazionale e specificità locale. Istituzioni come il Taipei Fine Arts Museum e il Museum of Contemporary Art Taipei offrono piattaforme sia per voci emergenti che affermate. Inoltre, molti artisti in Asia stanno forgiando approcci interdisciplinari e collaborativi, confrontandosi con tecnologia, ecologia e questioni sociali in modi che allargano i confini del concetto di arte. Come curatori che hanno lavorato a lungo in diverse regioni, consideriamo l’Asia non come una geografia a sé stante, ma come una rete dinamica di contesti, ognuno con le proprie urgenze e la propria estetica. La Biennale di Taipei riflette questa complessità e interconnettività.
Infine, qual è il desiderio di Taiwan, in questo momento storico?
S. B.: Il desiderio di Taiwan, così come lo intendiamo noi, è allo stesso tempo personale, politico e poetico. È un desiderio di chiarezza di fronte alla complessità, di visibilità di fronte alla cancellazione, di connessione di fronte alla frammentazione. Taiwan anela alla capacità di definirsi secondo i propri termini, al di fuori di narrazioni imposte o vincoli geopolitici. Allo stesso tempo, porta con sé un profondo impegno per il pluralismo, la democrazia e lo scambio culturale. Questo desiderio si manifesta non solo nella sfera politica, ma anche nella vita artistica ed emotiva del Paese. Dalla letteratura e al cinema, dalla musica alle arti visive, c’è un desiderio persistente di confrontarsi con la storia in modo onesto, di commemorare ciò che è andato perduto e di immaginare nuovi futuri. La Biennale è una risposta a questo desiderio: è uno spazio in cui questo desiderio collettivo non viene né risolto né semplificato, ma ha modo di dispiegarsi, sussurrare, risuonare.
In un mondo sempre più plasmato da disconnessione e crisi, il desiderio di Taiwan è anche un desiderio che tutti condividiamo: di significato, di appartenenza, del diritto di sognare oltre i confini della storia. Whispers on the Horizon è sia un riflesso di questo desiderio che un gesto verso il suo futuro.
Niccolò Lucarelli
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