Tunisi: scena artistica vibrante fra arte e architettura

Mostre, gioielli di architettura, restauri e un progetto per omaggiare il lavoro delle tante donne tessitrici nei villaggi di tutto il Paese e le vite stesse, spesso dure e anonime, di queste donne

Fondato nel 2007 da Fatma KilaniLa Boîte è un centro per l’arte contemporanea che si propone come laboratorio di ricerca e sperimentazione a beneficio degli artisti e che offre anche sostegno alla produzione e distribuzione delle loro opere in Tunisia. Dalla collaborazione con Chacha Atallah, dello studio Fleury Atallah Architects di Tolone, è nata la campagna per il restauro e l’apertura al pubblico di Villa Baizeau, il solo progetto di Le Corbusier in Africa.
Costruita fra il 1928 e il 1930 sulla collina Sainte-Monique a Cartagine, oggi un sobborgo di Tunisi affacciato sul Mediterraneo, su commissione di Lucien Baizeau (impresario edile attivo in Tunisia dai primi del Novecento), Villa Baizeau combina l’architettura di una kasbah e la disposizione di una casa tradizionale della medina di Tunisi, rilette però secondo la visione estetica di Le Corbusier. Un progetto all’epoca all’avanguardia in termini di risparmio energetico, perché L’intero edificio è coronato da un solaio in cemento armato, che crea un aspetto leggero sulla facciata e permette l’ombreggiamento degli ambienti interni, come un grande ombrello che protegge l’edificio dal surriscaldamento, mentre dal piano terra al piano superiore lo spazio interno è organizzato senza soluzioni di continuità da una stanza all’altra, creando così una corrente d’aria costante che mantiene freschi gli ambienti. Da notare che Le Corbusier, insieme al cugino e collaboratore Pierre Jeanneret, progettò la villa a distanza, senza cioè essersi mai recato a Tunisi, nemmeno per un sopralluogo preliminare; ma ciò non impedì la nascita di questo capolavoro, anche se il progetto finale ingloba diverse modifiche richiesta dallo stesso Baizeau. I cui discendenti abitarono la villa fino al 1960, quando per volere dell’allora presidente Habib Bourguiba, l’edificio fu incorporato nel sito governativo, per la sua vicinanza al palazzo presidenziale. Da allora la villa e il sito su cui è edificata sono rimasti off-limits per il pubblico locale e per gli amanti dell’architettura, per i quali il misterioso edificio resta di grande interesse. Villa Baizeau rappresenta l’unico progetto architettonico di Le Corbusier nel continente africano.
Chacha Atallah e La Boîte hanno quindi avviata una campagna di sensibilizzazione per il recupero e l’apertura al pubblico della villa, in modo che possa diventare un centro di ricerca sull’architettura, e anche, possibilmente, ospitare mostre d’arte contemporanea.

Dorra Delilah Cheffi, Full moon, 2023. Courtesy Talan l’Expo
Dorra Delilah Cheffi, Full moon, 2023. Courtesy Talan l’Expo

Le mostre su Villa Baizeau

La suddetta campagna si articola anche su due mostre. Villa Baizeau Carthage, Le Corbusier & Jeanneret: Simple Architecture presso l’associazione culturale 32bis, curata dallo storico dell’architettura Roberto Gargiani indaga gli aspetti storici della villa e il rapporto tra Le Corbusier, Pierre Jeanneret e Lucien Baizeau, con un ritratto inedito di quest’ultimo. Esponendo le riproduzioni degli schizzi dei progetti e numerose fotografie d’epoca (conservate alla Fondazione Le Corbusier) la prima parte della mostra fornisce il quadro storico il più completo possibile degli eventi che hanno portato al completamento della villa, approfondendone la concezione, la costruzione e il modo in cui è stata utilizzata nel corso degli anni. Si prevede la presentazione di un’ampia documentazione che dimostri il valore storico della villa, affinché possano essere avviati i passi verso il suo restauro e la trasformazione in opera accessibile. Nella sua seconda parte, la mostra invita 9 architetti a confrontarsi con la Villa e rileggerla secondo vari punti di vista: toccante quello di Sophie Delhay, che ha svolto una ricerca presso i discendenti della famiglia Bazieau, per documentare le loro memorie di inquilini di un tale edificio, testimonianze scritte e fotografiche che riportano la dimensione più intima di uno spazio adesso vuoto e “requisito” dal governo. Ma anche un modo per riflettere, in maniera più generale, su come l’architettura di un edificio possa “plasmare” la vita di chi lo abita e creare uno specifico patrimonio di memorie.
La cappella ottocentesca di Sainte-Monique de Carthage, ospita fino al 16 marzo Only Ruins To Be Found, a cura di Myriam Ben Salah e Aziza Harmel, una mostra che, partendo dalla particolare situazione della Villa Baizeau (che sorge a poche centinaia di metri) riflette sulle conseguenze sociali e politiche della sua inaccessibilità, della nazionalizzazione alla fine degli anni Cinquanta, della sua presenza in un contesto di disagio economico diffuso. Fra pittura, video arte, installazioni, la mostra si dipana come un percorso sulle corde dell’immaginario, anche come metafora di una possibile via allo sviluppo del Paese.
Yesmin Ben Khelil, nel suo grande disegno a pennarello su carta, Je marche tranquillement dans la ville, j’esquive les civils et reste le patron du style (2024), riflette su come la mancanza di adeguate politiche abitative a Tunisi abbia portato alla nascita di “quartieri informali”, dove la vita normale si svolge fianco a fianco con il disagio e la violenza di strada, e il quartiere di Carthage non fa eccezione. Per questo, la grande opera che si ispira alla street art pone l’accento sulla villa che, con il suo potenziale lusso, sorge invece inutilizzata in una zona della città che trarrebbe grande vantaggio dalla sua apertura a scopi culturali. L’installazione sonora di Mohamed HarmelDernier séjour à la Villa Baizeau (2024), in sintonia con la critica post-coloniale della modernità e adattandosi al contesto tunisino, e ispirandosi agli archivi della polizia che vi sono ancora oggi conservati, ha immaginato il racconto di un architetto che, nel mezzo di una guerra nucleare, decide di passare lì i suoi ultimi probabili giorni di vita. Emerge così il carattere “altro” della villa, un luogo di mistero e di fascinazione, con un potenziale positivo ancora tutto da sfruttare. Una metafora della Tunisia, da poco uscita dal vortice della rivoluzione e in piena ricostruzione e sviluppo. 
Nel suo complesso la mostra è interessante, con una raffinata estetica museale nel grande spazio aperto dell’ex cappella, ridipinta completamente di bianco ma che conserva ancora le vetrate colorate originali di fine Ottocento.

Il tessuto nell’arte contemporanea africana

Non solo La Boîte e 32bis: anche l’Ateliers du Centre technique du tapis et du tissage, su iniziativa di Talan l’Expo, incubatore che mira a sostenere e promuovere la creazione contemporanea in Tunisia, è parte della scena artistica tunisina. Fino al 20 marzo 2024 ospita Hirafen, una collettiva di diciannove artisti multidisciplinari che hanno attinto al mondo delle fibre e della tessitura per realizzare un’opera specifica nell’ambito di una residenza di ricerca e produzione sul territorio tunisino, che rende omaggio anche alle migliaia di artigiani che ancora oggi vi sono coinvolti. E proprio per sensibilizzare anche il governo sulla loro progressiva scomparsa, e la mancanza di un archivio di motivi e tecniche tradizionali, la tunisina Sonia Kallel ha ideata Ajar (2023) una monumentale installazione che riproduce un telaio in legno, sul quale è adagiata della seta il cui ricamo ottocentesco è stato riprodotto dall’intelligenza artificiale. Su toni più sociali. Dorra Delilah Cheffi con Full moon (2023), un grande arazzo composto da differenti frammenti di tappeti, ridipinti con colori accesi sotto i quali si percepiscono ancora i motivi tradizionali; uno sfondo su cui campeggiano due grandi figure femminili. Un modo per omaggiare sia il lavoro delle tante donne tessitrici nei vari villaggi di tutto il Paese, ma soprattutto le vite stesse, spesso dure e anonime, di queste donne, i cui diritti di lavoratrici (e non solo) sono spesso calpestati. 
Anche le altre installazioni si muovono sulla linea di raccordo fra la tradizione tessile e le dinamiche della società contemporanea, dall’emergenza ambientale alla necessità di mantenere il patrimonio identitario nazionale che passa anche per l’artigianato, spesso molto vicino, per qualità, all’arte. Una mostra interessante e originale, per avvicinarsi alla cultura locale.

Niccolò Lucarelli

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Niccolò Lucarelli

Niccolò Lucarelli

Laureato in Studi Internazionali, è curatore, critico d’arte, di teatro e di jazz, e saggista di storia militare. Scrive su varie riviste di settore, cercando di fissare sulla pagina quella bellezza che, a ben guardare, ancora esiste nel mondo.

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