Il MoMA è cambiato. Tutte le novità in attesa dell’opening

A pochi giorni dalla riapertura del MoMA, vi portiamo dentro al museo newyorkese oggetto del recente restyling curato dallo studio Diller, Scofido + Renfro con Gensler. Svelando tutte le novità architettoniche e dell’allestimento.

Un MoMA tutto nuovo aprirà le porte il 21 ottobre, dopo quattro mesi di chiusura per ristrutturazione. Con un investimento di 450 milioni di dollari, il restyling del museo fondato nel 1929 comprende un’espansione di oltre 4.000 metri quadrati e un complessivo riallestimento della collezione, come ci aveva raccontato il direttore Glenn D. Lowry. L’intero progetto, avviato nel 2014, aveva visto una prima fase di ristrutturazione dell’edificio preesistente, frutto di un’estensione del 2004 firmata da Yoshio Taniguchi, completata nel 2017. Ora si è conclusa la seconda fase, un ampliamento dell’edificio verso ovest, attraverso un varco alla base del grattacielo progettato da Jean Nouvel a fianco del museo. Il design della nuova ala è stato affidato allo studio Diller, Scofido + Renfro, in collaborazione con Gensler. Come risultato dell’espansione, lo spazio espositivo è aumentato del 30%, dando margine a nuove gallerie per le mostre temporanee e creando nuovi percorsi all’interno della collezione permanente, ora diffusa su una sessantina di gallerie.

L’EDIFICIO

Le novità accolgono il visitatore già all’ingresso su 53rd street, dove il museo ha avuto sede fin dal 1932, con successivi ampliamenti che oggi lo portano a occupare quasi l’intero isolato. L’ultima ristrutturazione ha dotato la vetrata di ingresso di una tettoia in metallo che meglio segnala la presenza del museo, nel contesto di una strada che è un canyon di palazzi austeri e scuri. Con l’ampliamento dell’edificio verso ovest l’ingresso è stato ricentrato e ora, entrando nella lobby ‒ che, come nella precedente conformazione, è rimasta uno spazio neutro e vuoto ‒, il visitatore puà di dirigersi verso il giardino e la scala principale a est, oppure andare a sinistra, addentrandosi così nel museo passando dalla nuova ala. Qui il piano terra si apre verso il basso per accogliere il nuovo gift shop, un ampio spazio dall’aspetto patinato e vagamente anonimo.

MoMA, New York. All’ingresso della nuova ala il visitatore viene salutato dall’opera di Haim Steinbach. Photo Maurita Cardone

MoMA, New York. All’ingresso della nuova ala il visitatore viene salutato dall’opera di Haim Steinbach. Photo Maurita Cardone

HELLO. AGAIN.

In occasione della riapertura, i visitatori che entrano da questo lato del museo vengono salutati da una grande scritta che campeggia, nero su bianco, sulla parete: Hello. Again., opera del 2013 dell’artista americano di base a New York, Haim Steinbach. Le due gallerie al piano terra della nuova ala sono a ingresso libero e si affacciano sulla strada attraverso grandi vetrine che mettono in relazione lo spazio del museo con l’esterno e la città, testimoniando la volontà del MoMA di non essere (o non essere più) una fortezza dell’arte isolata dal resto del mondo.
Da qui si può proseguire il percorso partendo dall’interno del nuovo edificio, collegato al vecchio attraverso ampi varchi di metallo scuro, ispirati al design di Taniguchi. Ma se si vuole visitare il museo secondo una logica storica, bisogna tornare nell’atrio e seguire il percorso principale, salendo ai piani superiori dalla “vecchia” scala centrale e poi proseguendo con le scale mobili fino al quinto piano. Una deviazione al sesto e ultimo piano al momento consente di vedere una mostra dedicata a undici artisti viventi o di prepararsi alla lunga marcia nella storia dell’arte moderna con una dose di caffeina nel nuovo caffè con terrazza.

LA PERMANENTE 1880-1940

È al quinto piano che si comincia a esplorare la collezione del museo. Organizzate in ordine cronologico, seppure non rigoroso, le varie gallerie si concentrano ognuna su un tema, un momento, un mezzo espressivo, una tendenza o il lavoro di uno specifico artista. Si inizia dal periodo 1880-1940, cui è dedicato l’intero piano. L’ingresso alle gallerie è anticipato da una efficace installazione delle opere di Constantin Brâncuși che occupano lo spazio con minimale eleganza. Insieme ai loro Van Gogh, Monet, Matisse e Picasso, le 24 gallerie che seguono saranno prevedibilmente quelle che attireranno le folle più numerose. Ma se finora il visitatore in cerca de Les Demoiselles d’Avignon arrivava a destinazione attraversando le grandi correnti dell’Ottocento europeo che hanno fatto da incubatore al Cubismo, nel nuovo MoMA incontrerà una delle più famose tele di Picasso circondata da opere di artisti provenienti da un contesto culturale, geografico e storico diverso.

MoMA, New York. La stanza New Monuments, con opere di Barbara Chase-Riboud, Lynda Benglis e Louise Bourgeois. Photo Maurita Cardone

MoMA, New York. La stanza New Monuments, con opere di Barbara Chase-Riboud, Lynda Benglis e Louise Bourgeois. Photo Maurita Cardone

PERCORSI INEDITI, LETTURE NON CONVENZIONALI

Secondo la nuova filosofia curatoriale del museo, infatti, la collezione sarà periodicamente reinstallata, in modo da creare percorsi inediti e letture non convenzionali dei capolavori della storia dell’arte. Nell’allestimento di riapertura, ne è un sorprendente esempio proprio l’accostamento de Les Demoiselles (1907) con la brutale scena rappresentata dall’artista afroamericana Faith Ringgold nei pannelli di American People Series #20: Die, del 1967. E a sorprendere non è soltanto la prossimità tra artisti, stili e movimenti diversi, ma anche la studiata intersezione tra discipline. Allontanandosi dalla tradizione del museo enciclopedico, il MoMA crea percorsi in grado di riconnettere le diverse forme espressive all’interno di una visione sintetica dell’arte. Così, tra una stanza in cui si è avvolti dalle Ninfee di Monet e una in cui si passeggia tra i Léger e i Mondrian, il visitatore può temporaneamente uscire dal bidimensionale per esplorare oggetti e ambienti di design o fare un’incursione nella realtà, nei diversi ambienti dedicati alla fotografia. L’aumento dello spazio e la centralità riservata a entrambe queste discipline, troppo a lungo rimaste in ombra, è uno degli elementi di maggiore novità del ripensato allestimento.

LA PERMANENTE 1940-70

Al quarto piano la collezione continua, riprendendo il percorso cronologico dal 1940 e arrivando fino agli Anni Settanta. Qui troviamo le opere più iconiche della collezione del MoMA, quelle su cui l’istituzione newyorchese ha costruito la propria identità. Come con Brâncuși al piano superiore, anche qui prima di entrare nelle gallerie si attraversa una sala vetrata, affacciata sulla strada, intitolata New Monuments, in cui sono allestite opere di Barbara Chase-Riboud, Lynda Benglis e Louise Bourgeois. Entrando nelle gallerie, ci si ritrova negli anni a ridosso della Seconda Guerra Mondiale, quando gli artisti europei fuggivano da un continente dominato dai totalitarismi e gli artisti americani si aprivano alle influenze provenienti dal resto del mondo. Tra un Gorky e un Tanguy, compaiono nomi a lungo ignorati dalla storia come Wols o Henri Michaux. Uno dei meriti del nuovo allestimento è infatti quello di riuscire a ridare un posto nella storia a tanti artisti che, difficili da ricondurre a una precisa corrente, sono stati ignorati, incompresi o costretti in categorie incapaci di dare conto della complessità delle loro creazioni.

MoMA, New York. L’esterno dell’edificio sulla 53rd Street. Photo Maurita Cardone

MoMA, New York. L’esterno dell’edificio sulla 53rd Street. Photo Maurita Cardone

ANCHE UN OMAGGIO ALLA CULTURA AFROAMERICANA

A seguire una delle gallerie più inaspettate di questo nuovo MoMA, dal titolo In and Around Harlem, dove si fa spazio ad artisti che hanno trovato ispirazione nelle strade e nella collettività del quartiere più settentrionale di Manhattan. Si tratta di un a lungo dovuto omaggio all’arte e alla cultura afroamericana, che ha avuto un’influenza tanto profonda quanto poco riconosciuta sulla produzione artistica statunitense del Novecento. Una delle pareti della galleria è interamente dedicata a una serie di piccole tele dipinte da Jacob Lawrence tra il 1940 e il 1941. Sono trenta dei sessanti dipinti che compongono la Migration Series, che racconta l’esodo della popolazione afroamericana dalla campagna verso le città durante e dopo la Prima Guerra Mondiale, quando la richiesta di manodopera nelle fabbriche diede impulso a una migrazione di massa. Nella stessa stanza troviamo fotografie di Helen Levitt che ritraggono la vita per le strade di New York negli Anni Quaranta.

I CAPOLAVORI DELL’ARTE AMERICANA

Proseguendo nel labirinto di gallerie ci si immerge in una successione di capolavori che hanno dato all’arte americana un posto nei libri di storia. Serra, Rothko, Pollock, Rauschenberg, Warhol, Flavin: sono i nomi che ci si aspetta di vedere sulle pareti del MoMA. Eppure l’allestimento riesce a renderli nuovi e a dare loro un respiro che l’installazione precedente non aveva. Sfruttando non soltanto le pareti perimetrali, ma creando anche divisioni interne alle gallerie, i curatori riescono a creare traiettorie che consentono una visione d’insieme di uno dei periodi più vivaci della storia dell’arte statunitense, mentre evidenziano l’unicità di ognuna delle voci che compongono il coro. Conclude il percorso del quarto piano una stanza all’interno del nuovo edificio chiamata Studio, attrezzata per performance e installazioni multimediali e interattive, che al momento ospita Rainforest (Variation 1) (1973-2015), installazione sonora con materiali di scarto, ideata da David Tudor e realizzata da Composers Inside Electronics Inc.

LA PERMANENTE: 1970-OGGI

L’esplorazione della collezione permanente continua al secondo piano, dedicato agli anni successivi ai Settanta. E anche qui i pezzi grossi non mancano. L’ingresso alle gallerie avviene dall’iconico atrio/piazza che in passato ha ospitato alcune delle più spettacolari installazioni del MoMA. Per la riapertura, questo spazio è stato riservato alla giocosa installazione Handles, commissionata per l’opening alla coreana Haegue Yang: suoni, luci e geometrie creano un ambiente che il visitatore è libero di esplorare e scoprire al proprio ritmo. Poi comincia un percorso che, partendo da una serie di fotografie di Cindy Sherman, stabilisce il tono di un momento storico in cui la cultura mediatica entra di prepotenza nel mondo dell’arte. La sala incentrata su un’enorme opera su carta di Keith Haring e su una delle famose teste di Basquiat racconta la New York degli Anni Settanta e Ottanta, attraversata da un impulso di cambiamento e libertà spesso guidato dalle fasce della popolazione più emarginate. Nelle sale che seguono trovano ampio spazio le infinite sperimentazioni di anni caratterizzati dalla ricerca di nuovi mezzi espressivi e da una commistione tra i generi che da allora in poi non avrebbe più abbandonato la scena dell’arte. Una stanza è interamente dedicata a Dumping Core, video installazione di Gretchen Bender composta da tredici televisori che aggrediscono lo spettatore con suoni e immagini rappresentativi di una cultura mediatica sempre più pervasiva e allo stesso tempo dall’infinito potenziale.

MoMA, New York. Il nuovo Studio dedicato alle arti performative ospita Rainforest (Variation 1) (1973–2015), installazione sonora con materiali di scarto, ideata da David Tudor. Photo Maurita Cardone

MoMA, New York. Il nuovo Studio dedicato alle arti performative ospita Rainforest (Variation 1) (1973–2015), installazione sonora con materiali di scarto, ideata da David Tudor. Photo Maurita Cardone

LARGO ALLA DONNE

Con questa installazione, come con le tante altre opere firmate da donne che hanno trovato spazio in questo nuovo allestimento, il MoMA sembra voler finalmente dare una risposta alle tante voci di critica che, fin dai tempi delle provocazioni delle Guerrilla Girls, hanno additato la cultura patriarcale dominante nelle principali istituzioni museali mondiali. Forse la collezione del MoMA ha sempre avuto tutte queste donne in catalogo, ma è la prima volta che la loro presenza e le loro voci sembrano aver conquistato uno spazio adeguato alla forza della propria arte, all’interno di un percorso di visita che per troppo tempo è stato guidato da voci maschili.

UN MOMA PIÙ INCLUSIVO

La presenza femminile non è l’unica a essersi ritagliata un rinnovato spazio nell’ultimo allestimento. In generale la collezione del MoMA sembra improvvisamente più ricca di sfumature culturali, etniche, identitarie e la narrazione che ne deriva appare più complessa. Abbandonata una visione progressista della storia, incapace di includere tutto ciò che si distanzi dalla direzione prevalente di un’epoca, il museo newyorchese sembra aver sposato un atteggiamento olistico, ma ha dimostrato allo stesso tempo di volere e potere recuperare, dal grande calderone mistificatorio della storia, le identità e le unicità di artisti riduttivamente considerati “minori”, se non marginali.
A rafforzare questa ventata di novità e inclusività sono state anche le nuove acquisizioni con cui il museo ha voluto accompagnare l’inizio di questa nuova pagina della sua storia, tra cui molte opere provenienti da Africa, Asia e Sud America, oltre che lavori di artisti afroamericani. Il MoMA oggi è un museo che, più che in passato, è in grado di riflette la complessità di un mondo globalizzato in cui i conflitti sociali nascono spesso dall’incapacità di riconoscere la diversità come valore. Dichiaratamente work in progress, il nuovo MoMA aspira a una flessibilità che non è mai appartenuta ai grandi musei occidentali e che c’è già chi teme possa confondere e disorientare il pubblico. Ma se nei musei non si va solo per instagrammare il Van Gogh di turno ma anche per esplorare esperienze diverse del mondo che ci circonda, allora ben venga la confusione, parte essenziale di ogni esperienza di crescita.

Maurita Cardone

https://www.moma.org/

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Maurita Cardone

Maurita Cardone

Giornalista freelance, abruzzese di nascita e di carattere, eterna esploratrice, scrivo per passione e compulsione da quando ho memoria di me. Ho lavorato per Il Tempo, Il Sole 24 Ore, La Nuova Ecologia, QualEnergia, L'Indro. Dal 2011 New York è…

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