Capolavori metafisici. Al Center for Italian Modern Art di New York

CIMA dedica una mostra all’estetica metafisica e ai suoi protagonisti, delineando le molte sfumature di una tendenza artistica complessa.

In Italia la prima fase del Futurismo si andava concludendo, mentre in Europa il Cubismo iniziava a trasformarsi e a “ricomporre” il reale. Erano gli anni a ridosso della Prima Guerra Mondiale e iniziava ad apparire chiaro che anche le scelte estetiche avevano un significato politico, gli artisti dovevano schierarsi. In questo clima nacque e si sviluppò un movimento artistico che, per anni considerato minore, fu in verità strumentale alle evoluzioni dell’arte italiana ed europea del dopoguerra, la Metafisica.
Proprio per riconoscerne il ruolo cruciale, il Center for Italian Modern Art di New York ha voluto dedicare la mostra della stagione 2018-19, la sesta per il centro studi con sede a Soho, a questo movimento (che, come vedremo, movimento non fu). Metaphysical Masterpieces 1916-1920: Morandi, Sironi and Carrà è presentata dal CIMA in collaborazione con la Pinacoteca di Brera e curata dal direttore di quest’ultima, James Bradburne, con il coinvolgimento della fondatrice del CIMA, Laura Mattioli. Si tratta della prima collaborazione e della prima mostra di gruppo per il CIMA che, dalla sua creazione nel 2013, ogni anno sceglie un autore del Novecento italiano su cui concentrare le attività di ricerca e a cui dedica una retrospettiva che resta in mostra per otto mesi.
Quando si pensa alla Metafisica si tende a pensare solo a de Chirico”, ha dichiarato Laura Mattioli in occasione della conferenza stampa di apertura della mostra, “ma la Metafisica è in realtà un movimento molto più ricco e complesso e ha avuto un’influenza più profonda di quello che si potrebbe pensare”.
Senza voler negare il ruolo e l’influenza di Giorgio de Chirico sui suoi contemporanei, la mostra gli rende anzi omaggio e ne sottolinea il ruolo di progenitore, aprendo proprio con una sua opera, l’unica esposta: Interno metafisico (Con piccola officina) (1917), quadro che, per temi, colori e composizione formale, è stato punto di riferimento e propulsore di nuove idee per gli altri autori qui presentati.
De Chirico non è nuovo agli spazi del CIMA, che a lui ha dedicato la mostra della stagione 2016-17, mettendo in dialogo le sue opere con quelle del più giovane Giulio Paolini. Ma se de Chirico è, appunto, il padre della Metafisica, Sironi, Morandi e Carrà non si sono limitati a seguire le sue orme, ma ne hanno reinterpretato l’estetica, sviluppando un proprio personale stile e un proprio modo di fare Metafisica.

CARLO CARRÀ

Lo si osserva lungo l’intero percorso espositivo, a partire dai primi lavori metafisici di Carlo Carrà, esposti negli spazi di ingresso della galleria, come L’Idolo ermafrodito, opera del 1917, anno in cui Carrà incontrò il più giovane de Chirico nell’ospedale militare per malattie nervose di Ferrara, dove erano entrambi ricoverati. Carrà, già noto in Italia, veniva dal Futurismo ma era in piena crisi artistica, pentito dell’iniziale appoggio al fascismo e traumatizzato dall’esperienza di guerra. Mentre si distanziava dall’estetica del nuovo e della velocità, l’artista guardava a Giotto e a Henri Rousseau e, nei soggetti dipinti da de Chirico, trovò un’estetica più riflessiva, distaccata dalla tormentata attualità. In quest’opera, una figura dalle fattezze di manichino, troppo grande per la stanza che occupa, nasconde una mano dietro la schiena e con l’altra compie un gesto di matrice giottesca, il gesto dell’angelo annunciatore: è l’artista che si fa messaggero ma anche custode di segreti e simbolo dell’enigmaticità della vita.
Si tratta di una sorta di autoritratto, è Carrà che riflette su cosa debba essere un artista nel contemporaneo”, ha detto Antonio Fiore guidando i giornalisti lungo il percorso espositivo: come da tradizione del CIMA, infatti, a raccontare la mostra durante l’anteprima per la stampa è stato uno dei fellow, ospite del centro per il semestre in corso.
Un ulteriore sguardo sull’artista e il suo ruolo Carrà lo offre in un’altra delle sue opere, L’Amante dell’ingegnere (1921), dove l’ingegnere è forse l’artista stesso e l’amante una testa di gesso sospesa tra sogno e realtà. In questo quadro, che chiude il periodo metafisico di Carrà, compaiono alcuni degli oggetti iconici della Metafisica, come il compasso e il righello, ma ogni spiegazione troppo letterale comprometterebbe l’enigma racchiuso nell’estetica di un autore che sposò la Metafisica alleggerendola dagli eccessi di intellettualismo di de Chirico e, pur attingendo dalla mitologia e dalla filosofia, restò su un piano onirico di delicata ambiguità.

Giorgio Morandi, Natura morta, 1918, olio su tela, 68,5 x 72 cm, Pinacoteca di Brera, Milano, Courtesy of MiBAC (c) 2018 Artists Rights Society (ARS), New York / SIAE, Roma

Giorgio Morandi, Natura morta, 1918, olio su tela, 68,5 x 72 cm, Pinacoteca di Brera, Milano, Courtesy of MiBAC (c) 2018 Artists Rights Society (ARS), New York / SIAE, Roma

MARIO SIRONI

Ancora diversa è l’interpretazione che della Metafisica troviamo in Mario Sironi, che aveva abbracciato alcuni dei temi cari al movimento già nel periodo futurista e che, prima e durante la guerra, continuò ad attingere da entrambi gli stili e a mescolarne forme e contenuti. Nelle opere di Sironi, esposte nella galleria sud dello spazio del CIMA, compaiono manichini, rarefatti paesaggi urbani ed enigmatiche geometrie, soggetti ricorrenti nella Metafisica ma qui calati in una realtà più umana e a tratti drammatica. Ne La Venere dei porti (1919) la concretezza della realtà appare non soltanto nella scelta del soggetto, una prostituta dalla figura imponente, ma anche nell’utilizzo della carta di giornale con cui l’artista compone il collage che disegna le figure sulla destra del quadro. Così come ne Il camion giallo (1918), il geometrico contesto urbano fa da contrappunto al camion giallo in primo piano, elemento di viva modernità futurista che tuttavia appare immobile, fermo a un incrocio vuoto, bloccato da chissà cosa.
Alle opere di Giorgio Morandi è dedicata la sala principale del Center for Italian Modern Art, in un percorso espositivo in grado di evidenziare le influenze metafisiche sull’opera del pittore noto per le sue nature morte. Anche Morandi non è nuovo al CIMA, che a lui ha dedicato la stagione 2015-16, ma le opere scelte per questa esposizione sono quelle che raccontano l’avvicinamento dell’artista bolognese a una Metafisica di cui sembra accogliere l’estetica formale più che i contenuti, restando lontano dai simbolismi di altri autori riconducibili al movimento. Nei quadri che coprono il triennio 1916-19, Morandi sceglie linee incisive, superfici e colori ben definiti, geometrie che sfiorano l’astrazione. Se alcuni dei soggetti ricorrenti nella metafisica compaiono nei lavori di Morandi, come per esempio i manichini, sembra che lo facciano per ragioni prevalentemente compositive. Tuttavia, è proprio nella composizione formale e nella scelta dei soggetti che sta la metafisica di Morandi: nelle sue nature morte, oggetti della vita quotidiana vengono rappresentati in spazi delimitati, rimossi dal proprio contesto e separati dalla propria funzione, evocando un’esistenza fuori dallo spazio-tempo, in cui il mistero è nell’essenza stessa. “Per Morandi non c’è niente di più astratto e surreale che la realtà stessa. Dobbiamo arrenderci al potere suggestivo della realtà”, ha spiegato Antonio Fiore. E se in alcuni quadri, come Natura morta con palla (1918), l’influenza metafisica è più evidente, in altri, come Fiori (1918), si avverte quasi uno scontro tra un reale ordinato e rarefatto e una vita scomposta e organica.

Installation view of works by Mario Sironi in “Metaphysical Masterpieces: Morandi, Sironi, and Carrà” at the Center for Italian Modern Art. Photo Dario Lasagni

Installation view of works by Mario Sironi in “Metaphysical Masterpieces: Morandi,
Sironi, and Carrà” at the Center for Italian Modern Art. Photo Dario Lasagni

IDENTITÀ METAFISICA

Se il gruppo di artisti qui in mostra presenta indubbiamente una qualche omogeneità, l’esposizione del CIMA evidenzia allo stesso tempo come non sia facile né scontato parlare di Metafisica in quanto corrente o tantomeno movimento. Lo dimostra anche la sua genesi: la mostra propone uno sguardo sulle basi teoriche della Metafisica esponendo, negli spazi della cucina della casa-galleria, alcune copertine delle riviste I.I.I. ‒ Le Industrie italiane (1920) e Valori Plastici (1918-1920). Sul primo numero di quest’ultima de Chirico pubblicò il poema Zeusi l’esploratore che viene considerato il manifesto della pittura metafisica. Ma, ha raccontato Fiore, “nel poema l’artista proclamava: vogliamo vedere lo straordinario nell’ordinario. Parlava al plurale, ma non c’era un noi, la Metafisica non è un movimento e non lo fu mai”.
Come ha spiegato Laura Mattioli, è forse il momento storico a fornire, più di ogni altra cosa, i confini di questo momento artistico: “All’inizio della Prima Guerra Mondiale, molti artisti erano in favore dell’intervento italiano ma, negli anni successivi, quando la guerra mostrò il suo vero volto, gli artisti si allontanarono dai temi e gli stili del Futurismo cercando nuovi linguaggi”. E allora, se di un’identità metafisica si può parlare, questa è forse proprio nel controcanto del Futurismo, nella fuga da una realtà diventata troppo reale.

Maurita Cardone

New York // fino al 15 giugno 2019
Metaphysical Masterpieces 1916-1920: Morandi, Sironi, and Carrà
CENTER FOR ITALIAN MODERN ART
421 Broome Street
www.italianmodernart.org

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Maurita Cardone

Maurita Cardone

Giornalista freelance, abruzzese di nascita e di carattere, eterna esploratrice, scrivo per passione e compulsione da quando ho memoria di me. Ho lavorato per Il Tempo, Il Sole 24 Ore, La Nuova Ecologia, QualEnergia, L'Indro. Dal 2011 New York è…

Scopri di più