William Kentridge e il teatro. A Madrid

Un’esposizione si converte in un evento culturale quando presenta al pubblico, in maniera approfondita e dettagliata, il percorso di un artista, contemporaneo o del passato non importa, mostrando con rigore scientifico i diversi aspetti della sua creazione, senza dare nulla per scontato. Il sudafricano William Kentridge (Johannesburg, 1955) è senza dubbio assai noto, in Italia […]

Un’esposizione si converte in un evento culturale quando presenta al pubblico, in maniera approfondita e dettagliata, il percorso di un artista, contemporaneo o del passato non importa, mostrando con rigore scientifico i diversi aspetti della sua creazione, senza dare nulla per scontato.
Il sudafricano William Kentridge (Johannesburg, 1955) è senza dubbio assai noto, in Italia come nel resto del mondo. Lo confermano la sua presenza a Biennali, Manifesta e Documenta, così come il meraviglioso e purtroppo vandalizzato fregio, l’intervento site specific sul lungotevere romano, o le sue grandi ma fragili sculture nere ‒ The procession of reparationits ‒ nel cortile delle OGR di Torino, aperte recentemente al pubblico.
Dagli Anni Novanta a oggi, l’artista bianco sudafricano lancia, attraverso linguaggi e discipline diversi ‒ dal disegno alla scultura, dal collage alla performance, dal cinema alla videoinstallazione ‒ il suo messaggio politico e sociale, connotato da una forte critica alla vicenda storica dell’Apartheid.
La Spagna ha da poco tributato a Kentridge il Premio Princesa de Asturias per le arti e per l’occasione il Reina Sofia offre una splendida retrospettiva, allestita con grande cura dallo stesso artista, con interventi site specific di forte impatto e con la consulenza scientifica di Soledad Liaño, conservatrice del museo.

William Kentridge. Basta y Sobra. Exhibition view at Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia, Madrid 2017. Photo Joaquín Cortés_Román Lores

William Kentridge. Basta y Sobra. Exhibition view at Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia, Madrid 2017. Photo Joaquín Cortés_Román Lores

KENTRIDGE A TEATRO

È la prima volta, però, che in un museo si esplora l’attività teatrale di William Kentridge, in veste soprattutto di scenografo e costumista, ma anche talvolta di regista. La scelta di analizzare nel dettaglio tre spettacoli di prosa e quattro allestimenti lirici è in realtà solo il punto di partenza per conoscere da vicino, e per apprezzare, le diverse fasi del processo creativo di Kentridge, visto nella sua profonda complessità.
Da giovane iniziai con il disegno, poi fui attratto dal teatro, e infine passai al cinema”, racconta lo stesso artista durante la presentazione della mostra a Madrid. “Mi resi conto però che in nessuna di queste discipline riuscivo a eccellere. Fu così che capii che solo mischiandole e mettendole in relazione tra loro ero in grado di esprimere l’essenza della mia arte”. Ecco che, fin dai primi esperimenti con i disegni animati anacronistici, in bianco e nero, e gli spettacoli teatrali con le compagnie di marionette sudafricane (come l’ormai celebre Handspring Puppet Company), Kentridge si converte in un autentico artista multidisciplinare.
In Woyzeck on the Highveld (1992), Faustus in Africa! (1995) e Ubu and the Truth Commission (1997) l’intervento di Kentridge sul teatro di prosa in Sudafrica si sviluppa lungo tre costanti: la scelta di testi del repertorio occidentale del passato; la ricerca di drammi con un solo protagonista e che si svolgano in contesti storici e politici precisi, ma lontani, intorno ai quali tessere un’analisi più complessa; e una forte connessione con il teatro dell’assurdo. Ogni volta, dunque, il testo originale viene reinterpretato in maniera personale, adattando il copione alle vicende storiche del Sudafrica. Woyzeck di Buchner si trasforma in un operaio negro; il goethiano Faust viaggia per le capitali africane e diviene simbolo del colonialismo (il male, il diavolo); l’humor grottesco di Ubu (da Alfred Jarry), in scena dopo la fine dell’Apartheid (1994), è il pretesto scanzonato per denunciare la crudeltà di tanti casi di violazione dei diritti umani.

ALLA PROVA DELL’OPERA

Nel caso degli spettacoli d’opera, Kentridge si lascia coinvolgere in allestimenti dove la drammaturgia permette lo sviluppo di progetti più ampi e prolifici, nei quali si possano inserire spunti politici e sociali, con evidenti rimandi all’attualità. Il ritorno di Ulisse in patria (1998) ‒ versione ridotta dell’opera di Monteverdi messa in scena a Bruxelles, per marionette e cantanti lirici ‒ mostra un Ulisse fragile e vulnerabile, al centro dell’analisi dei dottori di un teatro anatomico illuminista. È soprattutto però nel Naso di Dimitri Sciostakovic (Metropolitan di New York , 2010), nella Lulu (Met, 2013) e nel Wozzeck di Alban Berg (Festival di Salisburgo, 2017) che l’artista incide nella complessità dell’opera attraverso l’uso di grandi video, figurini per i costumi e multipli disegni di scena per ampliare gli orizzonti del dramma originario e sottolineare il senso politico dell’opera, oltre i riferimenti spazio-temporali.

William Kentridge. Basta y Sobra. Exhibition view at Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia, Madrid 2017. Photo Joaquín Cortés_Román Lores

William Kentridge. Basta y Sobra. Exhibition view at Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia, Madrid 2017. Photo Joaquín Cortés_Román Lores

GRAFICA IN BIANCO E NERO E PAESAGGI IN SCENA

La selezione di una copiosa quantità di materiale di archivio ‒ molto anche inedito e proveniente dallo studio di Kentridge a Jonannesburg ‒ ha permesso di ricostruire il processo globale di preparazione di ogni spettacolo, svelando la forte complementarità, l’essenza trasversale del suo discorso intellettuale e i costanti rimandi estetici e iconografici fra un lavoro e l’altro, annullando l’ordine cronologico della creazione ed eliminando la barriera tra i generi. Le diverse forme plastiche che con disinvoltura maneggia l’artista si retro-alimentano fra loro, convivendo in maniera simultanea in una o più opere sceniche o filmiche, tanto da rendere necessario conoscere l’una per capire l’altra, e viceversa. Su tutto dominano come sempre la grafica in bianco e nero e la performance, non più solo implicata direttamente nella fase creativa di un’opera scenica, ma come complemento fisico del processo cerebrale del disegno.
Per meglio riflettere sulla critica storica, politica e sociale del suo Paese, l’artista s’addentra nell’immagine del paesaggio tradizionale sudafricano, smontando il topico idilliaco del colonialismo e mostrando con crudezza i segni dell’oppressione umana sulla natura più desolata. Da non perdere la sezione dedicata ai disegni della serie Colonial Landscapes, opere di medio formato a carboncino che ricorrono anche sullo sfondo dei suoi video e come scenari delle opere teatrali.
I disegni a tinta cinese su foglio di giornale per Lulu, gli innumerevoli bozzetti tridimensionali per i costumi e i personaggi del Naso, le grande marionette ii legno per Woyzeck e le straordinarie maquettes di scena sono solo alcune delle meravigliose curiosità in mostra.
Da vedere da capo a fondo, magari anche due volte, Right into her arms, videoinstallazione del 2016, pezzo unico proveniente da collezione privata. Creato utilizzando materiale “di scarto” di Lulu, il Naso e altri lavori precedenti, è un teatrino semovente su cui scorrono video assemblati con il ritmo e la fantasia anacronistica di una slap stick comedy del cinema muto. Un omaggio all’arte del collage e a Kurt Schwitters, con tinte surrealiste.

Federica Lonati

Madrid // fino al 18 marzo 2018
William Kentridge
MUSEO REINA SOFIA
Calle Santa Isabel 52
www.museoreinasofia.es

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Federica Lonati

Federica Lonati

Federica Lonati (Milano, 1967), giornalista professionista italiana, dal 2005 vive a Madrid. Diploma al Liceo Classico di Varese e laurea in Lettere e Filosofia all’Università Cattolica di Milano, si è formata professionalmente alla Prealpina, quotidiano di Varese, scrivendo di cronaca,…

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