Romaeuropa Festival. Intervista a Guy Cassiers
Il regista di origine belga torna nella Capitale con una messa in scena che prende le mosse da un romanzo controverso. Una rilettura dell’Olocausto dal punto di vista del colpevole. Tutti i dettagli in questa intervista. Mentre lo spettacolo è in cartellone al Teatro Argentina l’8 e 9 ottobre.
Guy Cassiers (Anversa, 1960) è noto al pubblico internazionale per le sue innovative messe in scena dei grandi classici della letteratura europea: da Tolstoj a Shakespeare, Proust, Pouckhine, Musil, Duras. Dopo aver presentato al Romaeuropa Festival Sunked Red, dal romanzo di Jeroen Brouwers, e Orlando di Virgina Woolf, torna sul palcoscenico con The Kindly Ones affrontando il più celebre romanzo di Jonathan Littell. All’origine di numerose critiche e oggetto di altrettanti premi letterari, Le Benevole narra l’Olocausto attraverso il punto di vista di uno dei protagonisti dello sterminio nazista. La trasposizione teatrale del romanzo diventa per il regista lo spunto per affrontare il tema del rapporto tra potere e discorso politico, con una particolare attenzione alle trasformazioni politiche, ideologiche e sociali che hanno portato all’avvento del nazismo.
Perché hai scelto di mettere in scena Le Benevole di Jonathan Littell?
Da quando, nel 2006, sono stato chiamato a dirigere il Toneelhuis ad Anversa, ho concentrato la mia ricerca e il mio lavoro sulle questioni legate al potere, alla politica e alla storia. Da Mefisto forever e Macbeth fino al Caligola di Albert Camus.
Le Benevole, ambientato durante il periodo dell’Olocausto, è, quindi, una scelta logica: il culmine di dieci anni di ricerche teatrali sulla relazione tra il linguaggio, la politica e il potere. Credo, infatti, che l’Olocausto sia il momento storico in cui tale relazione raggiunge il suo apice di distruttività e inumanità.
Il romanzo racconta l’orrore dei campi nazisti accogliendo il punto di vista di un generale delle SS, Max Aue. Esistono dei parallelismi tra il romanzo e il presente in cui viviamo?
Il fatto che nel romanzo di Littell la storia sia raccontata attraverso il punto di vista del colpevole, e non di quello della vittima, è stato e continua a essere motivo di scandalo. Penso che shock simili ci permettano di guardare la nostra storia da un nuovo punto di vista, riflettere su ciò che è accaduto nel passato e ciò che di simile avviene nel presente.
L’Europa vive un duro momento di crisi, insicura riguardo ai propri valori e al proprio futuro, scossa da un forte sentimento anti-europeo. Nessuno si aspettava la vittoria del Brexit. Nessuno qualche anno fa avrebbe pensato che il trattato di Schengen potesse essere messo in discussione, eppure ciò è avvenuto. Nazionalismo, razzismo, xenofobia influenzano sempre di più la politica europea. Il romanzo di Littell ci ricorda le ragioni che furono all’origine della nascita dell’Europa unita, ci ricorda quali sono i principi che la contraddistinguono e quali i valori di cui essa si nutre.
Inizialmente Littell non voleva cedere i diritti del suo romanzo per timore di un adattamento troppo “naturalista”. Come avete lavorato alla difficile messa in scena del testo?
Non abbiamo avuto notevoli difficoltà a ottenere i diritti da parte di Jonathan Littell. La sua sola condizione era quella di non utilizzare simboli e uniformi naziste, poiché temeva che il realismo potesse indurre alla banalizzazione – per questa stessa ragione non vuole che il suo romanzo sia trasposto in un film.
Non ho avuto problemi con le condizioni poste dall’autore perché nei miei spettacoli ho sempre tentato di evitare ogni forma di realismo. Naturalmente la trasposizione teatrale de Le Benevole, romanzo di più di mille pagine, ci ha costretti a operare delle scelte e quindi dei tagli. Abbiamo deciso di tralasciare la storia familiare del protagonista e l’aspetto psicologico del libro e di concentrarci principalmente sulla vicenda militare, sull’analisi del discorso nazista che spiegò e giustificò lo sterminio degli ebrei. Dal mio punto di vista, l’importanza del romanzo di Littell non è da ricercare nella descrizione della violenza ma, invece, nella violenza che è insita nel linguaggio utilizzato dai nazisti e di cui il testo si fa testimone. Attraverso questo spettacolo voglio mettere in luce l’orrore dei discorsi che hanno giustificato le azioni naziste.
A tale scopo la scenografia si compone di installazioni astratte, ispirate principalmente alle opere di Christian Boltanski, che creano immagini simboliche e fuggono il facile realismo.
In che modo lo spettacolo si rivolge al pubblico?
Il primo capitolo de Le Benevole è molto duro per il lettore, forse è la parte più destabilizzante del libro. In quest’incipit Max Aue fa capire ai suoi lettori che essi non sono migliori di lui, che nessuno può sapere come si sarebbe comportato al suo posto e nelle medesime circostanze. La potenza di questo primo capitolo nello spettacolo è ancora più accentuata: qui, infatti, gli attori parlano direttamente al pubblico.
Aue non è un animale ma un uomo civilizzato e intelligente. Nonostante ciò, continua a far parte di un sistema orribile che lo ingloba. Voglio che questo spettacolo permetta al pubblico di riflettere profondamente, confrontandosi con questi discorsi estremi.
Lo spettacolo è inserito in un programma di attività dedicate allo spettatore e legate all’Unione Europea, attraverso cui sono raccontate e analizzate storie attuali di marginalizzazione e di esclusione. C’è un messaggio che vorrebbe indirizzare all’Europa e ai suoi cittadini?
In questo momento non stiamo rivivendo gli Anni Trenta o gli Anni Quaranta. Le circostanze politiche, sociali ed economiche sono molto diverse oggi. Ma, nonostante ciò, viviamo un periodo preoccupante. Come ho già detto, per dare vita a The Kindly Ones (Le Benevole) mi sono concentrato principalmente sul linguaggio e sul discorso costruito dal pensiero nazista.
Oggi noto un costante inasprimento del discorso politico in Europa, in relazione a varie tematiche: i rifugiati, la terza o quarta generazione di migranti o, ancora, la comunità musulmana. Il radicalismo e l’estremismo sponsorizzati da social media e populismo stanno mutando la nostra percezione della realtà. Alcuni discorsi pronunciati sul tema dell’immigrazione soltanto pochi anni fa sarebbero stati inaccettabili.
C’è un legame, dunque, fra teatro e realtà?
Mesi fa un giovane belga, di origini marocchine, è morto in seguito a un incidente. Un cospicuo gruppo di persone ha espresso la propria gioia sui social network: “Uno in meno!”, scrivevano.
È disgustoso. C’è stata una forte reazione di condanna anche da parte della politica, ma purtroppo comportamenti simili sono molto frequenti. Credo che l’umanità sia giunta a un punto d’arresto e sotto questo aspetto noto molti parallelismi con il periodo dell’Olocausto, che è stato preceduto da anni di attacchi verbali e propaganda velenosa. La potenza negativa del linguaggio è tale per cui, ad ascoltare ripetutamente calunnie e infamie dirette verso determinati gruppi di individui, si finisce per crederci.
Credo che oggi il teatro abbia il ruolo fondamentale di smascherare tali meccanismi linguistici d’esclusione e violenza per tentare di fondare un linguaggio nuovo.
Chiara Pirri
Roma // 8-9 ottobre 2016
Romaeuropa Festival 2016 – The Kindly Ones
TEATRO ARGENTINA
Largo di Torre Argentina 52
http://romaeuropa.net/
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