Laura, clochard e artista irregolare. Ma il writer cancella una bella storia

Pittura, nomadismo ed esperienza religiosa. La storia di Laura Galletti conquista e commuove, aprendo diverse questioni. Una donna che sceglie la via della spiritualità e che abbandona qualunque bene materiale. L’arte in strada che diventa pratica quotidiana, vocazione. Ma più che parlare di Street Art, sarebbe il caso di spostarsi sul piano dell’Outsider Art, l’arte del margine e degli irregolari. E intanto qualcuno ha preferito cancellare…

UNA SCELTA DIFFICILE
Essere poveri per scelta. Tra francescanesimo e utopie metropolitane. Il denaro come un vizio inutile, qualcosa di cui fare a meno, senza troppe remore. E il difficile, in questi casi, è preservarsi nel ventre di una società che sul feticismo monetario ha costruito ogni bene e ogni male. Senza denaro nessun servizio, nessuna cura, nessuna possibilità, non un posto nel mondo, un futuro, una collocazione sociale. Eppure Laura ha deciso così.
Era il 12 aprile del 2001 quando questa signora di mezza età – veneta d’origini, milanese d’adozione, grafica pubblicitaria ormai in pensione – alzava gli occhi verso il cielo di Roma, in zona Tre Fontane, là dove si compì il martirio di San Paolo nel 67 d.C. E poté guardare il sole con gli occhi bene aperti, senza sentire dolore. La luce dritta nelle pupille, come un miracolo semplice, mentre tutto si tingeva di rosso e di rosa, fino alla sera. Da lì la promessa: non chiedere mai niente a nessuno, eliminare il superfluo, non affidarsi più ai beni materiali. La vita di Laura Galletti cambiò. Né lavoro, né elemosina, né favori o carità. Bastava unicamente la preghiera, insieme all’indipendenza e alla forza di volontà.

Laura Galletti, dentro un giaciglio di cartone - foto via mamme.it

Laura Galletti, dentro un giaciglio di cartone – foto via mamme.it

Fino a quel momento era stata una single in carriera. La casa divisa con la madre e il tempo venduto ai suoi clienti prestigiosi. Poi, alla morte dell’amata genitrice, nel 1999, qualcosa si spezzò. O meglio, qualcosa venne all’improvviso. La fede, certamente. Che qualcuno chiamerebbe paura, disorientamento, bisogno di un senso, crisi mistica o psicologica. Per lei fu unicamente Dio, soprannominato “Papà”, come quel padre che non l’aveva amata né cresciuta. E fu l’inizio di un pauperismo estremo, di una libertà totale dalle cose.
Dopo aver destinato la sua pensione alle suore Missionarie di Madre Teresa di Calcutta, dopo aver visitato – camminando a piedi o recuperando passaggi – Lourdes, Medjugorje, Santiago di Compostela, Laura ha messo radici a Roma. Oggi è una clochard, non per disgrazia e mai per degrado. In una lunga intervista, rilasciata al Giornale, spiegava: “Il degrado è frutto dei comportamenti dell’essere umano. Se non segui delle regole, degradi. Io non vivo nel degrado perché non sono degradata”.

Il murale di Laura Galletti, a Roma - foto fotografiaerrante.com

Il murale di Laura Galletti, a Roma – foto FotografiaErrante.com

LA CAPANNA E IL MURALE. UN RIFUGIO SUL TEVERE
E a guardarla e ascoltarla, l’impressione è quella di una donna serena, curata, forte, equilibrata, volitiva. Eleganza d’altri tempi, allegria contagiosa. Quanto alle faccende pratiche, si era organizzata con una capanna, costruita in un cantuccio sul Lungotevere, di fronte al Gazometro. Un rifugio definito in ogni dettaglio, a misura delle sue minime esigenze materiali e delle sue forti motivazioni interiori.  “Ci sono uomini che cercano la vita su altri pianeti. Io l’ho cercata oltre la materia”, ha spiegato in un video reportage di Repubblica.
E proprio lì, accanto alla piccola baracca, Laura si era messa a dipingere, en plein air. Intrecci di foglie, fiori e animali hanno via via occupato oltre venti metri di muraglia, come un pezzetto di scenografia boschiva disteso lungo il fiume. Due anni di lavoro.

Un dettaglio del muro di Laura - foto Valentina Bonacquisti via fotografiaerrante.com

Un dettaglio del muro di Laura – foto Valentino Bonacquisti via FotografiaErrante.com

Laura non è un’artista, non nel senso tradizionale. A parte gli studi al liceo artistico, non è una che l’ha mai fatto per mestiere. Ha senso allora parlare di Street Art? La pratica è quella illustrativa, figurativa, così diffusa ultimamente, che sceglie angoli del tessuto urbano per srotolare disegni monumentali, seduttivi, a misura del godimento collettivo. Ma Laura, che pure ha sfoderato precisione grafica, eleganza e una buona sensibilità pittorica, si colloca già altrove. Per lei dipingere quel muro è stata forse una forma di preghiera, un dono per gli altri e una disciplina per sé. Lentamente, il tempo si è fatto pittura, meditazione, forma compiuta e immaginazione. Anche questo un modo per prendersi cura di sè stessa, della propria dimora clandestina, dei giorni spesi tra la parola di Dio e l’inevitabile solitudine.
E allora, spostando totalmente il punto d’osservazione, dovremmo piuttosto parlare di Outsider Art, l’arte degli emarginati, dei visionari, degli irregolari. Figlia di uno spontaneismo che non prescinde dal talento e dalla dedizione, ma che è fuori dal mainstream, come dall’underground. Un fatto di margine, nel senso autentico del termine: il bordo estremo come unico luogo possibile, trovando nella creatività un’opzione esistenziale, la via per costruire un altro mondo possibile, nel cuore di un mondo a volte opaco, a volte ostile.

Quel che resta della capanna di Laura, dopo il rogo - foto Comitato Quartiere Marconi

Quel che resta della capanna di Laura, dopo il rogo – foto Comitato Quartiere Marconi

IL FUOCO, LO SFREGIO. UNA STORIA CANCELLATA
Niente dura per strada, però. La precarietà è legge spietata. Lo scorso aprile un incendio ha travolto il giaciglio di Laura. Doloso, sembrerebbe. Impuniti i colpevoli, con un cumulo di cenere che resta là dove c’era l’intimità di un nido. E Laura è tornata a girovagare, a dormire rannicchiata dentro dei cartoni: per fortuna era già primavera.
Poi, è toccato al murale. Come denunciato sulla pagina Facebook del Comitato di Quartiere Marconi, la lunga striscia variopinta è stata interamente coperta dalla mega tag di una crew capitolina, NTHG. Non un capolavoro di stile, francamente. Anzi. Ma non è quello il punto.

Il graffito di NTHG, che ha coperto il murale di Laura Galletti - foto Comitato Quartiere Marconi

Il graffito di NTHG, che ha coperto il murale di Laura Galletti – foto Comitato Quartiere Marconi

La faccenda del “going over”, in strada, risponde a leggi non scritte e ampiamente dibattute. Chi può, chi non deve, quando, come, secondo quali codici e maniere: coprire il lavoro altrui, soprattutto se è roba storica o comunque di spessore, è una scorrettezza. Un segnale di prevaricazione. Oppure una sfida, una rivendicazione, la vendetta di chi, a sua volta, era stato coperto. Così funziona entro i confini del writing, nei circuiti di un microcosmo chiuso e autoregolamentato. Ciò che sta fuori, invece, fa storia a sé: qualunque regola salta.
Come per la stessa Street Art, quella istituzionalizzata, decorativa, amata dal popolo e difesa dalle istituzioni. Quella che sfregiano a volte i fedelissimi dell’illegalità, i puristi del graffitismo, quasi si trattasse di una guerra contro un sistema intero. Guerra di spazi, di muri e di valori. E a Roma la temperatura è particolarmente alta.
In conclusione, chi sta in strada lo sa. L’offesa, la sparizione, il deterioramento, la sovrapposizione, il conflitto: tutto è parte del gioco. Lo spazio pubblico non ha memoria, non ha certezza e confonde le soglie a piacere. Per gli abitanti della zona, però – come per chiunque avesse conosciuto Laura Galletti – tutto questo è ininfluente. Quel che resta è lo sdegno per lo sgarbo fatto a una bella persona, a una donna speciale. L’indignazione è stata corale.

Laura Galletti

Laura Galletti

In parte, erroneamente, se n’è fatta solo una questione di “bellezza”, di qualità figurativa: perché coprire un muro ben dipinto, gradevole, costato tempo e fatica, con una tag veloce? Se usiamo questi parametri siamo fuori strada. E così se guardiamo al gradimento popolare. Il popolo vuole vedere fiori, gattini, volti e pupazzi. Ci sta. Ma a fronte di tante opere di valore, tante altre ne abbiamo viste prive di contenuto, di senso, di forza, moltiplicate all’infinito giusto per riempire facciate, festival, quartieri. Muri mediocri, benedetti dal plauso della gente. E invece occorre dirlo: spesso sono brutti. Oppure banali. Non meno di uno sciatto trhow up fatto per sgarbo.
Parimenti, ci sono pezzi storici, lettering e graffiti che potano con sé memorie cruciali di una scena, e che sono stati cancellati, coperti, distrutti. Roba che valeva più di un qualunque disegno odierno di dubbio gusto, scontato o di cattiva fattura. Metterla su questo piano allora è rischioso, fuorviante. La questione estetica, storica, simbolica, culturale, è complessa e non può esaurirsi con l’apprezzamento spontaneo del passante che vorrebbe meno muri grigi e più orsetti colorati.

Un dettaglio del muro di Laura - foto Valentina Bonacquisti via fotografiaerrante.com

Un dettaglio del muro di Laura – foto Valentino Bonacquisti via FotografiaErrante.com

Allora parliamo d’altro, in questo caso. Uscendo dal territorio dei codici del writing, delle guerriglie urbane fra tagger e muralisti, o dalla mera attribuzione di una qualità artistica. Laura non è una street artist, tanto meno una writer. Ha coperto delle scritte consumate di note firme romane, che certamente non conosceva. E che nulla avevano comunque a che vedere con chi si è scagliato contro la sua creatura. Ma potevano, questi ultimi, gli NTHG, non conoscere lei e la sua storia? Del tutto improbabile. Ed era quella storia che andava difesa, a prescindere. I codici qua diventano umani e la sensibilità assume una portata collettiva. Gesto cinico e fuori contesto, dunque, là dove non c’entravano le diatribe tra legale e illegale, le vendette tra crew o la rivendicazione febbrile di muri metropolitani. La parola “rispetto”, qui, era cruciale.

Un dettaglio del muro di Laura - foto Valentina Bonacquisti via fotografiaerrante.com

Un dettaglio del muro di Laura – foto Valentino Bonacquisti via FotografiaErrante.com

DI NUOVO IN VIAGGIO
Ora, il tema della conservazione delle opere pubbliche spontanee, firmate da artisti irregolari, è spinoso e unisce critici e studiosi in una corsa contro la consunzione, l’abbandono, il vandalismo, la disattenzione. Tutte cose di cui gli outsider artist, nella maggior parte dei casi, si sono sempre disinteressati. Ma basta questo per voltarsi dall’altro lato? Per giustificare chi copre, distrugge, dimentica (che siano vandali o amministrazioni)? Probabilmente no. Il muro di Laura, al di là della sua efficacia e della piacevolezza estetica, non era un muro qualunque. Per un fatto simbolico, biografico, morale.
Eppure è lei, ancora una volta, a suggerire la giusta direzione, con una sorta di resilienza spirituale. Tre le ultime persone che l’hanno vista a Roma, a fine luglio, c’è Loredana, un’abitante del quartiere, che spesso l’aveva fermata sulla ciclabile del Lungotevere Gassman: ”L’ho incontrata per caso vicino al mercato di via Cardano”, ci racconta, “aveva con se uno zaino e delle buste. Le ho chiesto se aveva visto lo scempio del suo murale e mi ha spiegato che era giusto così, nonostante le fosse costato due anni di lavoro, perché lei stessa aveva disegnato sopra altri disegni. Si erano presi spazio, semplicemente”. Stessa serenità, stessa accettazione per il rogo che le aveva portato via la sua capanna: “Ha detto che forse si è trattato di un segno”, continua Loredana, “poiché in fondo voleva andarsene e riprendere la sua strada nel mondo. Se restava era per via di quella casa. Si sentiva ancorata. Il destino, alla fine, aveva scelto per lei”.
Laura, a quanto pare, avrebbe già lasciato Roma, diretta verso la Calabria. Di nuovo libera, completamente. Anche da un tetto sopra la testa, dall’amore per una città, dal rumore dolce di un fiume, da un dipinto che fosse sigillo, impegno quotidiano, protezione. Libera di comprendere quel che conta, quando si resta dalla parte dalla strada, ma anche dalla parte di Dio: il gesto, non l’oggetto; la passione, non il possesso; la fede, non il feticcio. Col tempo che passa e consuma, oltre la forma delle cose. Perché ciò che scompare, per chi crede, non muore mai davvero.

 Helga Marsala

 

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Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, giornalista, editorialista culturale e curatrice. Ha innsegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a…

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