L’uovo. Tra l’antico e il nuovo

Simbolo millenario, l’uovo ha guadagnato un ruolo di tutto rispetto anche nella storia dell’arte. Fra pitture rinascimentali e declinazioni contemporanee, fra storici interpreti e nuove valenze performative.

UOVA AD ARTE
È nato prima l’uovo o la pittura? Sembra una domanda impropria, un banale trompe l’oeuf sul dilemma più sterile nell’universo delle domande retoriche. Invece è seria: dalle icone bizantine alle tavole rinascimentali l’uovo, mescolato alla tempera, ha creato pigmenti resistenti al tempo e alle intemperie. Ma l’uovo, oltre che materia prima, è anche forma, quella che rasenta la perfezione della Natura e la disperazione dei matematici/ingegneri/architetti che hanno cercato di svelare i segreti della sua configurazione, resilienza, essenzialità.
L’uovo è così diventato una sommatoria di simboli: la vita che nasce (o rinasce), la trasformazione alchemica degli elementi, la fertilità e il rigoglio della crescita, il nucleo staminale con la sua potenziale molteplicità evolutiva. Partendo da questi presupposti si può immaginare quanto il soggetto “uovo” sia diventato uno degli oggetti più rappresentati nella storia dell’arte, tanto che si potrebbe ipotizzare un test per valutare gli interessi artistici semplicemente chiedendo: “Un uovo. Quale quadro o scultura ti ricorda?”.

Jeff Koons, Cracked Egg 1 (magenta)

Jeff Koons, Cracked Egg 1 (magenta)

DAL RINASCIMENTO A JEFF KOONS
Due fazioni opposte candidano la Pala di Brera di Piero della Francesca e le uova da “divorare” di Piero Manzoni. Le due facce di una medaglia: l’uovo di struzzo che pende sul capo della Vergine è un chiaro riferimento alla spiritualità dell’Immacolata Concezione, in quanto si riteneva che quell’animale fosse ermafrodita e, seppellendo le proprie uova che si dischiudevano al sole, fosse il chiaro simbolo di un intervento divino. Le uova di gallina, invece, sono estremamente terragne e la loro diffusione come elemento commestibile le lega alla materialità, per di più sottolineata dalla fisicità dell’impronta dell’artista. Anche se la Consumazione dell’arte dinamica del pubblico, avvenuta il 21 luglio del 1960, ha un vago sapore eucaristico.
I più sofisticati citano due sculture di Constantin Brancusi: Beginning of the world (1915) e Neonato (1916). La prima è una forma primaria, liscia e lucente che si raddoppia riflettendosi sulla lastra metallica che la sostiene; la seconda coglie invece il momento cruciale in cui l’uovo si schiude per aprirsi a una nuova vita, quasi simulando la bocca famelica del neonato. Entrambe riescono a tradurre in tre dimensioni l’affermazione dello scultore: “Ciò che è reale non è l’apparenza, ma l’idea, l’essenza delle cose”. Gli stessi raffinati esteti del minimale possono saltare poi, con una specularità simmetrica tra il pieno e il vuoto, tra il fuori e il dentro, alle altre superfici specchianti dei Cracked Egg di Jeff Koons, caleidoscopiche sommatorie di riflessi che rimbalzano le immagini dall’esterno e dall’interno.

Salvador Dalí, Museo di Figueras

Salvador Dalí, Museo di Figueras

DA SALVADOR DALÍ A MILO MOIRÉ
Chi invece è vicino alla psicanalisi vede in Salvador Dalí il genio delle uova. Ne è addirittura ossessionato: da quello intero nelle Metamorfosi di Narciso (1936/37) a quello spezzato al cui interno il Sole sta al posto del tuorlo in Aurora (1948); dalle molteplici gigantesche uova che arricchiscono i torrioni del Castello di Figueres alle Uova al tegame con tegame (1932) dove la metafora visiva del sesso femminile dell’albume “molle” si pone in opposizione a una lunga carota rigida e fissata sulla parete.
L’uovo che al singolare è maschile e al plurale femminile coniuga l’idea dei due sessi affiancandoli e distinguendoli nel mostrare il suo contenuto; in altri quadri si ha dunque la rivelazione di una sorpresa, come nelle uova pasquali: un gruppo di persone che si esibiscono in un Concerto nell’opera di Hieronymus Bosch o, ancora in Dalí, il Bambino geopolitico guarda la nascita dell’uomo nuovo (1943) fino alla serie di esasperate performance dell’artista svizzera Milo Moiré. Presentata per la prima volta alla Fiera internazionale dell’arte di Colonia nel 2014, l’azione pittorica PlopEgg #1 produce una tela macchiata dai colori acrilici contenuti in alcune uova. Ma come vengono spiaccicate sul supporto queste uova? È la forza gravitazionale a farle cadere: l’artista sta in piedi su un cavalletto e le espelle verso il basso dalla propria vagina. La tela viene poi piegata in due creando una macchia simmetrica simile a quelle utilizzate nel test di Rorschach ma anche alla raffigurazione anatomica dell’utero femminile.

Lucio Fontana, La fine di Dio

Lucio Fontana, La fine di Dio

MAESTRI E SIMBOLI
Non rimane lo spazio per parlare di altre uova, per esempio quelle della Leda di Leonardo, di cui rimangono soltanto alcuni bozzetti, o la celeberrima Fine di Dio (1963/64) di Lucio Fontana senza ignorare il doppio senso de L’oeuf plat (1957/60) e le rayografie di Man Ray. Ma forse l’opera che rappresenta al meglio la potenzialità dell’uovo è Clairvoyance (1936) di René Magritte. Il pittore si autoritrae mentre dipinge un uccello guardando un uovo. La simbologia è evidente: come spesso accade, l’artista raffigura se stesso al presente mentre guarda al passato e dipinge il futuro.

Carlo e Aldo Spinelli

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #30

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Carlo Spinelli

Carlo Spinelli

Laureato in Lettere Moderne e iscritto a Storia Antica, viaggia mangia e scrive in ordine sparso per ItaliaSquisita, Rolling Stone, La Cucina Italiana e Wired. Approfondendo l'antropologia dell'alimentazione nel contemporaneo mangiare, tra culture e geografie all'antitesi, ama in egual misura…

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