Ricordare soltanto il futuro. Parola a Sam Havadtoy

Alla Fondazione Mudima di Milano, quaranta lavori recenti, tra dipinti e sculture, ripercorrono la vita e l’immaginario di una fra le personalità più trasversali e fervide della scena newyorkese degli Anni Settanta e Ottanta. Un creativo che, tra l’arte e il design, l’Ungheria, Keith Haring, Yoko Ono, Bowie, Cage, Basquiat e Rauschenberg, ha trasformato lo stato di transitorietà in moto di costante apprendimento.

IL RITORNO A MILANO
“Sto rivivendo, anche se solo con gli occhi, le grandi migrazioni di oggi.  Viene da rivolgere a me stesso, in prima persona, la domanda su come io mi consideri, sulla mia condizione. Sono nato a Londra, da genitori ungheresi, dunque sono inglese per nascita. Poi, però, sono cresciuto in Ungheria, prima della rivoluzione del 1956. Questo mi ha reso un migrante in Ungheria. Nel 1971 sono scappato, non potendo utilizzare il mio passaporto inglese e quindi diventando un rifugiato a Londra. L’anno successivo sono andato a New York, trasformandomi in un migrante per ragioni economiche. Poi quando quel sodalizio è finito sono tornato nuovamente in Europa, in Inghilterra, e poi in Italia. Insomma, al momento, sono un migrante nel vostro Paese. Anche se per me è la mia prima casa”. Con queste brevi frasi Sam Havadtoy (Londra, 1952) introduce il suo secondo passaggio dalla Fondazione Mudima,
Gino di Maggio, a distanza, dalle pagine della pubblicazione fresca di stampa della Fondazione Mudima edizioni – volume che accompagna il percorso – sembra rispondere a questa presentazione con affetto sibillino “A Sam che ha invece, giustamente, memorie di cose diverse vorrei solo ricordare che quelli che vengono dopo, gli epigoni come è successo già molte volte nei processi della storia umana, hanno provocato danni immensi che abbiamo poi troppo superficialmente e ingiustamente addebitato a livello storico chi li aveva preceduti”.

Sam Havadtoy – Only remember the future - installation view at Fondazione Mudima, Milano 2016

Sam Havadtoy – Only remember the future – installation view at Fondazione Mudima, Milano 2016

LA MOSTRA
La mostra presenta quaranta opere, tra dipinti e sculture. Una produzione recente che ha attraversato e, variamente, reso propria la forza di grandi amicizie come quella di John Lennon, Yoko Ono – per la quale Havadtoy ha rappresentato un punto di riferimento familiare, dopo la tragica scomparsa del marito – e di altre personalità, fra le quali Andy Warhol, Keith Haring, Jean-Michel Basquiat, Jasper Johns, Robert Rauschenberg, John Cage, George Condo e Donald Baechler.
Il merletto, nei suoi lavori, apposto anche su una Fiat Cinquecento d’epoca, allestita proprio all’ingresso della mostra e interamente ricoperta dai ricami a reticolato, diventa materiale della memoria dei popoli dell’est Europa. Frammenti di pizzo che, anche sulle sue tele, strato dopo strato, vengono ricoperti di colore, in modo che vuoti e pieni si trasformino in un elemento ricorsivo e strutturale, a sostegno di un linguaggio di disvelamento.
“Sono stati gli anni newyorkesi, sono stati ventotto anni, a formarmi come essere umano, sebbene ritenga che ancora oggi, per me, sia vitale mantenere un dialogo con la cultura ungherese, con le mie radici. Io uso il pizzo, infatti, perché nel mio paese serve a presentare i volti dei morti, durante la camera ardente, affinché solo chi vuol vedere e dare l’ultimo saluto possa farlo intenzionalmente. Alcuni dei miei tratti, però, provengono da Haring, il mio minimalismo da Yoko, una delle mie prime sperimentazioni con la stampa è stata voluta da Warhol, ma le mie guide più importanti nella storia dell’arte restano von Jawlensky, Morandi, Modigliani e Boccioni. E alcuni frammenti di questa ricerca si possono notare con facilità in mostra”.

Sam Havadtoy – Only remember the future - installation view at Fondazione Mudima, Milano 2016

Sam Havadtoy – Only remember the future – installation view at Fondazione Mudima, Milano 2016

DAI BEATLES A DUCHAMP
Lungo il percorso, però, sono anche visibili le inedite Doors, quattordici porte dipinte come le stazioni di una Via crucis, passaggi di sofferenza che ogni uomo esperimenta lungo il corso della vita. Havadtoy afferma al riguardo, scherzando appena: “Una delle ragioni per le quali sono scappato dall’Ungheria è stato perché era vietato vedere al cinema film americani. Ma si poteva tranquillamente vedere film italiani e francesi di registi che avevano aderito al Comunismo.  Un giorno vidi, non so come, “A Hard Day’s Night”, il film dei Beatles. Lo rividi per quasi otto volte di fila. Non solo la musica, ma anche le persone in quel film erano tutto quel che davvero mancava in Ungheria. La vita di quei giovani non era immaginabile per noi, immersi nel pieno della dittatura comunista. Poi, solo quasi sei anni dopo, da quel momento, quando ho cominciato a lavorare per John Lennon a New York, mi sono reso conto che era stato davvero lui, anche se indirettamente, a stravolgere la mia vita”.
Tra il piano terra e il piano superiore di Mudima, il percorso si ricollega idealmente alla sua prima personale italiana, nello stesso spazio in cui si sono alternati alcuni dei precursori modernisti quali Allan Kaprow, Marcel Duchamp e John Cage, e dove ebbe modo di conoscere lo storico dell’arte Arturo Schwarz, che divenne ben presto suo amico. Solo come un’eco, si manifesta la sua esperienza di interior designer che lo ha portato nelle dimore più prestigiose di sempre: dal notissimo Dakota, all’appartamento privato più grande di New Yok (36 stanze) appartenuto alla famiglia Rockefeller alla residenza della famiglia reale del Marocco. Senza dimenticare la sua vita di gallerista.

Sam Havadtoy – Only remember the future - installation view at Fondazione Mudima, Milano 2016

Sam Havadtoy – Only remember the future – installation view at Fondazione Mudima, Milano 2016

GUARDANDO A MOHOLY-NAGY
Nel 1992, infatti, Havadtoy ha aperto la Galéria 56 a Budapest, una sorta di fondazione, esponendo, per la prima volta in Ungheria, lavori di artisti quali Haring, Warhol, Martin, Sherman, Smith, Mapplethorpe, Bleckner, Sultan, Baechler, oltre ai lavori di László Moholy-Nagy. “Lui è uno dei miei idoli. Adoro quel periodo della storia dell’arte”, ammette l’artista-designer-gallerista. “Ho avuto l’occasione di realizzarne una mostra a Budapest e di acquistare uno dei suoi ultimi dipinti del 1947. Era un paesaggio di soli punti. Il nipote era presente all’opening. Il titolo del dipinto era “LEU” e faceva riferimento alla leucemia di Moholy-Nagy. I punti, probabilmente, erano sintomo, simbolo e rappresentazione della malattia che scorreva nel suo sangue. Anni più tardi, quando attraversai anch’io una grande depressione, dipinsi sulla tela una storia che mai avrei voluto far leggere, la ricoprii di pizzo e poi la colorai utilizzando i punti. Come Moholy-Nagy avevo utilizzato quella tecnica pittorica per realizzare qualcosa di cui avrei dovuto inevitabilmente disfarmi”.

Ginevra Bria

Milano // fino all’8 luglio2016
Sam Havadtoy – Only remember the future
FONDAZIONE MUDIMA
Via Tadino 26
02 29409633
[email protected]
www.mudima.net

MORE INFO:
http://www.artribune.com/dettaglio/evento/54235/sam-havadtoy-only-remember-the-future/

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Ginevra Bria

Ginevra Bria

Ginevra Bria è critico d’arte e curatore di Isisuf – Istituto Internazionale di Studi sul Futurismo di Milano. È specializzata in arte contemporanea latinoamericana.

Scopri di più