Tutte le strade (della fotografia) portano a Reggio Emilia

Un festival imperdibile per chi si occupa di fotografia e dintorni: a Reggio Emilia si scaldano i motori dell’undicesima edizione di Fotografia Europea, che quest’anno allarga i suoi confini ad altre città, tutte poste sulla Via Emilia (Bologna, Parma, Rubiera). E proprio la strada consolare è il tema cui si ispirano tutti i progetti.

Il programma è decisamente invitante: stiamo parlando, solo per fare alcuni esempi, di 24 fotografi dell’agenzia Magnum, di una mostra con oltre 150 opere di Walker Evans, di una produzione originale di Paolo Gioli, realizzata con la tecnica del fotofinish e che verrà allestita negli spazi del Palazzo dei Musei, dove si confronterà con le incredibili raccolte permanenti. Ma non solo. E per anticiparvi ciò che potrete trovare nelle tante sedi di Fotografia Europea – tantissime, se si considerano anche quelle del Circuito Off – abbiamo intervistato due dei curatori, Walter Guadagnini ed Elio Grazioli.

Nel concept del festival la fotografia è definita come “la forma d’arte che più di altre comunica e interpreta la complessità della società contemporanea”. Dopo ben dieci edizioni, quali sono stati gli sviluppi che hanno trovato espressione nel mezzo fotografico?
Walter Guadagnini: Quando Fotografia Europea è iniziata, si discuteva ancora di digitale e analogico, la Polaroid aveva ancora gli stabilimenti funzionanti, la Kodak produceva ancora la Kodachrome, Flickr aveva appena due anni, Instagram non era ancora all’orizzonte: insomma, si è chiusa un’epoca e se ne è aperta un’altra, e una manifestazione come Fotografia Europea, nata nel 2006, può provare a raccontarle entrambe perché entrambe sono parte di una storia più lunga e complessa, che è quella dell’immagine fotografica.
Una storia che ha al proprio interno anche il capitolo artistico: forse l’aspetto più interessante, che a Reggio Emilia riceve da alcuni anni particolare attenzione, è proprio l’intreccio tra la fotografia cosiddetta d’arte, o di ricerca, e tutte le altre forme che nascono per ragioni e con intenti diversi, ma che finiscono per fornire il materiale primario per la realizzazione di opere d’arte. Penso alle mostre di Broomberg & Chanarin due anni fa, alla presenza di Erik Kessels lo scorso anno, ai progetti presentati in questa edizione da Luca Santese all’interno della Open Call o al lavoro di Kent Klich, dedicato a uno dei tanti fatti di sangue della Striscia di Gaza, presentato nella collettiva di Palazzo da Mosto.

Paola De Pietri, Senza titolo, dalla serie Questa Pianura, 2015 © Paola De Pietri

Paola De Pietri, Senza titolo, dalla serie Questa Pianura, 2015 © Paola De Pietri

Se il tema di quest’anno è molto legato al territorio, Fotografia Europea ha sempre gli occhi aperti sul continente: ci spiega la mostra Dalla via Emilia al mondo?
W. G.: A Palazzo da Mosto si incontrano e si confrontano nove autori intorno al tema della strada, del viaggio, del confine, cioè ai temi portanti di questa edizione di Fotografia Europea. Come d’abitudine, abbiamo cercato di individuare una pluralità di linguaggi fotografici, perché il fascino e la forza della fotografia continua a risiedere proprio in questa pluralità di nature linguistiche e di approcci al reale. Così, la mostra prende avvio con un lavoro di Paolo Pellegrin, reporter tra i più noti ma anche tra i più innovatori sul piano del linguaggio, che narra le vicende intorno al confine tra Messico e Stati Uniti, per proseguire con le visioni più individuali e liriche di Ziad Antar e Paola De Pietri, e per ritornare poi all’attualità, rappresentata per l’appunto dall’installazione di Kent Klich, da quella del duo tedesco Stuke & Sieber – che trasformano la vicenda singola di un’emigrante bosniaca in un racconto collettivo sviluppato tra Europa e Stati Uniti – e per concludersi nelle sale realizzate a più mani dal collettivo nordico Manaantai e sulla conquista dello spazio da parte di Michael Najjar, viaggio estremo sia in termini di spazio che di tecnologia. Fotografie, dunque, ma soprattutto storie, e immagini che possono essere realizzate da un fotografo o prese da un archivio, ferme o in movimento, proprio per rispecchiare la complessità del mondo e la varietà dei linguaggi e delle pratiche fotografiche contemporanee.  

Davide Tranchina, Strada Stellare 9 #1, 2016 courtesy D. Tranchina e Galleria Bianconi, Milano

Davide Tranchina, Strada Stellare 9 #1, 2016 courtesy D. Tranchina e Galleria Bianconi, Milano

A trent’anni di distanza, viene riproposta Esplorazioni sulla via Emilia (1986), completandola con 2016. Nuove esplorazioni. Elio Grazioli, ci illustra i punti di contatto e gli elementi di rottura tra la rassegna curata da Luigi Ghirri e quella attuale?
Elio Grazioli: Agli autori contemporanei è stato esplicitamente chiesto di confrontarsi con gli autori di ieri e di dare la loro versione degli stessi luoghi, la via Emilia appunto. I punti di contatto forse stanno nel fatto che allora come oggi si sentiva nell’aria il cambiamento, al quale la ricerca fotografica doveva rispondere e di cui, anzi, faceva parte. Nel 1986 era l’esigenza di guardare anche altri aspetti e luoghi oltre ai monumenti e alle “cartoline” per restituire una visione più complessa sia di un “territorio”, come si cominciava a chiamarlo, sia di uno sguardo curioso e intelligente.
Oggi il problema più urgente è quello di confrontarsi, fosse anche per contrapporsi, con le nuove tecnologie – internet, digitale, virtuale – e ciò che esse comportano nella conoscenza e nella visione. La risposta comune è quello che potremmo chiamare un bisogno di “riappropriazione” della visione, anche del territorio, che diventa materiale per raccontare una propria storia, non solo un dato storico-geografico.
Ad esempio Paolo Ventura o Sebastian Stumpf mettono in scena se stessi o dei loro personaggi dentro il paesaggio; Davide Tranchina lo trasfigura completamente, poeticamente; Antonio Rovaldi collega con una linea immaginaria, ma che è un viaggio reale, la sua Parma natale con una Modena negli Stati Uniti.

Antonio Rovaldi, Mo’dinna mo’dinna (I wanna go back home), courtesy dell'artista

Antonio Rovaldi, Mo’dinna mo’dinna (I wanna go back home), courtesy dell’artista

In conclusione, se la fotografia è una “strada”, quali sono oggi, i suoi confini, le sue frontiere, i suoi transiti?
E. G.: Quello che mi sembra importante segnalare è che la fotografia prosegue il suo cammino reinventandosi di continuo. Nuovi percorsi vengono costantemente scoperti, territori esplorati. I confini si presentano di continuo, ogni volta apparendo come invalicabili e poi spostati sempre di un poco. Quello che mi affascina della fotografia, se posso esprimere un parere personale, è che in essa è di nuovo tutto in gioco, le immagini possono sembrare ancora tradizionali, classiche – pure immagini colte dalla realtà, senza manipolazioni o rielaborazioni –, ma in realtà possono essere del tutto nuove o svelare una profondità o un’ampiezza insospettate.

Marta Santacatterina

Reggio Emilia // dal 6 maggio al 10 luglio 2016
Fotografia Europea 2016 – XI edizione
La Via Emilia. Strade, viaggi, confini
a cura di Diane Dufour, Elio Grazioli, Walter Guadagnini
SEDI VARIE
0522 456219
[email protected]
www.fotografiaeuropea.it

MORE INFO:
http://www.artribune.com/dettaglio/evento/53362/fotografia-europea-2016-la-via-emilia-strade-viaggi-confini/

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Marta Santacatterina

Marta Santacatterina

Giornalista pubblicista e dottore di ricerca in Storia dell'arte, collabora con varie testate dei settori arte e food, ricoprendo anche mansioni di caporedattrice. Scrive per “Artribune” fin dalla prima uscita della rivista, nel 2011. Lavora tanto, troppo, eppure trova sempre…

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