Biennale Disegno Rimini. Con sbarco di marziani

Inaugura questo sabato 23 aprile la mostra I Marziani, nell’ambito della seconda edizione della Biennale Disegno Rimini. Un’occasione per scoprire parte di una collezione curiosa e importante, che ha sede a Milano. Si chiama Collezione Ramo e a raccontarcela è Irina Zucca Alessandrelli, che la cura da tre anni.

Adolfo Wildt, Animantium Rex Homo, 1925 – Collezione Ramo
Adolfo Wildt, Animantium Rex Homo, 1925 – Collezione Ramo

Nel fine settimana inaugura la seconda edizione della Biennale Disegno Rimini. Ci sei stata lo scorso anno? Che impressione hai avuto?
La prima edizione mi aveva colpito per la qualità delle mostre, tutte curate con grande serietà e attenzione. Ho trovato ottima l’idea di dedicare una biennale al disegno nelle più svariate declinazioni, dal fumetto all’architettura all’animazione, dal disegno antico al contemporaneo. Inoltre, le sedi museali sono speciali: da Castel Sismondo, fortezza cinquecentesca del centro città, al Museo archeologico, alla Biblioteca Malatestiana di Cesena che è un capolavoro di architettura rinascimentale. Ho scoperto anche interessanti collezioni private.

Secondo te qual è il senso di dedicare una specifica rassegna al disegno? Solitamente lo si include nelle rassegne d’arte “generali”, oppure si evidenzia il suo côté legato all’illustrazione e al fumetto.
L’idea della Biennale è che il disegno non sia un mezzo espressivo di serie B rispetto alla pittura, alla scultura, come invece è sempre stato considerato. Il disegno, sia da parte del mercato che delle istituzioni museali, è sempre stato penalizzato.
Il disegno antico è stato l’unico a suscitare grande interesse. È molto raro trovare una collezione di disegni del Novecento. È stata una pratica molto comune da parte degli artisti quella di regalare disegni a chi comprava i quadri. Non vi è mai stata un’attenzione per le opere su carta, è invece ora di mostrare l’incredibile patrimonio storico rappresentato dal disegno e sottolineare l’importanza capitale che ha avuto per gli artisti come mezzo espressivo privilegiato.
Questo è, infatti, il motivo per cui abbiamo deciso di aprire la Collezione Ramo per la prima volta durante la Biennale del Disegno, invece che a Milano dove abbiamo sede. Volevamo dar voce al disegno, unendoci al coro, invece di parlare solo di noi.

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Domenico Gnoli, Caprice n. 6 - The apple, 1955 - Collezione Ramo
Domenico Gnoli, Caprice n. 6 – The apple, 1955 – Collezione Ramo

Tu hai curato una delle 23 mostre in programma, intitolata I Marziani. Ci spieghi il titolo, tanto per iniziare? E che tipo di selezione hai operato all’interno della collezione?
Con I Marziani ho voluto presentare in modo trasversale ottant’anni di storia dell’arte italiana, con moltissime opere mai viste in un museo. I marziani sono sedici artisti italiani che, per l’importanza e l’originalità della loro poetica, hanno lavorato in grandissimo anticipo rispetto alla produzione artistica del loro tempo. Sono ancora oggi un modello di libertà artistica e di fede nel proprio operato, che a volte ha coinciso con l’isolamento, altre con l’incomprensione, altre ancora con la difficoltà ad entrare nella storia dell’arte ufficiale.
Premesso che gli artisti sono da sempre considerati marziani dalla società, questi all’interno della Collezione Ramo, sono più marziani dei marziani e sono: Medardo Rosso, Adolfo Wildt, Cagnaccio di San Pietro, Bruno Munari, Tancredi, Domenico Gnoli, Antonio Calderara, Alik Cavaliere, Carol Rama, Maria Lai, Vincenzo Agnetti, Gianfranco Baruchello, Enrico Baj, Gino De Dominicis e Aldo Mondino. Questi artisti sono stati delle meteore perché hanno rivoluzionato l’idea stessa di arte, impermeabili alle mode del mercato, cosa che, purtroppo, li ha resi per alcuni periodi inafferrabili dalla critica e dal pubblico.

Vincenzo Agnetti, Senza titolo (cambiale), 1970 - Collezione Ramo
Vincenzo Agnetti, Senza titolo (cambiale), 1970 – Collezione Ramo

Della Collezione Ramo si sa molto poco, se non per una breve mostra allestita durante miart 2015. Raccontaci di cosa si tratta, a chi fa capo, qual è la politica di acquisizione, quante opere sono in collezione, che ruolo hai al suo interno… Insomma, tutto!
È stata esplicita intenzione del collezionista Giuseppe Rabolini, quella di non parlare di noi finché la collezione non fosse il più completa possibile, cioè finché non rappresentasse al meglio il secolo scorso italiano. Questa a Rimini è la prima apertura al pubblico. Vincenzo de Bellis l’anno scorso ci aveva proposto di mostrare ai VIP internazionali di miart una piccolissima parte della collezione, ma non era una mostra aperta al pubblico, ma solo su invito.
Io curo la collezione da tre anni e mi sono occupata di organizzarla, insieme al collezionista, secondo una lista di 110 nomi che coprissero circa ottant’anni di storia dell’arte italiana, dagli inizi del secolo scorso alla fine degli Anni Ottanta. Mi sono dedicata in questi anni esclusivamente alle opere su carta di artisti italiani, acquisendo opere di diversi periodi di uno stesso artista, in modo da documentare l’evoluzione dello stile per dimostrare l’incredibile ricchezza della storia dell’arte italiana, attraverso quello che è stato il mezzo artistico di elezione di gran parte degli autori. Ad oggi le opere sono circa 600.

Quando potremo vedere la collezione? È previsto uno spazio espositivo aperto al pubblico, magari in occasioni speciali, oppure si procederà con questa formula itinerante e scelta?
In questi anni, mi sono occupata anche di prestiti a importanti istituzioni museali, tra cui il Museo d’Orsay, e per esempio ora c’è un nostro disegno di Boccioni a Palazzo Reale. Nel futuro abbiamo intenzione di concentrarci su mostre itineranti e prestiti in Italia e all’estero per far conoscere il più possibile il Novecento italiano su carta.

Marco Enrico Giacomelli

www.collezioneramo.it
www.biennaledisegnorimini.it

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Marco Enrico Giacomelli
Giornalista professionista e dottore di ricerca in Estetica, ha studiato filosofia alle Università di Torino, Paris 8 e Bologna. Ha collaborato all’"Abécédaire de Michel Foucault" (Mons-Paris 2004) e all’"Abécédaire de Jacques Derrida" (Mons-Paris 2007). Tra le sue pubblicazioni: "Ascendances et filiations foucaldiennes en Italie: l’operaïsme en perspective" (Paris 2004; trad. sp., Buenos Aires 2006; trad. it., Roma 2010), "Another Italian Anomaly? On Embedded Critics" (Trieste 2005), "La Nuovelle École Romaine" (Paris 2006), "Alex Pinna. Ogni cane è il mio cane” (Cinisello Balsamo 2007, con Andrea Bellini e Marco Senaldi), "Un filosofo tra patafisica e surrealismo. René Daumal dal Grand Jeu all'induismo" (Roma 2011), "Di tutto un pop. Un percorso fra arte e scrittura nell'opera di Mike Kelley" (Milano 2014), "Un regard sur l’art contemporain italien du XXIe siècle" (Paris 2016, con Arianna Testino), "Valerio Berruti. Paradise lost" (Cinisello Balsamo, 2018), "Ma dove sono le opere d'arte?” (Roma 2023). In qualità di traduttore, ha pubblicato testi di Marc Augé, Nicolas Bourriaud, Gilles Deleuze, Boris Groys e Jean-Jacques Revel. Nel 2014 ha curato la mostra (al Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano) e il libro (edito da Marsilio) "Achille Compagnoni. Oltre il K2". Nel 2018 ha curato la X edizione della Via del Sale in dieci paesi dell'Alta Langa e della Val Bormida. Ha tenuto seminari e lezioni in numerose istituzioni e università, fra le quali la Cattolica, lo IULM, l'Università Milano-Bicocca e l'Accademia di Brera di Milano, la Libera Università di Bolzano, l’Alma Mater di Bologna, la LUISS di Roma, lo IUAV e Ca' Foscari di Venezia, l'Accademia Albertina di Torino. Dal 2015 al 2022 ha redatto (insieme a Massimiliano Tonelli) la sezione dedicata all'arte contemporanea del rapporto annuale "Io sono cultura" prodotto dalla Fondazione Symbola. Insegna Critical Writing alla NABA di Milano. È cofondatore di Artribune, di cui è stato direttore responsabile dal 2011 al 2022 e vicedirettore editoriale dal 2011 a marzo 2023.