Meditare sul riso. Con l’Abramovic e Pistoletto

Torna dopo una piccola pausa la rubrica Buonvivere. E torna con una nuova guida, quella dell’accoppiata padre-figlio formata da Aldo e Carlo Spinelli. Che poi li conoscete già, anche per la loro serie di articoli “Artecucina” che abbiamo pubblicato proprio qui su Artribune.

MARINA ABRAMOVIC E IL SELF-CONTROL
Ingredienti: un sacchetto di riso bianco, un foglio di carta, una matita. Preparazione: si rovescia il riso su un tavolo e, seduti comodamente e senza alcuna fretta, si iniziano a contare i chicchi di riso, a uno a uno e ad alta voce, annotando via via le successive centinaia fino all’esaurimento del riso.
Counting the rice è uno dei metodi proposti da Marina Abramovic per sviluppare la resistenza, la concentrazione, il self-control e la forza di volontà e per mettere alla prova i propri limiti fisici e mentali. “Si può pensare che sia folle sedersi e mettersi a contare chicchi di riso, ma è esattamente ciò che si può fare per riconquistare il tempo. Se non si è in grado di contare per tre ore, non si può far nulla di buono nella vita”. Impiegare, perdere, sprecare del tempo per ritrovare la piena coscienza di sé.

Marina Abramovic, Counting the rice - Centre d’Art Contemporain, Ginevra - photo Annik Wetter

Marina Abramovic, Counting the rice – Centre d’Art Contemporain, Ginevra – photo Annik Wetter

CONTARE I CHICCHI
Il progetto, nato nel 2014, si è poi sviluppato aprendosi alla partecipazione del pubblico in successive performance (Università degli Studi di Milano, Centre d’Art Contemporain di Ginevra, Kaldor Public Art Project di Sidney) incrementando l’impegno e la concentrazione con la separazione dei chicchi di riso da baccelli di lenticchie: “Ripetendo un gesto così semplice più e più volte, quel gesto perde il suo significato originario e diventa altro. Diventa tempo, galassia, universo. Sarà difficile, dovrete combattere ma, vi assicuro, se la mente dirà al corpo cosa fare, il corpo lo farà”.
Chi l’ha sperimentato, chi si è sottoposto all’ardua prova, ne esce diverso, trasformato: “All’inizio, per un’ora almeno, sono stata sul punto di piangere, l’incontro con lei mi aveva sconquassato ed ora ero lì, dopo averle parlato, a dover dividere e contare” E poi: “I numeri cominciano ad essere grandi, colonne di cifre ordinate, una sotto l’altra. Il tempo non esiste più, lo spazio è un rettangolo di legno di fronte ai miei occhi, è quello il mio universo, adesso, e io ci sono immersa con una forza di volontà che mi tiene aggrappata ad una posizione ormai non più scomoda, ad una mente capace di non smettere di essere concentrata nemmeno per un istante e di vagare al contempo tra emozioni violente e pensieri della vita ordinaria”. Per concludere: “Ho finito. 4.854 lenticchie, 6.670 chicchi di riso”.

Michelangelo Pistoletto, Terzo paradiso - Molino Stucky, Venezia 2015

Michelangelo Pistoletto, Terzo paradiso – Molino Stucky, Venezia 2015

UN MANDALA PER PISTOLETTO
Sarà per la sua origine orientale, la sua millenaria coltura e cultura come cibo fondamentale per miliardi di persone o per la minuta configurazione dei suoi chicchi, ognuno dei quali pesa una trentina di milligrammi. Sta di fatto che il riso induce all’introspezione, alla meditazione. Come nella tradizionale costruzione del mandala, quella forma di arte temporanea che riesce a coniugare la meticolosità della realizzazione, che richiede ore e ore di lavoro, alla sua successiva e necessaria distruzione: soltanto la caducità delle cose può portare alla rinascita, perché la forza distruttrice è la stessa che dà origine alla vita. Nei mandala i chicchi di riso, con i loro colori naturali o impregnati di pigmento, diventano pixel manipolabili che si affiancano uno dopo l’altro seguendo un progetto preciso.
Il più recente mandala formato da chicchi di riso è quello realizzato a Venezia da Michelangelo Pistoletto in occasione di Open 18, la manifestazione di scultura che si è recentemente svolta al Molino Stucky. È una nuova versione, la rivisitazione di un work in progress che presenta, nella forma di un simbolo dell’infinito con l’aggiunta di un terzo cerchio, “la fusione tra il primo e il secondo paradiso”. Dopo quello naturale e quello artificiale (artefatto), “consiste nel condurre l’artificio, cioè la scienza, la tecnologia, l’arte, la cultura e la politica a restituire vita alla Terra, congiuntamente all’impegno di rifondare i comuni principi e comportamenti etici, in quanto da questi dipende l’effettiva riuscita di tale obiettivo”.

Michelangelo Pistoletto, Terzo paradiso - Molino Stucky, Venezia 2015

Michelangelo Pistoletto, Terzo paradiso – Molino Stucky, Venezia 2015

Ecco dunque nel primo cerchio le briccole recuperate nella laguna veneta, legni secolari come residuo della natura; nel secondo l’homo faber è rappresentato da un ammasso di coloratissimi scarti dei vetri di Murano e nel terzo una rosa camuna tracciata con riso nero Venere si stacca dal fondo di riso bianco per innescare una beneaugurante spirale di crescita della consapevolezza.
Il riso risorge con risolutezza e, senza essere irrisorio, è comunque intriso di risonanze risolutrici. Come avrebbero potuto dire gli antichi romani, “risus abundat in o(pe)re sculptorum”.

Carlo e Aldo Spinelli

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #28

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Carlo Spinelli

Carlo Spinelli

Laureato in Lettere Moderne e iscritto a Storia Antica, viaggia mangia e scrive in ordine sparso per ItaliaSquisita, Rolling Stone, La Cucina Italiana e Wired. Approfondendo l'antropologia dell'alimentazione nel contemporaneo mangiare, tra culture e geografie all'antitesi, ama in egual misura…

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