Sistema moda. Fuori un manager, dentro un creativo
Sono cambiati i vertici della Camera Nazionale della Moda: Carlo Capasa, l’imprenditore di Costume National, è subentrato alla manager Jane Reeve. Ed è sempre più visibile un progetto di ricostruzione del made in Italy che non segua solo superate logiche commerciali.
PER UN MANAGER CHE LASCIA…
Jane Reeve era stata chiamata alla guida della Camera Nazionale della Moda un anno e mezzo fa, quando scesero in campo i maggiori imprenditori e manager della moda del Paese; venne scelta come l’amministratore delegato che avrebbe dovuto guidare il rinnovamento con una strategia forte, per riaffermare l’immagine della moda italiana ma soprattutto la centralità di Milano. Il suo nome fu fatto da abili cacciatori di teste, quelli che trovano manager come piloti, a cui in fondo poco importa se si occupano di banane o frigoriferi.
Tutte le perplessità di chi non si sentiva rappresentato da un manager non italiano e non del settore si sono rivelate giuste: la Reeve ha lasciato il suo incarico il 30 giugno scorso. Un ripensamento deciso, che fa ben sperare sulla consapevolezza di cosa stia diventando il sistema moda italiano e di quanto sia necessario sostenere un Dna contemporaneo evoluto grazie a solide radici culturali.
… C’È UN CREATIVO CHE RADDOPPIA
Un identikit di tradizione, imprenditoria e cultura ha fatto designare Carlo Capasa come successore, il quale – oltre a prendere tutte le deleghe della Reeve – è diventato presidente della Camera al posto di Mario Boselli, ora presidente onorario.
Una scelta che segna una svolta sotto tanti punti di vista: quello che più ci entusiasma è l’idea di vedere alla guida, in un passaggio così complesso, qualcuno in grado di leggere un percorso futuro fatto anche di numeri, ma soprattutto di cultura e consapevolezza della forza delle origini per crescere. Per sviluppare un organismo nuovo che poggi su basi uniche al mondo.
Profondamente legato alla sua terra la Puglia dove è nato nel 1958, due anni prima di suo fratello Ennio, il creativo del marchio internazionale di Lecce: i suoi studi sono classici, con una laurea in filosofia, così come quelli di Ennio sono artistici. Due esempi perfetti della interpretazione di un fenomeno in evoluzione: il management contemporaneo che nasce da una visione filosofica genera numeri e la moda di oggi, che nasce da fonti alternative, genera creatività trasversale.
Non a caso gli ultimi anni di storia della moda sono caratterizzati dal forte tentativo di riscrittura di un sistema, soprattutto per far fronte alla crisi economica e alle nuove opportunità di mercato, che hanno stravolto le regole generando un caos dove si muovono bene solo certi manager senza troppi scrupoli. Un sistema pieno di lati oscuri, da dove ogni tanto arrivano notizie talmente allarmanti da giustificare la crescita di nuovi soggetti che rifiutano logiche di vendita e distribuzione e preferiscono lavorare da soli, in un habitat sano, anche se fuori da copertine e fashion week.
COME CAMBIA LA MODA
Se per l’opinione pubblica la moda significa ancora creazione libera che sfugge a ogni sistema e regola, e se fino a ieri l’attenzione era solo sul dare un’identità sociologica al fenomeno, oggi gli elementi si moltiplicano. Parlare di moda non vuol più dire soltanto stile, materiali, design, ispirazione; significa fare i conti con operai cinesi che muoiono in Toscana come in Bangladesh, oche spennate e Roberto Saviano che ci sveglia dal sogno del red carpet, raccontandoci in Gomorra che certi abiti indossati dalle star vengono cuciti nei sobborghi di Napoli da artigiani pagati 600 euro al mese, senza garanzie sindacali. Decade il concetto di falso, di mano d’opera e made in Italy, ma soprattutto la paura della produzione cinese che ci ruba il know-how: ora sappiamo bene che siamo noi i loro migliori clienti, e loro i nostri, da quando aprono mall e centri commerciali talmente grandi che si possono riempire solo grazie alla nostra produzione cosiddetta parallela.
Insieme alla grande industria, quella che non può rallentare la corsa, quella che produce il bisogno continuo con ogni mezzo affabulatore, quella che si dichiara creativa e lavora spesso con i grandi artisti per aggiungere valore al valore e giustificare la spesa enorme di chi compra quella borsa e così può dire “è di fatta da!”, esistono bellissime storie, eventi collaterali che, come spesso succede, sono più interessanti del calendario ufficiale.
MUSEI E FORMAZIONE
Si deve a questo l’ottimismo per la nomina di Capasa, alla sua figura che rappresenta la storia e la serietà di un brand che un anno fa e dopo ventitré anni di assenza, per fare squadra è tornato a sfilare a Milano da Parigi.
Figure come lui sono presenti nelle mostre d’arte e design, nei dibattiti e nei luoghi di cultura della moda, nelle occasioni sempre più valide di analisi di questo sistema che si sta consolidando su un giusto livello di comunicazione, non più redazionale ma durevole nel tempo. Protagonisti fondamentali di una storia contemporanea della moda capaci di portare finalmente l’abito nel museo, come ha fatto Maria Luisa Frisa (insieme ad Anna Mattirolo e Stefano Tonchi) al Maxxi con Bellissima, o di creare dibattiti internazionali come Momenting the Memento, curato da Linda Loppa del Polimoda, che ha riunito esperti e 46 istituti di moda del mondo a Firenze, per discutere il valore culturale della moda e del futuro della formazione attraverso un dialogo interdisciplinare con i linguaggi dell’arte contemporanea e della cultura.
Clara Tosi Pamphili
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #25
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