Curatori: ne abbiamo ancora bisogno? Vol. I

Le cronache dell'ultimo decennio hanno inferto colpi durissimi alla figura del curatore (la situazione economica, le dichiarazioni di "indipendenza" da parte degli artisti, la riaffermazione di un’esigenza critica e teorica, la sovrabbondanza delle figure professionali a disposizione). Qual è il ruolo del curatore oggi? A cosa serve la sua professionalità e in cosa consiste esattamente? L’abbiamo chiesto a chi lo fa di mestiere. Qui trovate la prima parte, e sul numero 24 – in uscita per MiArt – la seconda tranche.

LAURA BARRECA
Non credo si tratti di marginalizzazione della figura del curatore, piuttosto di una specie di dilatazione naturale di orizzonti, e anche di ruoli. L’identità del critico-curatore si è evoluta in una dimensione collettiva, all’interno di processi generativi aperti e influenzati da altre discipline, non necessariamente incardinati nell’area delle arti visive. Nella ridefinizione dei confini di genere, la sua condizione si avvicina più all’idea di un “mediatore culturale”, abile nel leggere e ibridare i formati del contemporaneo, nel trovare linfa in contesti culturali eterogenei, nel coinvolgere sensibilità artistiche diverse. D’altronde la stessa cosa sta accadendo anche in altri ambiti creativi e con altri soggetti, come scrittori ed editori, musicisti e compositori, registi e attori, intellettuali che di fronte a linguaggi nati all’interno di questo meticciato culturale invertono e mixano modalità di produzione e di relazione. In Italia penso positivamente all’investimento che Gianluigi Ricuperati sta realizzando con Domus Academy e all’esperienza di Hans Ulrich Obrist, protagonista internazionale di questo orientamento.

Andrea Lissoni

Andrea Lissoni

ANDREA LISSONI
C’è una differenza che non va persa di vista: quella tra il curatore che lavora in un’istituzione e il curatore indipendente. Per quello che riguarda il primo, l’elemento distintivo è la formazione storico-artistica. A seguire, la capacità di plasmarsi nell’istituzione, interpretandone la visione e contribuendo a darla, in discussione con i colleghi e con il direttore, attraverso il programma e la strategia di collezione (qualora l’istituzione collezioni). Questi sono e resteranno gli strumenti base. Abbinati all’invenzione e alla visionarietà, determinano necessità e distinzione della professione. Per quello che riguarda il curatore indipendente, le possibilità sono molte e da reinventare costantemente, in un campo che va dall’organizzare spazi o modelli di condivisione a ripensare la mostra di lunga durata come lo strumento unico o principale. Molto può ancora succedere online e, una volta sbollita la promozione di sé, il sostegno di un’idea, di un progetto o di un gruppo sono ancora tutti da esplorare.

Marco Scotini

Marco Scotini

MARCO SCOTINI
Le quotazioni della curatela sarebbero cadute? Da un punto di vista culturale, sicuramente! Per il resto sono in crescita (come i mercati dell’arte). È un tipico fenomeno del postfordismo, in cui la cultura è una grande azienda che consuma e fa consumare. Se c’è qualcosa su cui interrogarci è la qualità (sperimentazione, messa in discussione). L’attuale stallo si deve alla quantità di fiere, biennali ecc. Come si fa a soddisfare dei pubblici che dovrebbero essere continuamente qui e altrove, più in aereo che sulla terraferma, tra migliaia di artisti, che poi passano nelle centinaia di riviste a rotazione? Chi si ricorderà di tutti e di tutto? Vedo poco o nulla di nuovo all’orizzonte. Tutto si ripete come un calco: stesse formule, stesse attese da appagare. Se una svolta radicale ci dovrà essere, il curatore non potrà che forzare i formati espostivi (tempi e spazi), inventarsi qualcosa di non precodificato, non preoccuparsi dei numeri. Dovrà, finalmente, curare (nel vero senso) una mostra. Ma si tratterà ancora di una mostra?

Vincenzo Trione

Vincenzo Trione

VINCENZO TRIONE
La figura del curatore è un’invenzione che ha recentemente preso piede in maniera prepotente nel sistema dell’arte, mettendo in ombra la categoria dei critici, che è poi quella in cui mi riconosco maggiormente. Bisogna a mio parere fare una precisazione: fino a vent’anni fa la figura del critico riassumeva in sé diverse identità, dal lavoro in università a incarichi di responsabilità pubblica, fino all’impegno nei giornali e naturalmente alla curatela delle mostre. Successivamente sono subentrati i curatori come li conosciamo oggi, i quali sembrano condurre una ricognizione e una documentazione dell’arte, però scevra da punti di vista. Si limitano ad aderire al presente. Credo che oggi, in un momento in cui le arti diventano simili a un disomogeneo paesaggio, occorra avere una coscienza critica capace di saldare informazione e documentazione, con una visione interpretativa chiara e un punto di vista specifica. Sin dall’epoca di Apollinaire e di Marinetti, i critici si confrontano con gli artisti. I curatori di oggi sembrano avere perso quella indispensabile autonomia, che dà forza al dialogo con chi inventa forme e mondi.

Luigi Fassi

Luigi Fassi

LUIGI FASSI
Concordo in parte con queste proposizioni. Sta ad esempio emergendo con chiarezza la figura del produttore, in mediazione tra l’artista e l’istituzione, e un suo rafforzamento (anche in termini di elaborazione teorica assieme all’artista) può certamente mettere in ombra l’attività del curatore. Ma non credo che quest’ultima figura sia in crisi. Parlando di economia, in un contesto di difficoltà come quello europeo, è più che mai il curatore stesso a saper reperire fondi quando necessario, tramite il suo network di contatti. Sempre più curatori operano inoltre come advisor per collezioni private e si sono saputi ritagliar in tal senso un territorio di operatività vasto, ricco e in forte espansione, mettendo semmai in crisi la figura dell’advisor non curatoriale. Dove questa espansione dei curatori verso terreni di forte profittevolezza economica (la consulenza diretta al collezionismo privato, ma anche alle fiere) possa condurre il loro ruolo, è poi difficile dire.

Silvia Litardi - photo © Francesco Survara

Silvia Litardi – photo © Francesco Survara

SILVIA LITARDI
La pratica curatoriale contemporanea sembra essere un paradigma ibrido grazie al quale si declinano, in modi diversi, molte azioni: dalla lettura del processo artistico, del contesto in cui si decide di agire, dell’opera d’arte negli spazi in cui prende corpo e si espone (siano essi materiali o immateriali) sino a includere funzioni che avvicinano il curatore a un imprendicultore, per usare una formula di Olav Velthuis, che “stringe alleanze fuori e dentro il mercato dell’arte e realizza progetti nella guisa di joint venture creative”. Soprattutto per chi, come me, si occupa della produzione attuale, non credo vi sia un unico modus curatoriale, piuttosto si tende a costruire un “immaginario curatoriale”. La frequente dichiarazione di indipendenza da parte degli artisti rispetto a figure professionali quali i critici e i curatori, dice del desiderio di autodeterminarsi, il che libera il curatore, nel caso specifico, da una presunta attitudine tutelare, maieutica o, peggio ancora, esplicativa: è l’emancipazione delle identità, l’interdipendenza paritaria, che fa dell’arte un ecosistema fertile in cui la costruzione di valore è ripartita tra tutti gli attori. “La cultura è la precauzione di chi pretende di pensare il pensiero restando fuori dal suo percorso caotico” (Édouard Glissant) e la curatela è per me una forma di impegno per pensare il pensiero da dentro.

Gianluca Marziani

Gianluca Marziani

GIANLUCA MARZIANI
Il momento attuale evidenzia una ridefinizione di tutti i ruoli, a cominciare dall’artista, che sta spostando competenze e impegni. Il curatore deve ormai identificarsi con la figura ideale di un “hub”, un terminale d’ingresso e uscita che sappia definire, codificare, filtrare, rielaborare, produrre e distribuire in modo armonico e funzionale. Il cosiddetto “art curator” fonde assieme i ruoli cinematografici del regista e del produttore, creando una competenza dinamica che assume una forma imprenditoriale dentro le meccaniche culturali. È un modello che esige qualità sempre più elevate, anche per tenuta fisica e psicologica visto l’incrocio strategico di spostamenti fisici e relazioni multidisciplinari. Saranno sempre meno i curatori di elevato profilo, ma quelli in gara avranno competenze strategiche che i colleghi oggi “adulti” (a parte rarissimi casi) non detengono. Un art curator competitivo dovrà tessere fili di connessione tra mondi vicini e distanti, inventando processi virtuosi di scambio, elaborando modelli produttivi che difendano il valore culturale attraverso la strategia finanziaria, comunicativa e distributiva del progetto.

Luca Beatrice

Luca Beatrice

LUCA BEATRICE
In questi anni, in Italia, si è confusa molto la figura del curatore con quella del direttore di museo. Sto leggendo questo bellissimo libro di Hans Ulrich Obrist intitolato Fare Mostre, che racconta il curatore come una persona di cultura, in grado di combinare modi diversi, fare diversi e molteplici discipline. Si tratta di un approccio più nomade che non significa necessariamente “freelance”, ma sicuramente richiede una vocazione meno istituzionale. Penso a figure come Jan Hoet, che comunque è stato allo Smak di Ghent per molti anni, o a Jeffrey Deitch. Ho visto in controtendenza la Biennale di Massimiliano Gioni, una mostra dall’impianto molto forte, e come ho anche scritto Shit ad Die di Maurizio Cattelan ci manda un po’ tutti in pensione: è stata una mostra dal concept molto forte, in grado di studiare e di comprendere il luogo, lo spazio, la città…

Alessandro Facente (alle spalle Marc Fornes and Jana Winderen's Situation NY - Storefront for Art and Architecture)

Alessandro Facente (alle spalle Marc Fornes and Jana Winderen’s Situation NY – Storefront for Art and Architecture)

ALESSANDRO FACENTE
Costruire teorie. Questo lo strumento che abbiamo. Teorie sull’opera degli artisti italiani della nostra generazione che possano accompagnarla nel lungo tempo, così che aderisca criticamente ai suoi cambiamenti. Negli ultimi anni gli artisti hanno ridefinito il proprio ruolo a fronte di cambiamenti che imponevano un riavvicinamento delle arti visive alla quotidianità. Lo hanno fatto producendo lavori per l’unico pubblico che è rimasto a guardare e nell’unico luogo che è rimasto da visitare: la gente comune e i luoghi della loro vita ordinaria. È nelle grandi e piccole comunità che hanno conquistato la loro indipendenza – dal mercato soprattutto – lavorando in maniera più inclusiva. La curatela invece si è chiusa in se stessa. Se da una parte ciò ha portato a nuove forme di exhibition making o alla pubblicazione di testi specifici che ne hanno definito l’identità e la storia, dall’altra ha però limitato il suo ruolo di costruzione e diffusione di teorie. È sulla base quindi di un approccio altrettanto inclusivo nella vita dell’artista che la curatela può dare oggi il suo contributo. Un impegno critico basato su di un meccanismo che io definisco “curaticism”, dove il curatore/osservatore costruisce contemporaneamente la lettura critica di un fenomeno visivo in evoluzione e la visione curatoriale che vede collocare quello stesso fenomeno in una società che impone esigenze altrettanto in evoluzione.

Luca Massimo Barbero - Photo Andrea Pattaro, Agenzia Vision

Luca Massimo Barbero – Photo Andrea Pattaro, Agenzia Vision

LUCA MASSIMO BARBERO
Non sono così sicuro che l’ultimo decennio abbia inferto colpi mortali alla figura del curatore. Penso invero che il flusso straordinario di manifestazioni artistiche abbia semmai selezionato, affinato e indicato tipologie e complessità diverse e “alterità” del semplice ruolo curatoriale di cui ogni microateneo italico “insegna” la magia. Gli artisti, di contro e con felicità, da sempre sottolineano la necessità di un chiaro distinguo tra i ruoli, confermando però l’attenzione alla figura di curatore con cui condividono sempre più il percorso pubblico, quella che un tempo si sarebbe chiamata carriera. Mi sembra che l’ultima Documenta (fortissima curatorialmente) così come l’ultima e la prossima Biennale di Venezia non facciano che confermare l’importanza e la “visione” del curatore, nelle sue accezioni di organizzatore, aggiornatore, vaticinatore (sempre meno) e di – perché no? – impresario del pensiero.

a cura di Santa Nastro e Valentina Tanni

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #23

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Santa Nastro

Santa Nastro

Santa Nastro è nata a Napoli nel 1981. Laureata in Storia dell'Arte presso l'Università di Bologna con una tesi su Francesco Arcangeli, è critico d'arte, giornalista e comunicatore. Attualmente è vicedirettore di Artribune. È Responsabile della Comunicazione di FMAV Fondazione…

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