Biennale di Venezia. Il padiglione della Croazia spiegato da Damir Očko
Damir Očko rappresenterà la Croazia alla 56. Biennale di Venezia. Il padiglione ospiterà una rivisitazione, un’estensione inedita di uno dei processi visuali più poetici e maturati dell’intero percorso dell’artista. Tra il corpo umano, le sue valenze sociali e le sue sospensioni dall’essere.
TK sono le due lettere impresse all’inizio della sequenza d’apertura di un film, una componente di The Studies on Shivering. Queste due sole lettere in stampatello, bianche su nero, danno un nome al silenzio che precede il film. Potrebbero essere le iniziali di una persona speciale alla quale il lavoro è dedicato, o forse le iniziali del nome di un personaggio analizzato dalla pellicola. Oppure potrebbero abbreviare/rappresentare la narrativa del film, la sua metafora, la sua atmosfera, rivelata in una sorta di ampliamento linguistico nella T e nella K. TK in realtà fa riferimento a una descrizione onomatopeica del suono che fanno i denti quando battono gli uni con gli altri, quando sono chiusi in un morso, come una pietra che colpisce il suolo.
Ma l’inizio del lavoro che porta proprio questo titolo, TK, comincia con la mano di un uomo anziano che impugna una matita al di sopra di un foglio di carta e comincia a disegnare attraverso una serie affilata, decisa di gesti nervosi che riveleranno la scrittura di una frase. Quel che si nota è, e resta, del corpus scrivente, la mano, poco al di sopra di una manica; una mano che trema e che si muove senza quasi controllo, attraverso effetti ben riconoscibili del morbo di Parkinson. Tra parole riconoscibili e inquadrature celate completamente alla telecamera dall’arto scrivente, si alternano sequenze di uomini tenuti in piedi, in mezzo alla neve, nudi, con i muscoli contratti, come se tutto fosse immune. Come se.
Sulla base di questa esperienza filmica, gli shivering bodies di Damir Očko (Zagabria, 1977) estenderanno loro stessi, attraverso un nuovo capitolo The Shivering: The Third Degree, oltrepassando la nozione benjaminiana di oscillazione tra la violenza che stabilisce la legge e quella necessaria a mantenerne l’ordine regolamentatore.
Potresti spiegare e descrivere il titolo/tema scelto per presentare la tua mostra al Padiglione croato? In quale modo The Shivering: The Third Degree è stato concepito?
Il titolo e i temi selezionati per il progetto provengono da un lavoro che sto sviluppando da tempo. The Studies on Shivering sono stati esplorati in diverse mostre, prendendo forme e assumendo approcci differenti. Attraverso questi passaggi sono stato in grado di investigare alcuni temi-cardine che mi interessavano. Ma, soprattutto, il progetto si misura e tratta con le modalità secondo le quali la condizione umana può rappresentare un ampio contesto socio-politico.
A Venezia come si svilupperà questo work in progress?
La direzione che il progetto sta per prendere, all’interno del Padiglione croato, sta emergendo, prendendo luogo e crescendo proprio da The Studies on Shivering, ma sta anche portando tutte le sue componenti iniziali a un livello più alto. The Third Degree è un nuovo film e il modo con il quale si relaziona con TK, che era semplicemente un elemento filmico, una parte di The Studies on Shivering, si presenta attraverso l’analisi di temi riguardanti le etnie. Soggetti che emergono dalla modalità secondo la quale TK è stato filmato.
Attualmente, però, sussiste una nuova direzione del lavoro, una sorta di confessione sull’arte in grado di creare processo e allo stesso tempo di aprire la mente su un’intera, nuova struttura di questioni e di domande. Temi che si relazionano con il corpo umano considerabile come materia politica e sociale.
Come interagiranno con i visitatori le tue installazioni? Quali sono i luoghi, le sedi e le location che hai attraversato per comporre questo progetto?
La mostra è concepita come uno spazio tra due film. Verrà allestito un set di lavori che faranno viaggiare il visitatore attraverso le due pellicole. L’idea è che la transizione da un film a un altro offra un’apertura narrativa composta da numerosi temi sui quali il pubblico si deve interrogare. Entrambi i film sono abbastanza focalizzati e, in un certo senso, completi, ma il ruolo dei lavori aggiuntivi e il passaggio tra i due poli che li contengono diventano fondamentali per lo spettatore per spalancare il pensiero su un terreno ricolmo di temi trattati dal progetto, nella sua interezza.
Qual è la tua definizione di corpo umano? E come questo può essere, all’interno della tua pratica, rappresentato al meglio (attraverso supporti, concetti nuovi media, nuovi elementi ecc.)?
Sono molto interessato al corpo umano in quanto soggetto sociale. Non particolarmente a compierne un’analisi biologica comparata. Sono affascinato dalla sua dimensione poetica. Io lavoro con corpi umani che sono, in certa misura, a uno stadio differente rispetto al reale e provo a lavorare con le loro differenze per vedere come la società si muove attraverso di essi, comportandosi come un corpo in sé e per sé.
E quale definizione riservi per violenza? Come potrebbe essere rappresentata, evocata e immaginata dalla tua pratica artistica?
Ad esempio, i corpi tremanti di giovani uomini filmati in un paesaggio invernale, in TK rappresenta una sorta di stadio nel quale il meccanismo del controllo è fallito. Questa è una metafora sociale per uno scenario possibile, comunque riassume anche l’atto di violenza come nucleo meccanico che permette che ogni gesto accada.
Il film in sé investiga differenti angolature di violenza e oscilla costantemente tra gli ampi spazi del paesaggio e lo spazio dedicato alla società. Sto provando a ricercare la violenza latente all’interno di quest’ultimo che si può percepire come un fiume sotterraneo all’interno della nostra società.
Quale tipo di scenario visuale ritieni che il tuo lavoro presterà al Padiglione Croazia in Biennale?
Mi auguro di dar vita a una mostra che il visitatore percepisca come avventurosa. Sarei lieto di vedere persone che in un certo senso abitassero all’interno della pellicola, arrivando a investigare i lavori, leggendo le poesie, pensando alla costellazione di elementi rappresentati. Sapendo quando è difficile e gremita la Biennale di Venezia, anche in termini di investimento partecipativo richiesti al pubblico, sarebbe meraviglioso che a loro rimanesse il senso dell’avventura e che la loro curva dell’attenzione rimanesse sempre alta, durante la mia mostra.
Potresti spiegare come la storia e l’architettura del Padiglione croato attiverà un dialogo con i tuoi lavori? Che cosa ne hai pensato, durante il primo sopralluogo realizzato con l’intenzione di installare la tua mostra personale in Biennale?
Lo spazio è davvero splendido e vasto, ma allo stesso tempo offre in se stesso l’intimità discreta, perfetta per la mostra che ho intenzione di allestire. Ci saranno momenti in cui i lavori entreranno in completa interazione con lo spazio, con momenti in cui accadrà di più e altri in cui succederanno meno interventi.
La mia prima impressione, quando ho compiuto il rituale sopralluogo di visita, è stata lampante: è stato come se sapessi esattamente quale tipologia di mostra dovesse prendere luogo lì in mezzo.
Visualmente, quale tipologia di esperienza percepiremo, attraverso l’espansione della durata temporale di un progetto come TK che hai sviluppato negli ultimi anni e attraverso i nuovi lavori costituiti in parallelo?
All’inizio di questa intervista ho parlato molto brevemente dello spazio di passaggio, un ambiente installativo tra i due film che verrà popolato da altri lavori, creando una sorta di percorso dedicato alla coscienza interiore. Per ora, ecco, non sono in grado di rivelare al momento, altrimenti scopro troppo il progetto.
Come Studies on Shivering: The Third Degree connetterà le proprie tematiche con il tema principale della 56. Biennale, All the World’s Futures?
Io sento che, in qualche modo, il mio lavoro appartiene al tema principale, scegliendo argomentazioni simili, ma da un punto di vista poetico molto differente. La violenza latente nei miei lavori rispecchia questioni e nozioni dovute all’instabilità tra lo stato apparente della tranquillità e la violenza implicita del mondo contemporaneo globalizzato.
Potresti esprimere un pensiero o formulare un desiderio che accompagni come un invito il visitatore al Padiglione Croazia?
Mi auguro che il visitatore possa credere nei lavori esposti durante la mostra e possa vivere il tempo che è insito in questi lavori. Desidero che un senso di perdizione, ma anche di avventura possa guidare il visitatore attraverso la mostra, che possa esplorare e riconnettere i lavori alla propria esperienza personale. Ci sono moltissimi elementi interconnessi: la poesia, i film, le installazioni sonore, i collage, gli oggetti delicatissimi…
Ginevra Bria
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