Il senso dell’architettura per il proprio tempo. Intervista a Nicola Di Battista

Abbiamo intervistato Nicola Di Battista, che da settembre sarà alla direzione di Domus, storica rivista di architettura. Qualche domanda sulla sua visione del panorama architettonico oggi e sul suo rapporto con le arti visive.

Da settembre sarà il nuovo direttore di Domus, la prestigiosa rivista d’architettura. Nel frattempo è il curatore, al Mart di Rovereto, di una mostra su Adalberto Libera. Insegna progettazione architettonica all’Università di Cagliari, ma vanta frequenti incarichi anche in università europee. Non per nulla, in primavera lo avevamo incontrato alla Technische Üniversität di Vienna in occasione di un convegno a cui era invitato come relatore, e il suo intervento ci era parso interessante. Siamo poi andati a trovarlo nel suo studio di Roma. Tra le altre cose, volevamo approfondire con lui certe sue posizioni sul concetto di contemporaneità in architettura, e il suo rapporto con le arti visive.

Architetto Di Battista, sta andando incontro a un compito oneroso, la direzione di Domus, la storica rivista di architettura fondata nel 1928 da Giò Ponti
Sì, indubbiamente oneroso, ma anche entusiasmante, data la sua storia e i personaggi che vi hanno fatto scalo rendendola una delle riviste più famose al mondo. E le dirò che l’ambiente non mi è del tutto estraneo: sono stato vice direttore di Domus dal 1989 al 1995.

E come direttore quale impronta vorrà darle?
Principalmente, vorrei che fosse una rivista di architettura per architetti attraverso due nuove sezioni. Una dedicata al progetto architettonico, costituita quasi esclusivamente da materiali illustrativi, quindi con il minimo possibile di scrittura. L’altra sezione, invece, da dedicare a tutto quanto può servire a svolgere la professione dell’architetto, affrontando temi specifici come la preparazione dei concorsi, o l’aspetto manageriale del lavoro.

Nicola Di Battista – Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria (Sala ipogea) – Courtesy Studio NDB Roma

Nicola Di Battista – Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria (Sala ipogea) – Courtesy Studio NDB Roma

Intanto, ecco la sua mostra al Mart di Rovereto dedicata ad Adalberto Libera nel cinquantenario della morte. Cosa c’è di nuovo?
Libera, uno dei pionieri italiani del razionalismo, resta una star indiscussa del nostro passato architettonico nella sua svolta modernista. In mostra ci sono tredici progetti; tredici più uno, inedito e particolarissimo. Sono tutti di età giovanile. Conoscendo bene il suo lavoro, ho cercato di restituire al pubblico le prospettive ottiche e mentali che lo hanno portato a concepire la visione di una “sua” città ideale.

Parliamo un po’ di lei come progettista. Ho ancora presente quel suo progetto, anni fa, in occasione del concorso per l’ampliamento del Macro, il museo comunale di Roma per l’arte contemporanea. Lei ne diede una chiave interpretativa del tutto particolare.
La mia idea nasceva da uno straordinario precedente storico. Le spiego: l’ingresso del nuovo complesso museale, affacciandosi su via Nizza, veniva a trovarsi in linea diretta con uno degli accessi principali, ma in disuso, quindi quasi cancellato, della limitrofa Villa Albani. Come è noto, Villa Albani è un luogo legato a eventi molto importanti per l’arte e l’architettura in età neoclassica. Il cardinale Albani, creatore e proprietario della Villa e del suo bellissimo parco, era diventato il più grande collezionista di arte antica. Lui, volendo aprire al pubblico le sue collezioni, aveva fatto costruire all’interno del parco quattro padiglioni, dedicati singolarmente a pittura, scultura, architettura e musica. Siamo poco oltre la metà del Settecento.

Mart Rovereto – Adalberto Libera (a cura di N. Di Battista) – Progetto per il piano di Aprilia, 1936

Mart Rovereto – Adalberto Libera (a cura di N. Di Battista) – Progetto per il piano di Aprilia, 1936

Che è l’epoca di Winckelmann, del suo soggiorno a Roma e, guarda caso, della sua permanenza, in qualità di studioso delle antichità, nella residenza del cardinale. Non è vero?
Esattamente. La coincidenza dei due luoghi, Villa Albani e il Macro, e dei rispettivi accessi, mi era parsa una situazione eccellente da valorizzare. Quella porzione di territorio aveva guadagnato la vocazione alle arti, viste nella loro scansione storica, dall’antichità fino alla contemporaneità. Il mio progetto andava in questa direzione, creando un legame effettivo mediante un itinerario di congiunzione delle due aree. Riconosco che era piuttosto impegnativo, infatti non vinse, ma, arrivando secondo, posso supporre che fu comunque apprezzato.

Per lei è davvero importante la concatenazione tra i luoghi e la loro storia?
Possibilmente sì, direi che è fondamentale. Questo intreccio lo chiamo “mettere in opera i luoghi”. Ovvero far risaltare la continuità culturale in una concreta dimensione spazio-temporale. Il che è anche un modo di conferire, o ridare, un’identità al tessuto architettonico, ma senza agire in modo mimetico rispetto alle origini. Secondo me, l’architettura deve prendersi certe responsabilità, essere il tramite per vivere meglio: io le attribuisco un valore umanistico. Mi piace citare la frase del mio amico Enzo Cucchi, artista affermato, che descrive l’architettura a misura d’uomo con queste parole: “ci calma, ci fa orientare, limita gli spaventi”.

Nicola Di Battista – Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria (Progetto generale di ampliamento) – Courtesy Studio NDB Roma

Nicola Di Battista – Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria (Progetto generale di ampliamento) – Courtesy Studio NDB Roma

È evidente che la visione di Enzo Cucchi si contrapponga agli spaesamenti e agli eccessi verso cui tende la progettazione di notissimi architetti. Cosa ne pensa?
È vero, ma la mia logica non è certo quella mostrata in una pubblicità televisiva in cui un architetto è al volante di una macchina, vede una nuvola in cielo e ha una folgorazione. Si ferma, si mette a ricalcare con rapidità la forma della nuvola sul vetro del finestrino, ed ecco bell’e pronto il progetto per un qualche edificio.

Sta per caso ironizzando verso un suo collega romano? Comunque, in tema di creatività, c’è da riflettere realmente se un’architettura possa nascere sulla rapidità di un gesto grafico…
Non solo, un edificio non può neppure essere un oggetto fatto prioritariamente per esaltare la cosiddetta creatività di un architetto. Anzi, le dirò che, usata in modo così astratto, la parola “creatività” non mi piace affatto. Preferisco parlare di “immaginazione”, concetto che ben si lega a una pluralità di fattori determinanti. L’immaginazione è quella facoltà che l’uomo ha per coniugare insieme il proprio sapere con la sensibilità per le cose, per l’ambiente, per il contesto umano.

In questo momento ha dei progetti interessanti su cui sta lavorando?
Mi sta a cuore un progetto in particolare, col quale io e il mio studio abbiamo vinto il concorso. Si tratta dell’ampliamento del Museo Archeologico della città di Reggio Calabria. Il museo, un edificio di Marcello Piacentini, è importantissimo per le sue testimonianze sulla Magna Grecia. Vi sono custoditi anche i Bronzi di Riace, le due bellissime e preziosissime sculture greche del V Sec. a.C.

Nicola Di Battista – Padiglione bar a Praiano – Courtesy Studio NDB Roma

Nicola Di Battista – Padiglione bar a Praiano – Courtesy Studio NDB Roma

Noto che lei ha una spiccata propensione per gli interventi su edifici museali.
Effettivamente sì, sono luoghi dedicati a oggetti simbolo, fonte di ammirazione e di studio. Come l’architettura, questi oggetti custodiscono le forme del proprio tempo. Può immaginare bene che l’architetto, in un’epoca in cui gli stili non esistono più, si interroghi spesso su quale debba essere l’aspetto dell’architettura contemporanea. La mia risposta è che essa non può risolversi nella nostalgia del passato, ma neppure dissolversi in formule futuribili di fantascienza. Deve essere espressione del proprio tempo, essere consapevole della propria epoca cogliendone lo spirito. Un’essenza, questa, che fonde in sé non solo fattori estetici e tecnici, ma numerose pratiche culturali, sociologiche, economiche, politiche.

Che rapporto ha con le arti visive?
Ne sono intimamente attratto, e non di rado cerco di concepire manufatti con il contributo di artisti. Così come mi è capitato più volte di essere io stesso coinvolto in progetti artistici. Tra questi ultimi, uno dei più piacevoli è stato quello in cui ho collaborato alla nascita della Fondazione Volume! a Roma.  Tanto per fare un po’ di cronaca di una quindicina di anni fa, partì tutto dall’idea di un medico chirurgo, Franco Nucci, il quale voleva dedicare all’arte un suo spazio al pianterreno di via San Francesco di Sales 86, tutto da allestire. Inizialmente, Nucci sapeva solo quello che non voleva farne: non voleva che quel suo spazio seguisse criteri e meccanismi speculativi, ma trattasse l’arte esclusivamente come fatto culturale.

Jannis Kounellis – Senza Titolo (1998) – Fondazione Volume! – Foto Amendola:courtesy Fondazione Volume! (Roma)

Jannis Kounellis – Senza Titolo (1998) – Fondazione Volume! – Foto Amendola: courtesy Fondazione Volume! (Roma)

E così avvenne, mi pare. Tant’è che ancora oggi la Fondazione Volume! risponde a questa etica, avendo sempre a capo il “mitico” dottor, anzi professor, Nucci, di professione neurochirurgo.
Nucci mi coinvolse in quanto architetto, e in breve mi trovai a lavorare gomito a gomito con un artista, Alfredo Pirri, e con un filosofo, Pietro Montani. Fu proprio Pirri a inaugurare lo spazio espositivo con un progetto che chiamare “site specific” è dire poco. La ricerca della fonte di umidità che penetrava dal pavimento fu l’ispirazione che portò l’artista a fare un’installazione che si inabissava nel terreno. La mostra successiva ebbe come protagonista Jannis Kounellis con qualcosa di memorabile.

Già che ci siamo, una curiosità: che effetto le fa il Maxxi?
L’impressione che ne ho è assolutamente ambigua, per un verso lo trovo troppo complesso, per un altro, troppo poco complesso.

Alfredo Pirri – Senza Titolo (1998) – Fondazione Volume! – Foto Giuffreda:courtesy Fondazione Volume! (Roma)

Alfredo Pirri – Senza Titolo (1998) – Fondazione Volume! – Foto Giuffreda: courtesy Fondazione Volume! (Roma)

Un’ultima domanda. Poniamo che io sia un suo committente per la costruzione di un edificio. Quale meccanismo scatta dentro di lei?
Cerco di arrivare gradualmente a un’idea forte, adeguata al luogo come allo scopo. Una cosa che non faccio mai, è quella di fissare sulla carta la prima idea che mi viene, e neppure la seconda o la terza. Diventerebbe un problema. Voglio invece sentirmi libero; creare un gioco che ponga a confronto varie idee, da cui ne possano scaturire delle altre, finché non sento di essere arrivato a un’idea forte, preminente su tutte le altre. Ecco, da quel momento comincio a disegnare.

Franco Veremondi


Rovereto (TN) // fino all’8 settembre 2013
Adalberto Libera. La città ideale
a cura di Nicola Di Battista
MART
Corso Bettini 43
0464 431813
[email protected]
www.mart.trento.it

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Franco Veremondi

Franco Veremondi

Nato a Perugia, residente a Roma; da alcuni anni vive prevalentemente a Vienna. Ha studiato giurisprudenza, quindi filosofia con indirizzo estetico e ha poi conseguito un perfezionamento in Teoretica (filosofia del tempo) presso l’Università Roma Tre. È giornalista pubblicista dal…

Scopri di più