A Napoli due appuntamenti fotografici dalla Fondazione dedicata a Paul Thorel

Le Gallerie d’Italia e la Fondazione Thorel si animano di una doppia esposizione collettiva. Da un lato ci sono i vincitori del Premio Paul Thorel, dall’altro una profonda riflessione sul potere della cultura a favore della libertà di pensiero

L’undicesima casa è il titolo scelto per la nuova mostra delle Gallerie d’Italia di Napoli, organizzata con lo spirito di promozione del lavoro degli artisti vincitori della prima edizione del Premio Paul Thorel. L’omonima Fondazione ha introdotto il premio come proposta creativa per diffondere il linguaggio dell’immagine digitale oggi, sull’eco artistica del pioniere della fotografia elettronica, Paul Thorel. L’esplorazione delle arti digitali nella scena italiana ha fatto emergere il lavoro di Lina Pallotta, Jim C. Nedd e del collettivo Clusterduck. Gli artisti hanno mosso la loro ricerca dal desiderio di alzare una voce dissonante dal sistema che impone un determinato approccio culturale, togliendo spazio alle realtà espressive più autentiche.
A seguire, una seconda esposizione continua il programma della Fondazione, pensata per mantenere vivo l’archivio Paul Thorel: in mostra le opere dei tre artisti internazionali, Shezad DawoodClaire Fontaine (James Thornhill e Fulvia Carnevale, duo fondato nel 2004) e Sigmar Polke.

Paul Thorel, Cairo Crowd N°21. Courtesy Fondazione Paul Thorel Napoli
Paul Thorel, Cairo Crowd N°21. Courtesy Fondazione Paul Thorel Napoli

La mostra L’undicesima casa alle Gallerie d’Italia di Napoli

Gli artisti vincitori del Premio Paul Thorel in mostra a Napoli

Il primo incontro è quello con le opere di Lina Pallotta, fotografa con lo sguardo attento su chi si nasconde. I personaggi marginali della scena sociale diventano i protagonisti delle sue ricerche: i transessuali, gli emarginati, i trasparenti agli occhi umani, nelle loro storie più intime o nelle lotte più energiche, sono oggetto di indagine dell’artista. La fotografia di Pallotta è sincera; squarcia il velo della menzogna e del giudizio, andando ad afferrare e proporre alle moltitudini quelle crude realtà troppo spesso edulcorate o sbiadite dietro i mostri dell’individualismo.
Il percorso conduce, poi, ai lavori di Jim C. Nedd, fotografo e musicista italo-colombiano, che ha saputo cogliere gli intrecci primordiali dell’uomo: nelle visioni dell’artista seguiamo un gruppo di napoletani immerso nello spazio naturale in un inno alla libertà d’espressione. Le immagini risultano quasi oniriche, sprazzi di vitalità condensata nel buio paesaggio: è tra le ombre che si dipanano i moti perpetui della socialità in un atto schietto con la natura.
A conclusione della mostra sono proposte le opere di Clusterduck (Tommaso Cappelletti, Silvia Dal Dosso, Francesca Del Bono, Arianna Magrini, Noel Nicolaus). Il collettivo si pone l’obiettivo di analizzare e sviscerare i contenuti visivi tipici del web. Internet – dai blog ai suoi albori fino agli odierni social media, pop-up e ads veicolati da disposizioni autocratiche – definisce simbologie di un alfabeto ormai comune ai più. Le immagini trovate sul web e manipolate dagli artisti sono dei collage digitali che sfidano gli strumenti grafici di Photoshop spingendo verso nuove forme di libertà visiva.

Il valore corale della mostra di Napoli

Il titolo della mostra richiama il concetto astrologico dell’undicesima casa, in cui risiedono i concetti di equilibrio nei contesti sociali. Comunemente definita la casa dell’amicizia, questo spazio rappresenta la capacità di condividere ideali e speranze, il desiderio di formulare proficue relazioni osmotiche tra comunità, ecosistemi e principi. Sull’eco di tale koinè si dipana la mostra come miscelatore di racconti sociali tenuti a distanza dallo status quo: qui si perdono i confini e i paesaggi naturali, artificiali e digitali si confrontano, diventando elementi fondamentali per la narrazione del presente storico.

La mostra Blind Spot alla Fondazione Thorel di Napoli

Un’esposizione fotografica sul senso delle collettività

Blind Spot è il titolo della seconda mostra, teso a sottolineare l’interesse attivo per l’immagine invisibile che consente la despotizzazione sulle masse veicolando la cultura. L’idea nasce dall’intuizione del fisico francese Edme Mariotte secondo il quale esisterebbe un punto cieco nell’occhio umano: il vuoto che si forma nella retina è compensato dalla capacità del nostro sistema oculare di alterare l’informazione senza percepire il bug.
Èl’analogo sistema del glitch visivo che ci propone immagini dell’inconscio collettivo ormai universalmente riconosciute.

La ricerca di Paul Thorel rivive nei fotografi in mostra a Napoli

La ricerca iniziata già in precedenza da Paul Thorel è perpetuata in Cairo Crowds (2011), opere fotografiche di grandi dimensioni rappresentanti le masse e le moltitudini durante la Primavera Araba rese note dai canali YouTube in opposizione al proibizionismo dei media da parte del governo egiziano.
Segue il lavoro di Shezad Dawood, artista che mette in scena la dicotomia tra Oriente e Occidente, indagando con sarcasmo le contraddizioni politico-ideologiche ancora oggi troppo persistenti.
Le opere di Claire Fontaine – pseudonimo al femminile che rende omaggio a Duchamp – raccontano la tragica condizione degli esseri umani succubi di una rete geo-politica che perimetra piuttosto che includere.
Sigmar Polke, deciso contestatore dei perbenismi borghesi e radicalmente sovversivo rispetto al rigoroso clima politico degli Anni ‘70, si inserisce nella mostra con un’opera performativa e collettiva che, con mixed media, traduce la fusione di arte e vita del suo tempo. La forza creativa comunitaria è un fuoco ad oggi imperituro, che ancora sussurra il pensiero artistico come forma di contestazione alla politica soffocante.

Elizabeth Germana Arthur

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