Storie di bambini abbandonati in una mostra a Torino

Negli spazi di un’ex brefotrofio va in scena una mostra di grande impatto emotivo: le storie dei bambini abbandonati alla nascita, raccontate in prima persona da uno di loro

Dall’iniziativa delle direttrici Ginevra Pucci e Stefania Poddighe nasce Habitat, Ecosistema per le Culture Contemporanee. Flashback Art Fair mette così radici in Corso Lanza 75, a Torino, con un progetto annuale che propone una ricca programmazione incentrata sulla creatività in tutte le sue forme. Tra gli eventi in corso, la mostra Una vita migliore, frammenti di storie dell’IPI di Torino.

Documentazione fotografica proveniente dall'Archivio Provinciale di Torino

Documentazione fotografica proveniente dall’Archivio Provinciale di Torino

LA MOSTRA “UNA VITA MIGLIORE” A TORINO

Alessandro Bulgini è il regista di una mostra che intende dare voce alle struggenti storie dei “nativi”, ovvero i bambini, oggi adulti, cresciuti proprio nelle sale espositive del Padiglione B di Corso Lanza, un tempo brefotrofio di Torino. Una vita migliore, frammenti di storie dell’IPI di Torino è un’opera corale che narra le vite di fratelli e sorelle di culla, attraverso frammenti originali: giornali dell’epoca, documenti provenienti dagli archivi storici e testimonianze video.
L’allestimento ideato da Bulgini proietta il pubblico nel vecchio brefotrofio di Torino. Nello spazio espositivo del presente si sovrappongono le immagini dell’edificio del passato, grazie alle riproduzioni fotografiche di grande formato che invadono le pareti. Le culle, le suore, gli infanti (cresciuti, e spesso nati, tra quelle stanze) fanno da sfondo ai ritratti video dei nativi i quali, attraverso i ricordi, riattivano la memoria di un luogo che la città sembra aver dimenticato.

Documentazione fotografica proveniente dall'Archivio Provinciale di Torino

Documentazione fotografica proveniente dall’Archivio Provinciale di Torino

LA MOSTRA NELL’EX BREFOTROFIO DI TORINO

Dalla chiusura dell’Istituto, avvenuta nel 1983, segue il silenzio. “Chi sono? Perché sono qui? Dov’è mia madre?”. Raramente gli interrogativi che hanno tormentato la vita degli orfani dell’IPI trovano risposta. Loro malgrado, infatti, una legge di segretezza lo impedisce. Riuniti in un’associazione, oggi i nativi lottano per ricucire il proprio passato, ricostruendo le storie che hanno deciso di condividere con il pubblico di Habitat.
Sala dopo sala, ciascuna contrassegnata al suo ingresso dalla parola “ma” che si ripete (ma, mama, mamma), il crescendo emotivo non lascia indifferenti.
Ad accentuare il dato empatico è il nativo Gianluca, guida d’eccezione, che scorta i visitatori lungo il percorso di dodici sale, offrendo una narrazione intima fatta di sorrisi e attimi di spontanea commozione.

Gemma Gulisano

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