Muore a 53 anni Alessandro Cimmino, architetto e poeta della fotografia. Un ricordo

A ricordarne lo stile e la ricerca è il collega e amico Emanuele Piccardo, che si sofferma sul progetto di Levanto, Mare Alto, e su quello dedicato al viadotto del Polcevera, tragicamente crollato il 14 agosto di quattro anni fa

Nato a Napoli, Alessandro Cimmino (1969-2022) studia alla facoltà di architettura. La passione per la fotografia lo porta a frequentare i fotografi Mimmo Jodice e Vincenzo Castella, figure storiche della fotografia italiana; proprio con Castella instaura un rapporto umano e professionale. Negli anni in cui lavorava nello studio di Stefano Boeri, Cimmino conosce Alessandra, la sua futura moglie, originaria di Levanto. Sarà proprio la cittadina rivierasca del levante ligure ad essere il “suo luogo”, che racconta con il suo sguardo asciutto e anti-barocco, senza nessuna concessione al formalismo ma piuttosto ad un approccio concettuale.

Alessandro Cimmino, 1182. Courtesy Alessandro Cimmino

Alessandro Cimmino, 1182. Courtesy Alessandro Cimmino

LA FOTOGRAFIA DI ALESSANDRO CIMMINO

Nasce così Mare Alto, un’opera che “è la scena prima visualizzata secoli fa dagli abitanti della costa ligure di Levante”, scrive Cimmino, “e vuole porre una riflessione sulle origini, sulla storia e sulla contemporaneità di questo paesaggio […] che a sua volta guarda la terraferma, il territorio che si trasforma e si modifica“. Una sezione verticale sul mare, con piccoli segni impercettibili: uno scoglio che affiora dall’acqua, la scia di un motoscafo. Una composizione a strati come nei quadri di Mark Rothko. Nella fotografia di Cimmino troviamo un lento disvelamento della natura delle cose a partire dalla città, suo luogo preferito di azione, che si manifesta nel bellissimo May Day: un lavoro notturno su Napoli in un periodo di tensioni sociali molto forti, dove le finestre dei palazzi sono oscurate dal fotografo. “C’è un velo scuro”, racconta Cimmino “che separa la città da chi la osserva. In realtà è la vita stessa ad essere oscurata perché qualcosa sta cambiando nella nostra città: è come se fosse spenta, addormentata“. Ricordo il racconto che lui mi ha fatto di questa ricerca, basata sull’andare di notte al Rione Sanità per non avere interferenze. La scelta di fotografare di notte amplifica sia il senso del disagio sociale, nell’attesa che qualcosa possa accadere, sia la struggente bellezza della città. Nel 2013 partecipa alla sezione Fotogrammi/Frames della mostra Architettura e reti del petrolio e del post-petrolio al MAXXI di Roma, con le fotografie sui luoghi delle pompe di benzina e le stazioni di servizio, con una serie di ritratti ai frequentatori di questi luoghi, diventati pop dopo l’opera Twenty Six Gasoline Stations di Ed Ruscha a Los Angeles nel 1963.

Alessandro Cimmino, 1182. Courtesy Alessandro Cimmino

Alessandro Cimmino, 1182. Courtesy Alessandro Cimmino

L’INDAGINE FOTOGRAFICA SUL VIADOTTO DEL POLCEVERA A GENOVA

Cimmino era un napoletano anomalo, non amava i cantautori, guardava alla fotografia tedesca dei coniugi Hilla e Bernd Becher, che ritraevano le industrie come icone, e aveva una grande dote: entrare in simbiosi con le situazioni. Quando nel 2018 iniziammo a lavorare sul crollo del viadotto del Polcevera, il noto “ponte Morandi”, lui si inventò il nome del progetto: 1182, ovvero la lunghezza dell’infrastruttura progettata da Riccardo Morandi nel 1967. Per due anni andammo in Valpolcevera con il magone nel cuore, ma con la consapevolezza che non potevamo sottrarci, come fotografi e come intellettuali, a raccontare questa catastrofe cercando, attraverso la fotografia, di ricucire il paesaggio ferito. Nel dicembre 2019 la Procura di Genova ci concesse il permesso di entrare dentro il deposito dei reperti giudiziari e fu per entrambi uno shock associare quei reperti “archeologici” alle vittime.

Alessandro Cimmino, Mare Alto. Courtesy Alessandro Cimmino

Alessandro Cimmino, Mare Alto. Courtesy Alessandro Cimmino

LO STILE E L’EREDITÀ DI ALESSANDRO CIMMINO

La sua ricerca, nel caso del Morandi, si è concentrata sul rappresentare il viadotto lacerato come un gigante immerso nel verde della valle, anche entrando nella zona rossa disabitata, dove le palazzine raccontavano di uno scenario di guerra. Recentemente, prima della pandemia, perlustravamo il monte di Portofino sulle tracce del pirata Dragut, che imperversava tra Recco e San Fruttuoso di Camogli; fotografavamo le possibili tracce del suo passaggio, immaginando gli scenari di cinquecento anni fa. Ricordo sulla spiaggia di San Fruttuoso il ritrovamento di un frammento di legno che per Cimmino era una parte della nave del pirata. Così lo stupore lo ha accompagnato per tutta la sua vita. Oggi rimane la sua eredità umana e intellettuale come un patrimonio da studiare e diffondere.

– Emanuele Piccardo

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Emanuele Piccardo

Emanuele Piccardo

Emanuele Piccardo è architetto, critico di architettura, fotografo e filmmaker. Ha fondato nel 2002 la rivista digitale elettonica scientifica archphoto.it. È stato invitato a tenere lezioni a New York, Princeton, Los Angeles, Roma, Torino, Milano, Venezia, Firenze. La sua ricerca…

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