Fotografare per esistere. La mostra di Raymond Depardon alla Triennale di Milano

Trecento scatti e due film compongono la più ampia mostra mai dedicata al grande volto della Magnum, Raymond Depardon.

Nelle campagne francesi c’è un modo di dire. Quando dalla grande città arrivano notizie di cambiamenti e novità, vengono scherzosamente ricevuti con un “ah, la vita moderna”. Proprio a questo mondo che cambia è dedicata la più ampia personale mai realizzata del fotografo e cineasta francese Raymond Depardon (Villefranche-sur-Saone, 1942), ospite della Triennale di Milano. Lo sguardo rivoluzionario di Depardon è catturato qui in tutta la sua potenza: altissimi pannelli completamente invasi dagli scatti della sua serie itinerante dedicata alla ricerca di un “luogo accettabile”, a cui sono inframmezzate le stanze con i diversi capitoli delle sue stagioni fotografiche – New York, Glasgow, i paesi occitani minacciati dal fracking, la Francia rurale e gli ormai ex manicomi italiani – nei più diversi formati, in bianco e nero e a colori. La grande capacità di ritrarre l’umano vive nei suoi scatti, sconvolgenti anche nel dettaglio più semplice: i volumi perfettamente bilanciati degli abitanti della campagna francese, con neri ricchissimi e personaggi ben definiti, si alternano ai brillanti yuppie della New York degli Anni Ottanta, proprio accanto ai volti desolati dei minatori scozzesi, devastati dalle politiche thatcheriane, e ai palloncini rosa delle gomme da masticare dei monellacci della città, a cui basta così poco per divertirsi. Ogni cosa, per Depardon, è “prova dell’esistenza di vita”, che è il significato e lo scopo stesso della fotografia. “Negli Anni Settanta”, racconta il fotografo in un intimo incontro con il pubblico, il giorno dell’apertura della mostra, “ho assistito a un rapimento, e mi è stato chiesto di riprendere l’ostaggio con la telecamera per dare prova che fosse ancora vivo. Questa richiesta mi ha sconvolto, e ho cominciato a pormi delle domande: c’era un’enorme responsabilità nel mio ruolo, anche a nome di tutti i compagni fotoreporter persi nelle guerre e negli anni, e ho cominciato a vederlo sempre di più lavorando con coloro che la storia non interpellava: i malati mentali in Italia, i contadini in Francia, gli operai a Glasgow. Non sono solo fotografie”.

Raymond Depardon, Regione Franca Contea, dipartimento del Giura, Lajoux, 2006 © Raymond Depardon Magnum Photos

Raymond Depardon, Regione Franca Contea, dipartimento del Giura, Lajoux, 2006 © Raymond Depardon Magnum Photos

LA MOSTRA DI DEPARDON ALLA TRIENNALE

La scenografia di Théa Alberola e la visione artistica di Jean-Michel Alberola – con cui Depardon afferma di avere una profonda complicità – accompagnano visitatori e visitatrici da una stanza all’altra della mostra La vita moderna, ognuna caratterizzata da un proprio colore e da una particolare disposizione delle fotografie: su tutta una parete rosa quelle, coloratissime, che catalogano la Francia contemporanea, mentre sono piccole e ben distanziate quelle con le strade polverose e infinite del periodo errante, su un muro grigio chiaro. E poi lo sfondo blu delle fotografie scozzesi, le prime a colori per l’artista, e giallissimo quello sotteso alle fotografie poste in chiusura del percorso: quelle dedicate alle persone malate di mente all’alba della legge Basaglia – con un intenso ritratto di Basaglia stesso, proprio prima dell’uscita. Insieme a questo capitolo c’è uno dei due brevi film della mostra. Se a metà percorso abbiamo infatti delle prospettive di New York – la stessa che Depardon aveva ritratto senza mai inquadrare a occhio, ma lasciando che la sua Leica appesa al collo scegliesse gli scatti per lui, sopraffatto dall’enormità della città –, alla fine c’è un’intima ripresa degli ospiti della struttura dell’isola di San Clemente, a poca distanza da Venezia e che ne condivide l’onnivora nebbia. Moltissimi, poi, i libri in mostra – Depardon ne ha pubblicati oltre sessanta – e numerose anche le citazioni, essenziali, riportate sui muri della Triennale come il laconico “Non si entra in una fattoria senza appuntamento”, per raccontare la dignità e la tradizione viva nelle campagne francesi, o l’ancora più forte consapevolezza che la macchina fotografia somigli “più a una pistola che a una fotocamera.

Raymond Depardon, Glasgow, Scozia, 1980 © Raymond Depardon Magnum Photos

Raymond Depardon, Glasgow, Scozia, 1980 © Raymond Depardon Magnum Photos

UNA VITA DEDICATA ALLA FOTOGRAFIA

Grazie alla rinnovata collaborazione fra Triennale Milano e Fondation Cartier pour l’art contemporain, che da anni segue Depardon e colleziona avidamente molta della sua produzione, sono esposte qui ben otto serie di fotografie in 1300 metri quadrati, per un totale di trecento scatti. Alla ricerca costante della giusta distanza, Raymond Depardon, nato come fotoreporter per le migliori agenzie francesi e non solo – ha fondato la Gamma ed è stato un grande volto della Magnum –, va incontro ai suoi soggetti con discrezione e umiltà, costruendo un rapporto profondamente umano con persone e luoghi, che ha imparato a fotografare tardi ma proficuamente secondo l’adagio di un regista americano: “Se sai fotografare le montagne, sai anche ritrarre le persone”. Proprio il suo amore per le persone, e la curiosità profonda che lo spinge a continuare la sua grande catalogazione dell’umano e del divenire, sono le forze motrici sottese al suo agire: è così anche nel film Dare la parola, in cui scoprì la profonda saggezza dei contadini indiani interpellati per un solo minuto alla volta. Dal Ciad al Libano, dal nord al sud del continente americano, nei deserti e nei Paesi in guerra, il fotografo ha ritratto le vie del mondo come “passeggero del (suo) tempo”, ponendo l’immagine, fissa o animata, al servizio di una scrittura semplice e, sopra ogni cosa, del soggetto. Depardon sembra poco divertito dalla sua fama, mentre ancora oggi si sposta ovunque vada con una fotocamera addosso. “Ho sempre la macchina con me”, dice sorridendo, “è come un bastone che mi supporta. Terrò sempre con me questo mio lato di fotografo”.

Giulia Giaume

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Giulia Giaume

Giulia Giaume

Amante della cultura in ogni sua forma, è divoratrice di libri, spettacoli, mostre e balletti. Laureata in Lettere Moderne, con una tesi sul Furioso, e in Scienze Storiche, indirizzo di Storia Contemporanea, ha frequentato l'VIII edizione del master di giornalismo…

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