Lisetta Carmi, fotografa della quotidianità. La mostra a Termoli

Il legame fra Lisetta Carmi e la Sardegna è al centro della mostra allestita al MACTE di Termoli. Una settantina di scatti simbolo di una fotografia che attinge dalla vita di tutti i giorni.

La mostra Voci allegre nel buio, allestita al MACTE, il Museo di Arte Contemporanea di Termoli, è una sorta di metaforico ponte sul Mediterraneo, costituito dalle fotografie dedicate alla Sardegna da Lisetta Carmi (Genova, 1924) tra il 1962 e il 1976. Un ponte che dalla Sardegna conduce al Molise, del quale non sono, tuttavia, presenti immagini. A essere esposta è una settantina di scatti, sino a poco tempo fa inediti, di una delle figure più interessanti della fotografia italiana del XX secolo.

LISETTA CARMI E LA SARDEGNA

Carmi aveva letto, alla fine degli Anni Cinquanta, su Il Mondo, la celebre rivista di Mario Pannunzio, alcuni pezzi della maestra scrittrice Maria Giacobbe sulle terribili condizioni di vita dei poveri in Sardegna, poi raccolti in un volume pubblicato da Laterza. Lisetta entra in contatto con l’intelligente autrice dei pezzi, che la presenta a una famiglia sarda, i Piras, con la quale prende a scriversi. Quindi Lisetta, curiosa e desiderosa di contatti umani, decide di partire per l’isola, dove nel corso degli anni torna più volte. Il risultato sono le immagini in mostra a Termoli. I soggetti sono i paesaggi, la gente, i bambini e le donne con le loro ritualità, ma anche uomini, tutti ritratti con grande intensità. La Sardegna è un territorio misterioso, totalmente da scoprire. Carmi, con il fiuto sociale che la contraddistingue, fotografa la Costa Smeralda prima dello scempio a favore dei super-ricchi. Ma anche Orgosolo e la sua festa della Candelaria, in cui protagonisti sono i bambini che bussano di casa in casa per fare incetta di cibi profumati che le donne hanno preparato per loro. Carmi riesce a documentare la ritualità antica, alla ricerca della quale era anche Maria Lai, che si era ristabilita nella sua terra di origine proprio in quel periodo.
La mostra molisana è una rilettura di quella proposta a Nuoro qualche tempo fa. L’attuale rassegna è stata configurata appositamente per gli spazi del MACTE e include anche alcuni scatti del lavoro sui corsi d’acqua sardi, che Carmi aveva realizzato su incarico della azienda siderurgica Dalmine, in provincia di Bergamo, e che avrebbe dovuto, all’epoca, diventare un libro.

Lisetta Carmi, Voci allegre nel buio. Exhibition view at MACTE, Temoli 2021. Photo Gianluca Di Ioia

Lisetta Carmi, Voci allegre nel buio. Exhibition view at MACTE, Temoli 2021. Photo Gianluca Di Ioia

INTERVISTA A CATERINA RIVA, DIRETTRICE DEL MACTE

Perché la scelta di ospitare la mostra incentrata su Lisetta Carmi?
La volontà è quella di dare spazio a una persona che ha saputo indagare il nostro Paese con una serie di fotografie scattate tra gli Anni Sessanta e Settanta, in particolare in Sardegna. La sua è un’analisi molto lucida del cambiamento in atto nel nostro Paese in quel particolare momento storico, alla fine degli Anni Cinquanta. Attraverso quelle immagini si riesce a scoprire il paesaggio sociale e antropologico. Mi è parso di trovare in quelle fotografie una situazione molto simile a quella del Molise nello stesso periodo.

Lisetta Carmi era entrata in relazione con il mondo dell’arte sarda, che in quegli anni contava su personaggi del calibro di Maria Lai e Costantino Nivola?
Non credo. Tempo prima, Carmi aveva letto su Il Mondo la lettera di una maestra che insegnava in una scuola elementare, Maria Giacobbe. La maestra raccontava delle condizioni di vita della gente. Parecchi bambini non avevano neppure le scarpe per andare a scuola e ci arrivavano dopo aver camminato per molti chilometri. Eravamo alla fine degli Anni Cinquanta. Lisetta si era messa in contatto con lei e aveva pagato gli studi a un bambino particolarmente meritevole di Orgosolo.

Al centro del lavoro sardo c’è un’analisi del paesaggio.
Alla fotografa era stato dato pure l’incarico, da parte dell’azienda Dalmine, di fare un’indagine sui corsi d’acqua in Sardegna e anche in Sicilia. In molte immagini viene analizzata la modifica del paesaggio attraverso l’intervento umano. Sul lavoro siciliano è stato fatto all’epoca un libro, mentre il lavoro sardo sino a oggi era poco o nulla conosciuto. In parallelo alla personale di Carmi, è esposta una selezione relativa allo stesso ambito, quello del paesaggio, costituita dalle opere acquisite dalla cittadina molisana attraverso il Premio Termoli, a partire dal 1955.

Siete una realtà relativamente recente, nata nel 2019. Qual è il vostro tipo di pubblico? Quali i progetti per il futuro?
La mia sfida è, da un lato, lavorare in maniera molto ambiziosa, portando al MACTE progetti di respiro nazionale e internazionale, ma la sfida più grande, più complessa, è proprio quella di creare un’abitudine al museo in un luogo come Termoli, che non ce l’ha. Vorrei che il turismo legato al mare potesse diventare anche un turismo culturale.

[ha collaborato Maria Celeste Sgrò]

Lisetta Carmi, Orgosolo (festa della candelaria), 1966

Lisetta Carmi, Orgosolo (festa della candelaria), 1966

IDENTIKIT DI LISETTA CARMI

È difficile trovare un sostantivo che racchiuda la complessità della figura di Lisetta Carmi, della quale qui parliamo a proposito di una piccola area della sua ricerca fotografica.
Nata nel 1924 in una famiglia della buona borghesia ebraica genovese, sorella del pittore Eugenio Carmi, Lisetta, dopo un’infanzia dorata, vive gli anni dell’adolescenza fra una fuga e l’altra, a causa delle leggi razziali promulgate nel 1938 dal governo fascista. Quegli anni segnano la sua vita, il suo percorso esistenziale, teso alla ricerca della libertà individuale, con uno sguardo sempre rivolto agli altri e al significato dell’esistenza. Si dedica allo studio del pianoforte, diventando un’ottima concertista. Quando nel 1960 il suo maestro, per la sua sicurezza, le sconsiglia vivamente di partecipare al corteo antifascista contro il convegno del Movimento Sociale Italiano, che deve tenersi a Genova, Lisetta decide che le sue mani non possono essere più importanti del resto dell’umanità. Abbandona il pianoforte e inizia a dedicarsi alla fotografia.
Il suo è uno sguardo curioso, intelligente, teso a scavare in una società ancora molto chiusa. Fotografa il teatro, i camalli del porto, con cui intesse soprattutto rapporti umani. Realizza un lavoro, oggi più che mai attuale, sui “travestiti” tra il 1965 e il 1971, che diventa un libro straordinario. “Per me la fotografia, che vedo e pratico esclusivamente come reportage, non è tanto un mezzo di espressione, quanto piuttosto un mezzo di comprensione e comunicazione. Penso che essa possa aiutarci a capire gli altri e i loro problemi e quindi anche a studiare il da farsi per il benessere universale, ad abbattere le barriere che ancora separano gli uomini, a vincere le diffidenze, a cancellare i pregiudizi, a eliminare le convenzioni ingiuste ormai codificate”, afferma.

Lisetta Carmi, Orgosolo (uscita dalla chiesa), 1964

Lisetta Carmi, Orgosolo (uscita dalla chiesa), 1964

L’EMPATIA DI UNA FOTOGRAFA

Come dimostrano anche gli scatti sardi, Lisetta non si è mai posta di fronte alla gente con uno sguardo indagatore, anzi. È sempre entrata in sintonia con le persone, ha varcato la soglia delle loro case, ha cercato di capirne le ragioni. Forse l’unico lavoro nel quale Lisetta non è entrata in relazione con il suo soggetto è quello dedicato a Ezra Pound, il poeta americano antisemita, che ha vissuto gli ultimi anni della sua vita in Italia. Nel 1966 Carmi suona alla porta della casa del poeta, a Sant’Ambrogio di Zoagli, lui non si presenta ma, a un certo punto, considerata l’insistenza, apre e Lisetta lo cattura con il suo obiettivo. Un’azione durata pochi istanti, attraverso la quale coglie la debolezza di un povero vecchio ammalato, depresso. Anche qui riesce ad andare oltre i sentimenti negativi, per compiere una sorta di catarsi e giungere al nocciolo della realtà.
Alla fine degli Anni Settanta abbandona anche la fotografia e si dedica alla spiritualità, alla ricerca della verità. Va in India, dove compie fondamentali esperienze spirituali ed entra in contatto con il maestro Babaji. Una volta tornata, fonda un ashram a Cisternino, nelle Murge, dove si sta godendo la meritata e lunga vecchiaia.

Angela Madesani

Articolo pubblicato su Grandi Mostre #25

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Angela Madesani

Angela Madesani

Storica dell’arte e curatrice indipendente, è autrice, fra le altre cose, del volume “Le icone fluttuanti. Storia del cinema d’artista e della videoarte in Italia”, di “Storia della fotografia” per i tipi di Bruno Mondadori e di “Le intelligenze dell’arte”…

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