Tracce umane e di memoria. La fotografia di Paolo Pellegrin alla Reggia di Venaria

La mostra di Paolo Pellegrin alla Reggia di Veneria, nata da un progetto di Germano Celant, è una sintesi dei viaggi compiuti dall’autore durante la sua carriera.

Non una retrospettiva chiusa ma un’antologia aperta”. È così che Paolo Pellegrin (Roma, 1964) definisce la mostra fotografica dedicata al suo lavoro nelle Sale delle Arti della Reggia di Venaria Reale, su progetto di Germano Celant.
Il fotoreporter, membro dell’agenzia Magnum Photos, dal 1989 viaggia tra i diversi “mondi”, vive e testimonia tematiche che riguardano condizioni di vita, di povertà, di dolore e di violenza, attuando sempre un approccio antropologico: “Non mi interessa rubare una fotografia”, afferma Pellegrin. “Mi interessa, invece, per quanto mi è possibile, vivere con le persone che fotografo. […] Mi piace trovare temi e soggetti per raccontare le mie storie”.

LA FOTOGRAFIA DI PAOLO PELLEGRIN

La mostra si compone di oltre 200 scatti esposti secondo una suddivisione per tematiche che ben si collegano visivamente l’una all’altra. Il percorso avvolge e immerge fin da subito il visitatore nel lavoro del fotografo attraverso un testo introduttivo di Celant, un impattante mosaico di immagini e un trittico di ritratti che, in dimensioni umane, invogliano a proseguire.Una breve rampa nera si dirige, poi, verso le prime stanze: il viaggio è ufficialmente cominciato. La visita si carica di un ventaglio di emozioni in contrasto tra loro.

Paolo Pellegrin. Un'antologia. Exhibition view at Reggia di Venaria, 2021. Photo Micol Sacchi

Paolo Pellegrin. Un’antologia. Exhibition view at Reggia di Venaria, 2021. Photo Micol Sacchi

Spazi e disposizioni degli scatti fanno appello a una ricerca di empatia da parte dello spettatore che sceglie, guarda ed entra quasi intimamente in contatto con i soggetti delle fotografie. L’utilizzo del colore scandisce i temi, alternando stanze nere per gli scenari di guerra ad ambienti colorati con toni pesanti e soffocati quando il soggetto è la Natura. Inoltre, la mancata presenza di qualunque tipo di didascalia non disorienta, bensì permette di entrare maggiormente in contatto con il lavoro del fotografo e di generare flussi di pensieri, idee, storie da associare ai bambini mutilati, ai migranti spaventati o ai paesaggi inanimati. Ciò che si osserva, infatti, non è un documentario sull’emergenza climatica, sull’esperienza personale di quarantena durante la pandemia da Coronavirus o sulle tragedie nei Paesi dilaniati dalle guerre, ma un racconto visivo di vite spezzate.

Svizzera, 2020 © Paolo Pellegrin - Magnum Photos

Svizzera, 2020 © Paolo Pellegrin – Magnum Photos

LA MOSTRA DI PELLEGRIN A VENARIA

Le fotografie, per lo più in bianco e nero, in alcuni casi sono rese dinamiche riproponendole in una serie di video composti da filmati e sequenze di nuovi scatti, il tutto accentuato da musiche ed effetti sonori che permettono una resa maggiormente realistica degli scenari proposti.
Giunto alla fine del percorso, il pubblico è catapultato nella “tana” di Pellegrin: ciò che si ammira è un collage che occupa a tutta altezza una parete della stanza, dove si possono osservare diversi documenti relativi ai suoi studi e ai suoi progetti. Quando sembra di aver scoperto interamente il suo lavoro fotografico, avvicinandosi con occhio attento al collage si individuano diverse teche che custodiscono il vero “genio”: piccole agende mostrano gli schizzi, gli appunti e i racconti di Pellegrin durante i suoi viaggi, ed è in quel momento che l’animo si sente definitivamente parte di quelle storie.

‒ Sofia Caprioglio

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Sofia Caprioglio

Sofia Caprioglio

Laureata in Design e Comunicazione visiva al Politecnico di Torino, sta per conseguire la Laurea Specialistica in Arti visive e Studi curatoriali presso la NABA di Milano. Il suo percorso di studi le ha permesso di attuare un approccio concettuale…

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