Fotografare la segregazione. Intervista a Emanuele Brutti

In mostra all’International Center Photography of New York insieme a Piergiorgio Casotti, nell’ambito della collettiva “But Still, It Turns”, Emanuele Brutti racconta origini e sviluppi del progetto fotografico dedicato alla segregazione razziale negli Stati Uniti.

Eppur si muove. Il titolo riprende la celeberrima frase di Galileo e la mostra all’ICP – International Center Photography di New York presentata dal guest curator Paul Graham smuove lo spettatore che si aggira sui due piani di fronte all’Essex Market.
Nove fotografi contemporanei presentano immagini realizzate negli Stati Uniti del XXI secolo e riflettono la tendenza verso una pratica documentaria lirica, nel solco della tradizione di Robert Frank, Walker Evans, Gordon Parks e Diane Arbus. Questi lavori si adattano a una nozione di “fotografia dal mondo” che resiste sia agli archi narrativi sia al dramma del fotogiornalismo o della fotografia scenica, alle prese invece con il mondo così com’è, in tutta la sua ambiguità e meraviglia. I protagonisti sono Vanessa Winship, Curran Hatleberg, Richard Choi, RaMell Ross, Gregory Halpern, Piergiorgio Casotti, Emanuele Brutti, Kristine Potter, Stanley Wolukau-Wanambwa.
Tra le opere in mostra ci hanno colpito le stampe di Gregory Halpern e naturalmente l’opera a quattro mani dei due artisti italiani Piergiorgio Casotti ed Emanuele Brutti. Abbiamo quindi deciso di contattarli per sapere qualcosa di più sulla genesi del progetto, realizzato a Saint Louis, che vede affiancate due serie di immagini in dialogo tra loro, una a colori di esterni e una in bianco e nero di ritratti. Ci ha risposto Emanuele.

INTERVISTA A EMANUELE BRUTTI

Com’è nato il progetto?
La collaborazione con Piergiorgio Casotti è partita da una sua idea legata alle “Sundown Towns” negli Stati Uniti, città, spesso piccole o piccolissime, nelle quali non veniva garantita la sicurezza alle persone di colore dopo il tramonto. Erano numerose fino alla metà del Novecento, ma ancora oggi, secondo alcuni, sono presenti. Piergiorgio mi ha coinvolto fin da subito nelle prime ricerche ma con il tempo ci siamo resi conto che quel tipo di progetto era da abbandonare, troppi i rischi di stereotipare il lavoro e le foto. Fortunatamente nel corso dei nostri studi ci siamo imbattuti in una ricerca universitaria sulla crescente macro-segregazione degli afroamericani che ha fatto scattare qualcosa, e da lì è poi nato tutto il nostro lavoro.

La collaborazione è continuativa o è stata attivata solo per questa mostra?
La nostra collaborazione è nata con quel progetto e prosegue con lo sviluppo delle mostre a esso legate, l’ultima in ordine di tempo sarà quella al Festival della Fotografia Europea 2021 a Reggio Emilia, ma non è detto che in futuro non potremmo collaborare nuovamente a qualche altro progetto. Del resto con Pier nel tempo si è instaurata un’amicizia che va oltre la fotografia e a me piace lavorare in collaborazione con altri fotografi; per questo motivo, ad esempio, contemporaneamente alle prime ricerche per Index G, ho aperto a Verona assieme ai miei colleghi e amici Francesco Biasi e Chiara Bandino Fonderia 20.9, uno spazio culturale dedicato alla fotografia contemporanea in cui ospitiamo fotografi da tutto il mondo.

But Still, It Turns. Recent Photography from the World. Exhibition view at ICP – International Center Photography, New York 2021. Photo Francesca Magnani

But Still, It Turns. Recent Photography from the World. Exhibition view at ICP – International Center Photography, New York 2021. Photo Francesca Magnani

FOTOGRAFIA POST-DOCUMENTARIA

Come cambia l’opera in relazione alle altre insieme alle quali è esposta? Ovvero cosa significa essere parte del group show dell’ICP, in particolare in questo periodo?
Credo che far parte di una mostra come But Still, It Turns sia stata una bella opportunità, visto il calibro degli artisti coinvolti e l’importanza che ha il curatore, Paul Graham, nella fotografia contemporanea. Sono sicuramente molto orgoglioso di far parte con Index G di questa mostra; significa che l’obiettivo che ci eravamo posti di riuscire a parlare di un tema delicato come la segregazione e di farlo in maniera non scontata è stato raggiunto, soprattutto in un periodo come questo in cui assistiamo quasi quotidianamente a episodi di razzismo sistemico della polizia nei confronti degli afroamericani, in tutti gli Stati Uniti.

Sulla parete, all’inizio, le opere esposte vengono definite “post-documentary”. Che cosa significa per te?
Mi è piaciuta la definizione che ha dato Paul Graham riguardo all’approccio dei lavori in mostra definendolo “post-documentario”, quasi a indicare un nuovo genere di fotografia attivamente coinvolta, libera dai vincoli e dalle esigenze del fotogiornalismo editoriale e di conseguenza più personale, solitamente pensata per la realizzazione di un libro. Ecco, in questo senso lavori molto diversi tra loro che si incontrano parlando uno stesso linguaggio esistono insieme formando un unico corpo, che definisce una tendenza della fotografia documentativa contemporanea.

Francesca Magnani

New York // fino al 9 maggio 2021
But Still, It Turns. Recent Photography from the World
ICP – INTERNATIONAL CENTER OF PHOTOGRAPHY
79 Essex Street
www.icp.org

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Francesca Magnani

Francesca Magnani

Francesca Magnani scrive e fotografa a New York dal 1997. Ha una formazione accademica in Classics e Antropologia alle università di Bologna, Padova, NYU; racconta con immagini e parole gli aspetti della vita delle persone che la toccano e raggiungono,…

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