Antichità mediterranee. La fotografia di Josef Koudelka a Roma

Nomade da sempre, Josef Koudelka rintraccia con “Radici” la memoria visibile dell’eredità culturale. Un giro lungo trent’anni che parte dall’archeologia e offre un’imperdibile opportunità di viaggio al Museo dell’Ara Pacis di Roma.

Platone scrisse, in un passo tanto luminoso quanto inflazionato del Fedone, che il Mediterraneo era solo una piccola parte della terra in cui gli uomini vivevano come “rane intorno a uno stagno”. Sulle sue sponde fiorirono e crebbero egizi, fenici, greci, romani. Dai suoi lidi partirono coloni a popolare i grandi territori d’Asia e d’Africa. Popolazioni per natura anfibie che affidarono all’architettura monumentale la propria civiltà.
Il mondo mediterraneo fu debitore alla navigazione per il suo sviluppo urbano e Josef Koudelka (Boskovice,1938), globetrotter armato di macchina fotografica, ne ripercorre in bianco e nero i lunghi passi. I suoi scatti per Radici, come altri della sua lunga carriera, dalla Primavera di Praga alle collaborazioni per la Magnum, colpiscono per le ombre intense e la ricerca di una luminosità bruciante. Colgono nel segno le presentazioni mitizzanti di templi, strade e decorazioni scolpite, immagini civili o di pura bellezza mutate dal tempo trascorso. Nei siti archeologici, lì dove ogni turista è animato da velleità fotografiche, il maestro della Moravia passeggia analitico. Passa in rassegna le scenografie prescelte in un cammino lungo trent’anni, trova sosta nei punti in cui le immagini lo attendevano. Come ha sempre fatto, viaggia. Stavolta in un periplo articolato tra Siria, Grecia, Turchia, Libano, Cipro, Israele, Giordania, Egitto, Libia, Tunisia, Algeria, Marocco, Portogallo, Spagna, Francia, Albania, Croazia e Italia. L’arrivo all’Ara Pacis della mostra non può che rappresentare un approdo filologicamente corretto.

IL MEDITERRANEO SECONDO KOUDELKA

C’è l’antica città siriana di Palmira, fotografata da Koudelka nel 2006 prima che l’auto-proclamato Stato Islamico la catturasse e ne compromettesse il monumentale splendore. Nella bellezza e nelle distruzioni risiede la riflessione di Koudelka sulle Radici comuni. Una storia condivisa di vestigia che porta in sé la dannazione di conflitto permanente, come Luciano Canfora notò in un lucido saggio del 2016. Il valore documentario avvicina le fotografie al Piranesi più razionale delle Antichità Romane, quattro tomi in cui l’architetto e incisore veneziano volle preservare, per i posteri, le immagini di monumenti antichi in progressiva decadenza.
Il bianco e nero spinto di Koudelka offre, comunque, ampio spazio alla creatività, modulando forme e volumi di soggetti monumentali e fissi. Gli scatti si espandono e si comprimono rispondendo alle esigenze di una stupefacente varietà paesistica e particolare. La percezione delle figure avviene spesso per contrasti, i vuoti e i pieni delle scanalature delle colonne, i segni lasciati dai carri sul basolato della via Appia. Archeologia e natura si sovrappongono, sfumano l’una nell’altra in una diluizione di simboli mitici e presenze materiali. Lo spazio antropico detta, infatti, i confini dell’agire artistico fino a quando il paesaggio naturale non irrompe nel teatro, nel tempio, nell’edilizia civile. I templi di Capo Sounion non esisterebbero senza il mare Egeo, ostentati sul promontorio della punta meridionale dell’Attica. Ai greci che incisero su pietra i propri dei, issati su baie o alture interne per favorirne la visione, il rispetto e il timore, Koudelka, rispettosamente, porge riverenza. Celebra la dimostrazione delle arti e dei mestieri visibili a grandi distanze, mostra le carte d’identità di popolo contenenti misticismo e sapere.

Il Cairo, Egitto, 2012 © Josef Koudelka - Magnum Photos

Il Cairo, Egitto, 2012 © Josef Koudelka – Magnum Photos

LA TECNICA DI KOUDELKA

Come nelle documentazioni fotografiche da scavo, in didascalia sono spesso indicati gli orientamenti delle vedute e i crolli di pietre e le strutture scavate si susseguono nell’esposizione senza intrusioni. Non appaiono persone, strumenti, azioni a distrarne il discorso. Le immagini pulite e di grande formato rappresentano allora in uno scatto realtà sincroniche, i piccoli dettagli sono parte del continuum che conduce alle evidenze.
La battaglia per la luce perfetta si risolve, nell’approccio ai beni archeologici, in un attimo interminabile di eternità. Movimenti impercettibili rintracciano l’inquadratura perfetta e il tempismo è premessa alla restituzione dell’aspetto voluto, inutile insistere dopo il passaggio del momento magico. “A volte si vince, a volte si perde. È il sole a farla da padrone”. Trent’anni in viaggio per raggiungere le molte anime e le vite presenti di luoghi dal grande passato.

Raffaele Orlando

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Raffaele Orlando

Raffaele Orlando

Raffaele Orlando (Benevento, 1986) è archeologo e funzionario del Ministero della Cultura. Specializzato in museologia e storia del collezionismo, lavora alla Reggia di Caserta dove svolge attività di ricerca e progettazione in ambito museale. Opera sul campo in scavi archeologici…

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