Bambini e guerra. La fotografia di Diego Ibarra Sánchez a Milano

Mudima Lab, Milano – fino al 25 novembre 2017. Dopo Fabio Bucciarelli (Premio Robert Capa 2012, World Press Photo 2013) e Manu Brabo (Premio Pulitzer 2013 per il fotogiornalismo), Mudima Lab prosegue il ciclo di mostre “GUERRE” con un reportage dedicato all’infanzia negata. Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con il suo autore, Diego Ibarra Sánchez.

Secondo recenti statistiche dell’UNICEF, attualmente oltre 25 milioni di bambini fra i 6 e i 15 anni, circa il 22% dei bambini in quell’età, non vanno a scuola nelle zone di conflitto in 22 Paesi. Le loro storie sono protagoniste di Hijacked Education di Diego Ibarra Sánchez (1982), la cui fotografia immortala biblioteche distrutte, scuole squarciate dalle bombe, bambini senza istruzione e senza prospettive. Situazioni ai margini, dimenticate, che testimoniano la resilienza e il coraggio dei loro protagonisti.
Nato a Saragozza e residente dal 2014 in Libano, alle spalle Sud America, Pakistan, Afghanistan, Bahrain, Libia, Nigeria e Tanzania, co-fondatore di MeMo a Torino, Ibarra Sánchez si definisce “un apprendista eterno che cerca sempre di continuare a imparare, respirare, condividere. Oltre a sviluppare la propria ricerca personale come fotografo documentarista, pubblica le sue storie sul New York Times, Der Spiegel, Al Jazeera e Diari ARA. Tra le influenze dichiarate del suo lavoro fotografico: Ackerman Trent Parke, D´Agata, Robert Frank, Goya, Rembrandt, Rivera, Caravaggio, Kurosawa, Jarmusch, Fontcuberta, Susan Sontag, Takeshi Kitano, Krzysztof Kieślowski, Frank Capra, Billy Wilder, Berlanga, Alfonso Moral e Fernando Moleres.
In Hijacked Education il grigio è assente. Trentanove scatti senza titolo, tre formati, una sorprendente omogeneità cromatica, enfatizzata dall’uso del nero, che rende l’installazione elegantemente drammatica. Distruzione e bellezza animano il chiaroscuro delle immagini. Quasi a compensare l’effetto straniante delle situazioni ritratte, le inquadrature sono classiche: una scelta, spiega l’artista, concordata con i curatori (Irene di Maggio e Fabio Mantegna) “per rendere più forte il messaggio”. È evidente l’impegno del fotografo nel raccontare storie inedite in modo personale e poetico, sollevando domande e usando una particolare sensibilità estetica anziché dare risposte stereotipate, per guidare l’attenzione del visitatore al punto focale della tragedia.

Diego Ibarra Sánchez. Hijacked Education. Exhibition view at Mudima Lab, Milano 2017

Diego Ibarra Sánchez. Hijacked Education. Exhibition view at Mudima Lab, Milano 2017

L’INTERVISTA

Come descriveresti il tuo stile? Quali tratti definiscono il tuo lavoro?
Sono un pittore di luce. Un umile messaggero che crede fermamente che c’è un raggio luminoso che imbeve tutto dopo la tempesta.

Quanto lavoro c’è dietro ogni lavoro, non solo in termini di post-produzione, ma anche in termini di pre-produzione, vale a dire preparazione, approccio ai soggetti, ecc.?
Ogni opera è una parte di me. È come un tatuaggio. Dietro ogni scatto ci sono ore di lavoro, un groviglio di sentimenti personali, il sostegno della mia famiglia, il supporto di Cromagnon TV (Joan Roig), il sostegno della squadra MeMo e la saggezza della mia musa.

Le foto in mostra immortalano silenzio o rumore? Qual è la colonna sonora dei tuoi scatti?
Un tuono che illumina una tempesta, lo senti? Il mondo palpita tumultuoso, abbiamo solo bisogno di trovare la nostra frequenza. Il fragore del tuono, il silenzio del risveglio della speranza dopo la tempesta. Oscilliamo tra speranza e incubo… incubo e speranza… la luce può fare la differenza.

Margherita Zanoletti

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Margherita Zanoletti

Margherita Zanoletti

Con Francesca di Blasio ha pubblicato la prima traduzione italiana di “We are Going” dell’autrice e artista aborigena australiana Oodgeroo Noonuccal; con Pierpaolo Antonello e Matilde Nardelli ha co-curato “Bruno Munari: the Lightness of Art”. Dal 2004 idea e collabora…

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