Giovani fotografi italiani. Intervista a Filippo Minelli

Graffiti, fotografia, performance, crowdfunding. Mescola tutti questi ingredienti, Filippo Minelli, e confeziona progetti notevoli. Ci siamo fatti raccontare la sua storia.

Trentatré anni e una laurea breve in Nuove Tecnologie a Brera, Filippo Minelli ha una passione: viaggiare per comprendere le attuali dinamiche socio-politiche. Originario della provincia di Brescia (ma vive a Barcellona), sin da ragazzo dimostra un grande interesse nei confronti degli spazi pubblici e guadagna qualche soldo come “graffitaro”. L’anno scorso il suo Atlante dei classici Padani, è diventato un vero e proprio caso, tra la sociologia e la fotografia.

Perché ti interessano le scritte, presenti in molti dei tuoi lavori? 
Sono istintivo e credo che il paesaggio ultra-commercializzato in cui sono cresciuto mi influenzi molto.

Iniziamo a parlare di uno dei tuoi lavori più recenti, What Things Are Not (2016).
Ho iniziato a lavorarci quest’estate a San Pietroburgo, durante una residenza d’artista. È una ricerca sulla percezione dello spazio, su come può influire sull’identità dei luoghi e delle persone. Il tutto legato al concetto di estetica del mutamento. Ciò che mi interessa del processo artistico è dare una nuova lettura al paesaggio. Qui ho iniziato scaricando immagini da siti tipo Shutterstock. Non è importante chi scatta le foto. Spesso le scatto io solo per un’esigenza pratica. Così è stato anche per Padania Classics. In questo caso ho scaricato le immagini dai siti a pagamento, le ho fatte stampare su stoffa e le ho posizionate in vari luoghi di San Pietroburgo e Mosca. Ho sovrapposto il paesaggio digitale a quello fisico.

Filippo Minelli, What Things Are Not, 2016

Filippo Minelli, What Things Are Not, 2016

Anche in questo lavoro c’è una componente installativa che è spesso presente nella tua opera.
Sto cercando di sgrossare il tutto, ma forse ho bisogno dell’azione. Un’immagine mi piace in particolare: quella che fa da copertina a questa intervista, con un edificio coperto da un’immagine di un altro edificio. È spiazzante e divertente al tempo stesso. Un tempo i monumenti costituivano un’identità condivisa. Adesso, soprattutto nelle lande padane, sono un’industria, con oggetti dedicati all’uva, alla birra, alle piastrelle…

Un portato della nostra vacuità consumista.
Esatto. Sono ancora impegnato in questo lavoro. Sto producendo in maniera indipendente, a Barcellona, delle nuove installazioni, sulla falsariga di quello che ho già fatto. Vorrebbe essere un’operazione più strutturata.

Uno dei tuoi lavori che più mi colpiscono raffigura dei tacchini in un allevamento-lager con dietro la scritta Twitter. Fa parte di Contradictions (2007).
Volevo evidenziare il contrasto tra le parole e il contesto. Lo stesso contrasto che esiste fra come ci proponiamo online e la realtà delle nostre vite. Così come la scritta Microsoft è su una catasta di bidoni a Bamako; sulla rovina di un hutong a Pechino ho messo la mela di Apple; in una bidonville a Phnom Penh la scritta Flickr.

Filippo Minelli, Nonsense Democracy, 2008

Filippo Minelli, Nonsense Democracy, 2008

In questa chiave potrebbe essere letto anche Nonsense Democracy (2008).
Ho fatto il viaggio a ritroso di una delle rotte classiche dell’immigrazione clandestina. Sono partito da Genova e sono arrivato a Timbuctu via terra. Dall’Italia in bus sono approdato in Marocco e da lì ho continuato a scendere in auto, in autobus, in treno… Dal Marocco sono entrato a Nouadhibou, la seconda città della Mauritania. È stato un viaggio stupendo, in parte improvvisato.

Un’immagine propone una palizzata, un confine posto nel deserto con la scritta “Non Sense”. E quindi la baia di Nouadhibou con le navi.
È una baia piena di navi che dall’Europa vengono portate là, pagando qualche tangente ai responsabili del porto.

Per smaltire rifiuti?
Non saprei. Queste navi vengono smontate pezzo per pezzo per recuperare i materiali. Sono riuscito a scrivere sulla fiancata di una di esse “Democracy”. Anche qui conta molto l’azione performativa. È un luogo apocalittico.

I tuoi lavori spesso si sviluppano nel corso del tempo, come Silence/Shapes, iniziato nel 2009. Sono immagini affascinanti, con nuvole di colore.
Sono fumogeni accesi in spazi naturali e non solo. Ho avuto la suggestione dalle manifestazioni politiche. In quei momenti le scene scompaiono, il paesaggio pare annullarsi. Mi sono reso conto dell’importanza che l’estetica della politica e della protesta hanno avuto nella mia formazione.

I fumogeni li hai messi tu?
Sì, in realtà quello che più mi interessa è il lato performativo, il gesto di lanciare. Mi hanno permesso di farlo anche in una chiesa, a Sorrento.

Filippo Minelli, Not Hollywood, 2004-

Filippo Minelli, Not Hollywood, 2004-

Dal 2004 lavori a Not Hollywood.
Uno dei miei primi progetti… Viaggiando qua e là per il mondo trovo parecchie scritte piazzate nel paesaggio e le fotografo, dando una lettura antropologica dello stesso. Per questo progetto utilizzo solo la fotografia, non aggiungo nulla.

Parliamo di Filling Space With Void / Filling Void With Space (2013-14).
Nei dintorni di Brescia, così come in Polonia o in Corea, ci sono molti spazi pubblicitari vuoti. Li ho archiviati, ne ho ricavato dimensioni e proporzioni e le ho fatte diventare delle cornici di ferro, che poi ho installato come se fossero sculture, sempre in luoghi svuotati, e quindi le ho fotografate.

Sei riuscito a trasformare in lavoro anche un momento tragico della tua vita: la malattia da cui sei stato colpito nel 2010, Chemotherapy Update.
In realtà non è nato come lavoro. Quando facevo la chemio, non potevo vedere nessuno. Ho trovato un’applicazione per l’iPhone per fare i flyer degli eventi. Ho iniziato a utilizzarla per pubblicare su Internet la mia quotidianità, per far vedere ai miei amici che ero ancora sano di mente. Erano fotografie scattate in ospedale, altre in campagna durante le passeggiate di riabilitazione. Della compiutezza formale fotografica non me n’è mai fregato nulla. Quello che più mi interessa è l’immagine, e su di essa e sulle sue implicazioni lavoro sin da quando ho mosso i primi passi.

Angela Madesani
(ha collaborato Silvia Gazzola)

www.filippominelli.com

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #35

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Angela Madesani

Angela Madesani

Storica dell’arte e curatrice indipendente, è autrice, fra le altre cose, del volume “Le icone fluttuanti. Storia del cinema d’artista e della videoarte in Italia”, di “Storia della fotografia” per i tipi di Bruno Mondadori e di “Le intelligenze dell’arte”…

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