La storia di Magnum tra le pagine di Life. A Cremona

Museo del Violino, Cremona – fino all’11 giugno 2017. L’Italia festeggia i settant’anni di Magnum con una serie di mostre ospiti di tre diverse città. Cremona in particolare evoca il legame tra la storica agenzia fotografica e la rivista “Life”, che diede spazio, fra le sue pagine, a reportage di guerra destinati a entrare nell’immaginario collettivo, ma anche a ritratti degli Stati Uniti lontani dall’American Dream. E se volete saperne di più, ne parliamo anche sul terzo numero di Grandi Mostre.

La parabola del fotogiornalismo negli anni che anticipano e accompagnano la diffusione del mezzo televisivo è racchiusa nelle parole del premio Pulitzer John Hersey: “La foto è una sezione di un fatto, che mostra la realtà vera a chi non era presente molto più di quanto possa fare l’intera scena”. Grazie alla fame di verità dei lettori americani, nei quaranta anni scarsi che vanno dalla Guerra Civile spagnola al conflitto in Vietnam, la fotografia ha visto l’apice del suo successo popolare.
Questa sottile linea rossa è tracciata nel percorso espositivo Life – Magnum, allestito al Museo del Violino di Cremona, a cura di Marco Minuz, per celebrare, insieme alle mostre di Brescia e Torino inaugurate negli stessi giorni, i settant’anni di Magnum Photos, la più importante agenzia fotografica del pianeta. È la storia di come Life, rivista simbolo dell’american dream, uscì dai confini di pace a stelle e strisce aprendosi a un mondo in subbuglio grazie all’occhio dei più grandi fotografi di Magnum.
Come un giornale, la rassegna prende avvio dalle copertine e dai servizi di Philippe Halsman, tra cui il ritratto di Alfred Hitchcock e Salvador Dalí, immortalato in jumpology (anche la fotografia di persone che saltano ha un padre nobile). Con Werner Bischof risalta l’anacronismo tra i reportage della carestia in India del 1951 e della “Prisoner’s Island” in Corea del Sud dell’anno successivo, e il suo stile così contemporaneo da quasi reclamare il colore.

USA. Nevada. US actress Marilyn MONROE on the Nevada desert going over her lines for a difficult scene she is about to play with Clarke GABLE in the film The Misfits by John HUSTON. 1960 © Eve Arnold-Magnum Photos

USA. Nevada. US actress Marilyn MONROE on the Nevada desert going over her lines for a difficult scene she is about to play with Clarke GABLE in the film The Misfits by John HUSTON. 1960 © Eve Arnold-Magnum Photos

DAL CINEMA ALLA GUERRA

Difficoltà estere e inquietudini patrie sono ben alternate nel percorso; un primo respiro è offerto da un lungo ritratto di James Dean a opera di Dennis Stock. C’è la celeberrima fotografia dell’attore a Times Square, ma anche il suo ritorno nella nativa Indiana, a far visita al cuginetto e alla tomba del nonno. Il protagonista di Gioventù bruciata è spesso immortalato con un profondo spazio alle spalle, ad accentuare uno straniamento che fu la fortuna e la maledizione di Dean.
Le contraddizioni della fabbrica dei sogni ritorneranno col set de Gli spostati di John Huston, di cui Magnum ebbe l’esclusiva. Specchio del Dean di Stock, sono gli sguardi di Marilyn in pre-crisi coniugale con Arthur Miller, così come il sorriso sornione di Clark Gable (che sul set dello stesso film morirà per infarto), a mostrare all’America la fragilità dei suoi divi.
Ma si torna presto in guerra, con Bruno Barbey e le sue foto dal Vietnam. Devastazioni materiali delle bombe o interiori della tossicodipendenza dei soldati americani sono mostrate con un senso della composizione che avvicinano l’autore a Bischof. Fra quelle esposte, sono le uniche immagini legate al Vietnam con un accenno di colore.

South Vietnam. US bombardment, after the battle of An Loc. 1972 © Bruno Barbey-Magnum Photos

South Vietnam. US bombardment, after the battle of An Loc. 1972 © Bruno Barbey-Magnum Photos

CAPA E LA GRANDE FOTOGRAFIA

Dopo una breve – forse troppo – sezione dedicata all’Urss di Henri Cartier-Bresson, si arriva infine a Robert Capa e ai suoi scatti di guerra “leggermente fuori fuoco”. Capa seguì la Guerra Civile spagnola immortalando civili in fuga e soldati morenti (come quello lealista appena colpito); ma fu anche al D-Day in Normandia, fotografando un po’ a caso nella concitazione delle truppe sbarcate a Omaha Beach.
Di Robert Capa è anche l’ultima fotografia in mostra, che fu la sua ultima fotografia in vita, scattata poco prima che morisse, nel 1954, pestando una mina durante un reportage in Indocina. Dal percorso espositivo, che riporta anche alcune frasi degli autori, emergono le dimensioni della grande fotografia. Il “lavoro fatto in profondità” di Bischof, la “vicinanza” ai fatti di Capa, l’aspirazione a “restare”, all’eternità, di Barbey, il senso della “libertà” espressiva di Stock, compongono un’etica del fotogiornalismo – oggi più rara.
Con Life, la cui edizione settimanale fu chiusa nel 1972, morì un’epoca in cui “la realtà vera” della Storia era ritratta in profondità. Magnum sopravvisse divenendo arte. Il tubo catodico, sostituendo l’intera scena all’istante, segnò anche l’inizio dell’era della superficialità.

Marco D’Egidio

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Marco D'Egidio

Marco D'Egidio

Ingegnere civile con la passione dell'arte e del cinema, scrive recensioni per Artribune da quando la rivista è stata fondata. Nel frattempo, ha recensito anche per Giudizio Universale e pubblicato qualche editoriale sul sito T-Mag. Sempre a tempo perso, tiene…

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