Le immagini di Ajay Malghan, fotografo statunitense di origini indiane, uniscono il trucco dell’ambiguità alla prepotenza di forme organiche, colori squillanti, alta definizione e sensualità della materia. Esercizi d’astrazione, da cui nascono paesaggi in movimento, dai contorni instabili e dalla luce calda. La sensazione è quella di scivolare dentro le delicate variazioni formali: reperti di natura che restano, però, non decodificati. Si chiama in effetti “Naturally Modified” il ciclo più fortunato di Malghan, un esperimento nato qualche anno fa e che gli ha portato fortuna. I soggetti? Frammenti di cibo, ortaggi, insaccati, frutta, pane, carni varie. Celebrazioni creative del food, per alimenti esteticamente modificati. Irriconoscibili e molto appealing.
Il procedimento riprende le tradizionali tecniche da camera oscura, reinterpretate in una chiave libera, ludica e a suo modo concettuale: l’oggetto – giocando con le note intuizioni di Man Ray – diventa sorgente diretta dell’immagine, proiettato come un negativo sulla carta impressionata, a lasciare la propria traccia lungo il tempo dell’alchimia fotografica. Porzioni sottili di cibo, compresse tra due vetri, vengono così catturate e stampate tramite un ingranditore, lasciando che sia la luce a determinare gli splendidi effetti cromatici. I close up di Ajay Malghan portano fin dentro pieghe, fibre, dettagli di semplici alimenti, grazie a seducenti modulazioni dal sapore pittorico. Still life, apparecchiati come tele informali, porzioni di galassie o vetrini al microscopio.
Helga Marsala