A Vienna si riscopre una pittrice seicentesca. Ecco chi è Michaelina Wautier

Non è il suo genere a segnare il bisogno della grande mostra che il Kunsthistorisches Museum dedica a Michaelina Wautier, ma la sua originale inventiva. Dopo secoli di buio, la pittrice attiva alla metà del Seicento nelle Fiandre è oggi a Vienna con la più ricca retrospettiva di sempre

Realizzare una mostra che rilanci nel panorama storico-artistico internazionale un artista del passato è sempre una grande responsabilità. Quando, poi, l’artista in questione è una donna vissuta in un’epoca in cui l’arte era vista come una faccenda da uomini, la questione diventa ancora più rilevante. Non è un caso che in questi anni siano tante le riscoperte di artiste a lungo dimenticate: è la diretta conseguenza di una sensibilità – finalmente – matura anche nel settore artistico, informata da anni di lotte, testi fondativi, pratiche critiche e curatoriali. Questa volta la responsabilità se la prende il Kunsthistorisches Museum di Vienna, che presenta al pubblico la più grande mostra mai dedicata a Michaelina Wautier (Mons, 1614 – Bruxelles, 1689), curata da Gerlinde Gruber. Con ben 29 dipinti autografi e un totale di circa 80 opere, incluse quelle del fratello Charles e di illustri pittori coevi. La mostra Michaelina Wautier. Pittrice apre una nuova finestra sulle vivacissime Fiandre del Seicento, mostrandone anche il lato femminile.

Chi era Michaelina Wautier?

Che le luci della ribalta arrivino a illuminare il nome di Michaelina Wautier solo oggi di certo non sorprende: per lungo tempo le sue opere sono state attribuite a colleghi maschi, e persino il suo nome generava confusione, tante erano le varianti riportate dalle fonti. Solo negli ultimi anni lo studio di questa artista ha trovato seguito, confluendo, prima della mostra viennese, in quella curata da Katlijne Van der Stighelen ad Anversa nel 2018. Poco si sa della vita di Wautier: la famiglia in cui nasce è modesta, seppur ben inserita nella rete intellettuale. Lei e Charles sono i figli del secondo matrimonio del loro padre, insieme ad altri fratelli e sorelle, tra cui Magdalena, che per lungo tempo si è pensato essere solamente un’altra variante del nome di Michaelina. Dopo la morte del padre nel 1617, fu la madre Jeanne George a prendersi cura dei figli, assicurando loro una solida educazione, per poi morire nel 1638.

Michaelina Wautier. Painter, exhibition view, 2025, Kunsthistorisches Museum, Vienna
Michaelina Wautier. Painter, exhibition view, 2025, Kunsthistorisches Museum, Vienna

Famiglia e carriera: il rapporto con il fratello pittore

Non è chiaro se in quell’anno Michaelina si fosse già trasferita a Bruxelles: quello che è certo è che suo fratello Charles si stabilì lì nel 1642, forse dopo un periodo di studio all’estero (si ipotizza in Italia). A Bruxelles, i due fratelli pittori vissero assieme, e fu verosimilmente Charles a completare la formazione di Michaelina, che almeno durante tutti gli anni Cinquanta del Seicento si dedicò alla pittura, riscontrando un discreto successo. Non sappiamo se continuò a dipingere anche nei decenni successivi, ma siamo certi della sua data di morte, avvenuta nel 1689, a circa 75 anni, così come di quella di Charles: il 1703, alla veneranda età di 94 anni.

La mostra al Kunsthistorisches Museum di Vienna

Un decennio di attività può sembrare poco per entrare nella storia dell’arte, eppure per molti autori, tra cui Michaelina Wautier, è decisamente abbastanza e la mostra di Vienna ne è una testimonianza. I dipinti esposti dimostrano la grande varietà tematica della pittrice tra ritratti, pittura di storia e persino il nudo maschile, soggetto a lungo ritenuto tabù per le donne. Per questo motivo, il suo monumentale Trionfo di Bacco è stato spesso attribuito alla bottega di Rubens o addirittura a Luca Giordano. Nella grande tela del 1650, i corpi di Bacco e dei satiri al suo seguito sono resi con un realismo spiegabile solo ipotizzando lo studio del corpo maschile dal vero, attraverso la posa di modelli privati o – si suppone – di suo fratello Charles. Tra le fila del corteo bacchico, Michaelina inserisce anche un autoritratto: unica figura a guardare direttamente lo spettatore, secondo un topos largamente diffuso, la pittrice si ritrae un po’ come baccante, un po’ come amazzone.

L’autoritratto e la coscienza di sé

Più significativo è l’autoritratto, sempre del 1650, che si incontra poco più avanti. Se molti pittori coevi preferivano evidenziare l’appartenenza a un ceto sociale, come dimostra l’Autoritratto di Rubens posto a confronto, altri sceglievano di affermare l’immagine del proprio lavoro. Michaelina Wautier fa parte dei secondi e, nel suo caso, è l’occasione per mostrarsi non solo in quanto professionista, ma anche in quanto donna. La vediamo, quindi, intenta a preparare la tela per un dipinto che, come suggeriscono anche i colori sulla tavolozza, potrebbe essere l’autoritratto stesso che stiamo guardando. Un arguto gioco con lo spettatore, che moltiplica ulteriormente i ruoli del soggetto e dell’oggetto della pittura.

Dietro la gioventù c’è molto di più

Se nel Trionfo di Bacco è a Rubens che Wautier sembra guardare, i ritratti rivelano l’influenza di un altro illustre pittore delle Fiandre: Antoon Van Dyck. La tradizione è, però, ancora una volta riproposta con ingegno. Prendiamo ad esempio due quadri, per certi versi paralleli: Due ragazzi che soffiano bolle di sapone (c. 1650-55) e Due ragazze come le Sante Agnese e Dorotea (c. 1655). In entrambi, i modelli sono ragazzini che solo apparentemente posano per un classico ritratto: nel primo caso, infatti, diventano il veicolo di una peculiare vanitas – peculiarmente rappresentata dalle bolle di sapone, fragili quanto la vita, e rinforzata sul lato sinistro da oggetti più usuali per il genere, come il libro, il violino, la candela spenta e la clessidra; nel secondo dipinto, invece, due bambine incarnano altrettante sante, in quello che forse oggi – un po’ profanamente – definiremmo un cosplay. Entrambe le opere risentono dell’influenza di Van Dyck, e quindi di Caravaggio, nell’organizzazione della luce e dei colori: si noti lo sfondo scuro, i contrasti netti e soprattutto il panneggio rosso che ritorna e si fa citazione e scenografia. Ma ci dicono anche qualcos’altro: nei dipinti di Michaelina Wautier, i bambini non sono mai solo bambini.

I Cinque Sensi: la ritrattistica di Michaelina Wautier

Quegli stessi ragazzini che soffiavano le bolle e ci avvertivano della brevità della nostra esistenza tornano in altre opere di Wautier, senza mai rappresentare loro stessi. Nella serie dei Cinque Sensi (1650), quello moro e riccio lo ritroviamo – ancora soffiante – come metafora dell’udito, mentre quello biondo, prima intento a osservare una bolla di sapone a mezz’aria, ha spostato la sua attenzione sulla sua mano, per simboleggiare la vista. Un dato forse notevole per collocare la pittrice all’interno di un ambiente intellettuale e filosofico che proprio in quell’epoca dimostrava interesse nei confronti dell’effettiva capacità dei sensi di veicolare la realtà. Insieme ad altri tre dipinti, questa serie costituisce una delle più efficaci trovate di Wautier ed è oggi esposta a Vienna nella sua interezza per la prima volta in Europa. Ciascuno di questi ritratti – dal volto corrucciato del ragazzino che si è appena tagliato accidentalmente (tatto), a quello che si tappa il naso per non sentire la puzza dell’uovo marcio che regge in mano (olfatto), fino ai vispi occhi di quello che assaggia una fetta di pane e formaggio (gusto) – dà prova di quanto Michaelina Wautier fosse versata nella raffigurazione dell’espressione umana, nonché della sua fervida inventiva.

I Cinque Sensi, in Michaelina Wautier. Painter, exhibition view, 2025, Kunsthistorisches Museum, Vienna
I Cinque Sensi, in Michaelina Wautier. Painter, exhibition view, 2025, Kunsthistorisches Museum, Vienna

Una meritevole riscoperta

Sono tante le opere di questa mostra che meritano una menzione per l’originalità con cui Wautier si approccia alla loro esecuzione. I suoi fiori, per esempio, non sono dentro vasi com’era costume più diffuso, bensì sono organizzati in ghirlande rette da bucrani: un riferimento classico che arricchisce una vanitas altrimenti stereotipata. Per non parlare delle scene religiose e dei ritratti di personaggi storici della sua epoca. Dei suoi dipinti in mostra al Kunsthistorisches Museum sono pochi quelli su cui l’occhio riesce a non soffermarsi. È un chiaro segnale di come la riscoperta di Wautier non possa limitarsi a farsi nobile testimone di una comunque preziosissima presenza femminile nella pittura del Seicento, ma costituisca un punto di partenza per rileggere quell’epoca a partire da un talento privo di genere, come dovrebbe esserlo la storia dell’arte.

Alberto Villa


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Alberto Villa

Alberto Villa

Nato in provincia di Milano sul finire del 2000, è critico e curatore indipendente. Si laurea in Economia e Management per l'Arte all'Università Bocconi con una tesi sulle produzioni in vetro di Josef Albers (relatore Marco De Michelis) e attualmente…

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