Una mostra a Taranto trasforma il mare in spazio culturale, politico e simbolico
La personale di Giuseppe Di Liberto presso Casa Viola è dedicata al mare in tutte le sue forme e possibilità. La mostra è il risultato di una residenza e lega archivi familiari, approcci antropologici e questioni politiche per guardare al mare come spazio simbolico tramite l’arte
Con il suo centro storico millenario arroccato su un isolotto, seduto tra due mari, Mar Piccolo e Mar Grande, Taranto è avvolta in un abbraccio dall’acqua. Concentrandosi sulla stretta relazione tra la città e l’elemento naturale del mare, l’opera Le acque che vidi non saranno più le stesse di Giuseppe Di Liberto (Palermo, 1996), in mostra nella città ionica, indaga l’immaginario visivo legato al mare, esplorando il suo significato come specchio dei cambiamenti della comunità tarantina nel tempo. Le acque dei mari di Taranto rappresentano un organismo con cui la città ha vissuto in simbiosi, riversandoci paure, gioie, ricordi e speranze. Dal mare viene il santo patrono, San Cataldo; sul mare viaggiano le navi del porto; dal mare molti attendono che arrivi una speranza di rigenerazione. L’opera è il risultato di un progetto di ricerca sviluppato nel corso della residenza Le acque che vidi non saranno più le stesse, inserita nell’ambito del programma “Residenze artistiche di arte contemporanea 2025 in Puglia” sostenuto da Puglia Culture e promosso dalla Sezione Politiche Giovanili della Regione Puglia e ARTI.
La residenza “Le acque che vidi non saranno più le stesse” a Taranto
Sostenuto dal Nodo Galattica di Taranto, parte della rete regionale di centri per la promozione di azioni di animazione territoriale, il progetto è riuscito a raggiungere un risultato ambizioso: attivare la comunità tarantina attraverso pratiche artistiche relazionali. La residenza ha saputo trasformarsi in un’esperienza di relazione viva tra arte e comunità. Fin dall’inizio, Di Liberto ha intessuto un dialogo aperto con la città, costruendo attraverso laboratori e momenti di confronto un terreno condiviso di riflessione e partecipazione. Il percorso, tracciato grazie al contributo e alla progettazione curatoriale del referente locale del Nodo Galattica Peppe Frisino, è stato fondamentale per alimentare il legame tra gli artisti e il tessuto sociale tarantino, permettendo al progetto di farsi non solo ricerca estetica, ma anche gesto collettivo: un invito a esplorare, attraverso le pratiche relazionali dell’arte contemporanea, nuove possibilità di appartenenza e ascolto del territorio.

Giuseppe Di Liberto e la comunità di Taranto
Il lavoro dell’artista si è soffermato sull’ascolto delle narrazioni familiari, attingendo agli archivi visivi della comunità custoditi nei filmini di famiglia. Attraverso due laboratori – “Archivi Viventi” e “Visualizzare la memoria” – Di Liberto ha coinvolto la comunità nel proprio progetto artistico, stimolando i partecipanti a una nuova produzione visiva volta a reintepretare i ricordi individuali e quelli legati alla città. Uno dei due laboratori si è svolto nella cornice di Lido Taranto, spiaggia situata nel cuore della città e “luogo del cuore” per molti tarantini. Lo studio delle tematiche legate alla memoria e all’autoritratto nell’arte contemporanea insieme alla comunità locale è stato arricchito da due lezioni tenute dall’artista visivo Lorenzo Montinaro (Taranto, 1997) “ritualità della separazione” e “Arte, memoria e lutto nel contemporaneo”. Giovanni Talamo, presidente dell’associazione Archivio RitrovaTa – archivio dei filmini di famiglia pugliesi, ha curato l’intero progetto della residenza. Lo scopo dell’associazione è valorizzare e custodire gli archivi visivi di famiglia su pellicola come bene collettivo. Un patrimonio visivo che lega memoria, emozione e territorio catturando un’epoca, un momento storico.
La performance site-specific e la mostra a Taranto
Al cuore della ricerca di Le acque che vidi non saranno più le stesse, la performance installativa di Di Liberto nel centro storico di Taranto: un’opera site specific, sulle acque del Mar Piccolo, che ha visto la riattivazione di una piattaforma galleggiante in disuso. Due schermi, collocati in un luogo sospeso tra terra e mare, di fronte al paesaggio industriale e in dialogo con il contesto urbano, hanno mostrato il racconto visuale del viaggio all’interno della memoria collettiva tarantina. Il tappeto sonoro creato dal sound designer Cristiano Viola e dalla voce di Anna Rita Leone arricchisce di atmosfere stranianti la visione apocalittica legata all’inesorabile cambiamento delle acque. attraverso un montaggio che ha unito le immagini degli archivi familiari alle riprese realizzate in residenza, Di Liberto ha restituito una visione anacronistica, ispirata alle teorie dello storico dell’arte e filosofo Didi-Huberman, dove la stratificazione di immagini da tempi diversi e le connessioni basate su suggestioni estetiche e legami formali rappresentano elementi rivelatori capaci di riconfigurare presente e passato.
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La mostra di Giuseppe Di Liberto a Casa Viola
La mostra conclusiva della residenza è ospitata negli spazi di Casa Viola – Museo degli Illustri Tarantini (MUDIT), centro culturale nel quartiere Tre Carrare-Solito di Taranto. Il percorso espositivo presenta l’opera video e la pone in dialogo con un atlas, una mappatura visuale non cronologica che esplora il tema delle acque di Taranto, esplodendo il ragionamento che viene realizzato in maniera ugualmente anacronistica nell’opera video. L’atlas organizza un percorso atemporale accostando su tela immagini diverse, una sorta di montaggio emotivo che mescola idilli da cartolina anni Settanta a foto di reperti archeologici, produzioni visive dei laboratori creativi a inquietanti paesaggi contemporanei, secondo la nozione di Bilderatlas dello storico dell’arte Aby Warburg, con l’obiettivo di far emergere inedite connessioni tra le immagini. L’iniziativa rappresenta un primo passo verso la creazione di una raccolta di opere di arte contemporanea, con l’obiettivo di trasformare Casa Viola in un attivatore di dialoghi tra le pratiche artistiche e la comunità locale.
Le parole dell’artista Giuseppe Di Liberto
Di Liberto spiega che la sua ricerca “ha avuto un approccio etnoantropologico, infatti una parte importante del progetto si è svolta attraverso lo studio del materiale di archivio – sia quello del Museo etnografico Alfredo Majorano, che di Archivio RitrovaTa”. E aggiunge: “la trattazione del materiale di archivio è avvenuta con una metodologia ispirata alle teorie del filosofo Walter Benjamin e al concetto di costellazione, quale approccio filosofico-politico che guarda alle rovine del passato come chiave per svelare il presente. Ma la ricerca non ha potuto prescindere da nuove produzioni visive, filmati e immagini risultati dall’immersione nella contemporaneità e dal contatto con la comunità tarantina”. Così, le immagini di Le acque che vidi non saranno più le stesse “mettono al centro il mare di Taranto come elemento portatore di un significato che muta nel corso del tempo”.
Cristina Carriere
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