Una mostra a Roma racconta l’Antartide trasformando la scienza in esperienza
Ci sono luoghi che sembrano mentali più che geografici. L’Antartide è uno di questi. Una distesa che non concede appigli, un vuoto che diventa forma, un silenzio che modella lo sguardo ma che ci riguarda più di quanto si possa pensare e la mostra al CNR di Roma lo dimostra...
Al Consiglio Nazionale delle Ricerche di Rome è in corso una mostra che non documenta il paesaggio, ma lo interroga. Perché, come ricorda lungo il percorso osservare è già, di per sé, una responsabilità. Si tratta di Antartide, il Continente Bianco. 40 anni di ricerca italiana, esposizione del Programma Nazionale di Ricerche in Antartide che trasforma la scienza in esperienza sensoriale, oggetto scultoreo, immaginazione visiva. Quindi, seppur organizzata dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) in collaborazione con la Commissione Scientifica Nazionale per l’Antartide (CSNA), il Museo Nazionale dell’Antartide (MNA), l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo sostenibile (ENEA), l’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (OGS) e con il contributo di ricercatrici e ricercatori di altri Enti e Università, questa mostra non è una mostra documentaria. È una scrittura dello spazio: un tentativo, raro e prezioso, di tradurre il continente bianco in immagine, ritmo, luce, voce.

L’ingresso nel bianco della mostra dedicata all’Antartide al CNR di Roma
Il percorso parte da una frase sospesa tra poesia e fenomenologia: “Non c’è calore nell’assenza. Non c’è silenzio più assordante del gelo tra i ghiacci. Qui il freddo è uno spazio mentale. È la misura del tempo. È specchio della ricerca umana”. Statement che si pone come una soglia. Un invito a deporre il brusio del mondo. Una videoinstallazione fotografica immersiva nel corridoio conduce il visitatore dentro il bianco: schermi che reagiscono al passaggio, immagini che emergono come ricordi, una sorta di preludio percettivo. Progetto illustrato, poco più avanti da una time-line che racconta i 40 anni di presenza italiana in Antartide sintetizza questo interessante disegno del tempo. La sala immersiva è il cuore del progetto: un ambiente che non riproduce l’Antartide, ma la evoca come farebbe un artista concettuale. Pareti illuminate a 270°, superfici che respirano, suoni che riproducono l’infrangersi dei venti catabatici come battiti profondi della Terra. Il bianco non è più colore: è campo di forze. Il silenzio non è assenza: è materia. Lo spazio non vuole stupire: vuole ascoltare chi lo attraversa. È un dispositivo di percezione: un’opera totale in cui immagine, suono e tempo compongono un’estetica del gelo che richiama Turrell, Cardiff, la scultura del paesaggio.

In mostra a Roma il continente viene presentato come un’installazione vivente
Le sale successive lavorano sullo stesso codice visivo, trasformando i contenuti scientifici in un atlante artistico. La mostra include tra le altre cose sculture di pinguino imperatore e di foca di Weddell, presenze iconiche che emergono come figure totemiche nell’ambiente bianco. Una macchina interattiva permette di ruotare un globo terrestre, mostrando come la luce solare sfiora e abbandona il polo sud nelle diverse stagioni: un gesto minimo che diventa cosmologia. Dalle collezioni del Museo Nazionale dell’Antartide arrivano modelli imbalsamati: il pinguino di Adelia con il suo uovo, il pinguino imperatore con il suo, e il pulcino di Skua, fragile e severo allo stesso tempo. È zoologia, ma anche scultura del reale. Alcuni frammenti di roccia scolpiti e levigati da vento e sabbia sembrano opere di land art miniaturizzate: linee dolci, sedimenti, forme plasmate dall’implacabilità del clima. Accanto, meteoriti raccolte sulla coltre antartica restituiscono un’altra scala ancora: la storia del sistema solare, caduta nel bianco. Una riproduzione del globo terrestre rotante mostra l’estensione della calotta, mentre un modello fedele del robot utilizzato per esplorare i fondali antartici introduce la dimensione tecnologica e quasi fantascientifica della ricerca polare. Le infrastrutture italiane, le basi e il modellino della nave Laura Bassi, assumono l’aspetto di installazioni architettoniche: minuscoli avamposti nel vuoto, architetture di resistenza in un paesaggio assoluto. Tutto è rigoroso e simbolico: la scienza non viene estetizzata, ma resa leggibile attraverso un linguaggio che appartiene al contemporaneo.

La forma visiva della ricerca al CNR
La cura progettuale del percorso – affidata al Gruppo Tecnico di Progettazione, Organizzazione e Comunicazione; Unità Relazioni con il pubblico e Comunicazione Integrata, guidato dalla dottoressa Francesca Messina – lavora in equilibrio tra documentazione e poesia. Ogni elemento, dalle luci alle grafiche, dalle sculture alle videoinstallazioni, è parte di un’unica architettura narrativa. Qui la ricerca diventa gesto artistico: non per semplificare, ma per restituire complessità attraverso la percezione. L’Antartide appare come un organismo estetico: fragile, monumentale, astratto, essenziale.
Uscendo dalla mostra a Roma l’Antartide diventa un paesaggio che continua a guardarti
La mostra ha un merito raro: non termina uscendo dall’ultima sala. Rimane come rimangono le immagini che non descrivono un luogo, ma lo trasformano in sguardo. Il visitatore lascia il percorso con la percezione che l’Antartide non sia più un altrove: è un prisma attraverso cui leggere il presente. Un luogo che, pur non essendo abitato, ci riguarda più di molti luoghi abitati.
Una forma del futuro, scritta in ghiaccio.
Michele Luca Nero
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Roma // fino al 23 gennaio
Antartide – Il Continente Bianco – 40 anni di ricerca italiana
CENTRO NAZIONALE DELLE RICERCHE
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