L’ascesa del curatore indipendente (e il silenzio dei musei!)

Per la risignificazione profonda delle collezioni museali, la curatela potrebbe trarre ispirazione dalle pratiche al di fuori dei musei, per riconfigurarsi in base alle mutate e più articolate esigenze che caratterizzano la contemporaneità anche in ambito espositivo

Che significato ha all’epoca di una globalizzazione calante, il ruolo del curatore/curatrice nell’ambito delle arti contemporanee? E se una parte del mondo dell’arte critica aspramente una sorta di “professionalizzazione” dell’artista, il moltiplicarsi di corsi, master e dottorati dedicati alla curatela, quali nuove competenze fornisce? La complicazione delle dialettiche e delle pratiche artistiche riguardano anche la curatela che oggi non comprende soltanto competenze di tutela, ma si diversifica assumendo mille vesti, dall’affiancamento degli artisti, alla mediazione, alla creazione di spazi di sperimentazione, narrazione e contro narrazione. 

La curatela: protagonista nell’arte dagli Anni Novanta

Tra i fenomeni più interessanti negli ultimi decenni, spesso sottovalutati, è l’emergere della figura del curatore indipendente che negli Anni Novanta diventa protagonista nell’organizzazione di mostre collettive, ricerche e progetti/processi che si sviluppano nel tempo, che l’artista Andrea Fraser nel suo libro Institutional Critique and After(2006) ha chiamato service oriented.  Chi lavora a fianco degli artisti anche a livelli locali, nella curatela di mostre collettive assume in quegli anni, quasi naturalmente, un ruolo più centrale, al tempo stesso creativo e politico, per non dire autoriale. 

La proliferazione delle biennali e la decontestualizzazione dell’arte

Intorno al nuovo millennio, in piena globalizzazione irrompe sugli scenari nazionali di tutto il mondo il fenomeno delle Biennali, tra le più importanti, la Biennale di Venezia, nata come Esposizione Internazionale nel 1895.  Attrattori per un nuovo turismo globale, insieme ai voli low cost, le grandi mostre internazionali hanno contribuito da un lato a portare a conoscenza di un pubblico più vasto il lavoro di tanti artisti di Paesi e culture lontani, trasformando la percezione profondamente autoriferita delle istituzioni occidentali. Dall’altro, tuttavia, le forme convenzionali di presentazione del lavoro degli artisti provenienti da altri continenti perpetuano un fraintendimento dell’opera d’arte come passepartout, come oggetto o forma che si comprende proprio in quanto non contestualizzato.

hans ulrich obrist by elias hassos L’ascesa del curatore indipendente (e il silenzio dei musei!)
Hans Ulrich Obrist by Elias Hassos

Primi Anni Duemila: la curatela come pratica sociale


Intorno ai primi anni del nuovo millennio l’interesse per la curatela sfocia in un fiorire di incontri, saggi e antologie dedicati alla figura del curatore, tra le quali  Curating subjects (2007) a cura di Paul O’Neill oppure il progetto di interviste storiche di Hans Ulrich Obrist. Tra i temi più dibattuti sono una crescente sensibilità più contestuale, sincronica e spaziale; un interrogarsi a fondo su come si produce un significato e con quali mezzi dare senso alle cose. Una destrutturazione dei linguaggi che è parte dell’eredità dell’arte concettuale.

La curatela tra organizzazione di una mostra e la creazione di senso

L’espansione o diffusione (per la miscellanea di ruoli e temi) della curatela come pratica sociale ha portato i teorici a distinguere la parola curation dal termine the curatorial, sostantivi che rimandano a due pratiche differenti.  Secondo Irit Rogoff e Beatrice von Bismarck in Cultures of the Curatorial, (2012), il primo riguarda una serie di competenze necessarie per generare una mostra o un allestimento; mentre il secondo identifica una capacità di articolare un momento di consapevolezza o di conoscenza in relazione ad altri. Quest’ultima accezione porta la curatela lontano dall’ambito della rappresentazione museale; rende invece pubblico tutto ciò che abilita e permette allo spettatore/partecipante di meglio comprendere e apprendere una funzione critica.  

La dilatazione delle mansioni del curatore rende necessaria una ridefinizione della curatela 

Oggi sarebbe necessario capire e chiarire la natura di questa differenza, e dell’indubbia amplificazione delle mansioni del curatore/trice. La curatela come pratica sociale può portare alla luce squilibri e ingiustizie che vengono sepolte sotto il peso di narrazioni egemoniche. La storia degli ultimi decenni ha visto degli esempi notevoli di ri-narrazioni “dal basso” come la Battaglia di Orgreave di Jeremy Deller che reinscena la distruzione di una comunità – quella dei minatori nel Regno Unito – e la criminalizzazione di una categoria di lavoratori affatto incline alla rivolta. In questo caso è lo stesso artista che assume il ruolo di curatore, ossia regista. E poiché tali pratiche artistiche pescano a piene mani nella Storia e negli immaginari del passato, tali contronarrazioni hanno una rilevanza crescente che afferisce al ripensamento della storiografia di Marc Bloch e in particolare alle ricerche di L’École des Annales che riportano alla luce aspetti della memoria collettiva mai rilevati prima. 
Ma anche la curatela museale che spesso delega a un public program la rinarrazione  della memoria collettiva, avrebbe da imparare dalle pratiche di curatela fuori dal museo per la risignificazione profonda delle collezioni museali, perché gli oggetti a modo loro parlano, non sono inerti e nel silenzio generale possono rendere le istituzioni stesse irrilevanti.

Anna Detheridge

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