Emilio Isgrò e Giovanni Caccamo. Musica, immagini, poesia: un progetto speciale in Sicilia
La storia di un disco, di una sfida culturale, di un intreccio di sguardi e di testimonianze, con una lunga serie di collaborazioni. L’ultimo capitolo si consuma in Sicilia, a Scicli. Protagonista il maestro Emilio Isgrò, un giovane cantautore e una stampatrice, appassionata di antiche tecniche d’incisione
La storia inizia quattro anni fa, con un disco del cantautore siciliano Giovanni Caccamo, incipit di un progetto culturale trasversale e poi spunto per altri progetti ancora, come un seme che attecchisce o un dispositivo che mette in moto una corrente buona. L’ultimo fiore è sbocciato a Scicli, splendida cittadina in provincia di Ragusa, oggi sede del MACC, nuovo Museo d’Arte Contemporanea del Carmine. Qui è in corso una retrospettiva di Emilio Isgrò, trovatosi a condividere con Caccamo un’iniziativa speciale, che della mostra e del museo sottolinea lo spirito di ricerca e la tendenza a costruire innesti, relazioni. Sono nati così una canzone e un’edizione limitata di stampe d’artista, lavoro a più mani consumatosi interamente sul territorio, in chiave transgenerazionale e sulla spinta di sintonie spontanee, grazie anche alla mediazione creativa della collezionista Angelica Fontana, appassionata sostenitrice – insieme al marito Gary Davey – del locale milieu culturale.
Antefatto. Il disco di Giovanni Caccamo
All’origine di tutto c’è un disco dal titolo Parola, progetto ambizioso che Caccamo si produce da solo, nel 2021, contando sulla distribuzione di Warner Music. È il suo quarto lavoro in studio. Nato nel 1990 a Modica, a pochi chilometri da Scicli, il musicista venne notato e apprezzato nel 2012 da Franco Battiato, che gli chiese di aprire i concerti del suo tour. L’approdo al grande pubblico avvenne tre anni dopo, con la vittoria a Sanremo Giovani e nel 2016 con il terzo posto nella categoria Big.
Parola è un concept album corale di matrice pop, con lievi articolazioni electro, melodie cristalline e un tono alto, nell’innesto dolce tra sensibilità poetica, prospettiva etica e la spinta verso un invocato umanesimo del terzo millennio: al centro c’è la riflessione sul ruolo delle parole nella costruzione di singole esistenze, di comunità, di narrazioni collettive, dunque dei destini di tutti. Ognuna delle sette tracce è ispirata a un testo letterario di autori del calibro di Pasolini, Sgalambro, Bufalino e lo stesso Battiato, ed è introdotta dalla voce di un personaggio celebre che ne legge un frammento, su un tappeto sonoro: da Willem Dafoe a Patti Smith, da Jesse Paris Smith a Liliana Segre, da Aleida Guevara a Michele Placido e Giuseppe Fiorello, fino a una registrazione d’archivio di Andrea Camilleri.
A dare il “la” era stato proprio l’appello rivolto da Camilleri alle nuove generazioni: provare a cambiare la società, credere nelle idee, a partire dalla forza della democrazia e del linguaggio. Nel nome di un futuro più giusto e più umano.

Le parole di giovani e maestri, nel progetto di Caccamo
Ne derivò il progetto collettivo Parola ai giovani, in collaborazione con i Musei Vaticani e il MAXXI, per la redazione di un Manifesto del Cambiamento e la realizzazione di una mostra. Accompagnato da una serie di simposi internazionali, il progetto rispondeva alle due questioni rivolte da Caccamo a decine di migliaia di ragazzi in tutto il mondo: “Cosa cambieresti della società in cui vivi e in che modo?”. Parole raccolte e messe in fila, perdute nella miriade di discussioni, di affermazioni, di teorie e di testimonianze registrate ovunque. Eppure, parole che insieme hanno disegnato un tracciato, un paesaggio: se non una promessa, la speranza di una consapevolezza nelle nuove generazioni.
Quelle stesse parole che, nella registrazione recuperata dal musicista, Camilleri trasformava in parametro e strumento delle relazioni tra individui: “Stiamo perdendo la misura, il peso, il valore della parola. Le parole sono pietre, le parole possono trasformarsi in pallottole. Bisogna pesare ogni parola che si dice, far cessare questo vento dell’odio: lo si sente palpabile attorno a noi. Ma perché, ma perché l’altro è diverso da me? L’altro non è altro che me stesso allo specchio”.
Dodici dei tantissimi testi pervenuti si trasformarono in opere visive: incisi su dei fogli di carta cotone, con un vecchio torchio a caratteri mobili, vennero interpretati da 12 grandi firme dell’arte contemporanea italiana, ancora a sottolineare la necessità di un rapporto forte con le radici nel complesso lavoro di invenzione del futuro. Tra i maestri coinvolti anche Cattelan, Paladino, Scianna, Jodice, e naturalmente Emilio Isgrò.

Una canzone per Emilio Isgrò
“Ho conosciuto Emilio Isgrò in quell’occasione”, ci racconta Caccamo. “Il testo affidato a lui s’intitolava ‘Elettezza’, scritto da Mariangela de Luca. Nacque un’amicizia e quando ha iniziato a lavorare alla sua mostra in Sicilia è stato spontaneo pensare di unire la nostra creatività per questa terra meravigliosa, a cui apparteniamo entrambi”.
Dalla lettura della poesia Ti amo, scritta da Isgrò per Scicli ed esposta al museo in forma di trittico cancellato, arrivò l’idea di una collaborazione. Mettere in musica i versi, trasformali in una canzone. “Così è nato il brano ‘Terra’ – continua Caccamo – che in qualche modo, sia a livello sonoro che poetico, riporta echi della nostra terra, anche con una dimensione onirica. La produzione è curata da Giordano Colombo e da me, l’arpa è suonata da Fabio Rizza. Abbiamo deciso di stampare una limited edition del cd, che si troverà all’interno di una cartella con due incisioni realizzate da Isgrò, a partire da due opere in mostra”.
Il testo, non esattamente identico alla poesia, parte da quel “candido accordo” che intona un “canto scatenato e casto”, rivolto a una figura iconica della tradizione religiosa locale: la “Madonna miliziana e pura” è la Vergine a cavallo, l’amazzone cristiana che attraversa il firmamento e poi discende verso Scicli, divenendone simbolo aureo.
“Vivi per amore e scarti la paura”, sussurra Isgrò a questa inedita Maria, come quel “Dio barocco che contrasto / tra i carrubi e la verzura. / Ti amo, per orgoglio e per natura”.
La melodia si fa preghiera, coperta che avvolge, eco di terre d’infanzia, mentre il suono scandisce e ribadisce la missione della scrittura: rammemorare, capovolgere, sedurre, scucire, ricomporre, cancellare, poi di nuovo mettersi a cercare. “Lavorare con Emilio è stato meraviglioso – commenta Caccamo – condividiamo una dedizione all’arte indiscussa. Maestri come lui mi aiutano ad arricchire il mio giardino e a camminare verso orizzonti di bellezza e di luce, soprattutto in questi tempi oscuri, in cui violenze, guerre e genocidi minacciano l’umanità, facendoci perdere fiducia nella vita, nel futuro e nell’altro”.

Le grafiche di Emilio Isgrò per la mostra al MACC
Completano il progetto due grafiche d’artista, ugualmente legate alla mostra al MACC: una cartina geografica della Sicilia, Carta siciliana (2025), riscritta con le classiche cancellature nere – riproduzione dell’arazzo esposto in apertura del percorso espositivo – e la stessa poesia Ti amo (2025), cancellata da uno sciame di formiche. Stampe di grande formato su carta Hahnemuhle, 50 esemplari ciascuna più 6 prove d’artista: acquaforte e acquatinta per la prima; caratteri mobili in piombo, con interventi in serigrafia, per l’altra. A proteggerle delle maxi cartelle in cartone, eleganti ed essenziali, al cui interno trova posto anche il cd con la canzone.
La stamperia è un piccolo gioiello aperto a Scicli da Loredana Amenta, 42 anni, sciclitana, colei che aveva già realizzato le 12 incisioni del Manifesto del Cambiamento. Particelle risonanti di un sistema di gesti, opere e sguardi, Caccamo, Isgrò e Amenta si trovano dunque a collaborare ancora. E sono di nuovo sensibilità misuratesi sulla stessa frequenza, alla stessa latitudine, nell’incantesimo di una piccola città siciliana. Tutto parte da qui, tutto ritorna, in qualche forma.
“Ho avuto la fortuna di collaborare con artisti profondamente differenti tra loro in questi miei 15 anni da stampatore-incisore. Con ognuno si è instaurato un rapporto di profonda empatia. Una connessione difficile da spiegare a parole, ma che diventa l’unica forza motrice che ci conduce fino all’opera”: Amenta continua a dosare inchiostri, solchi, pressioni della mano, allineamenti e calibrazioni, affidando pagine contemporanee alla memoria sedimentata del suo torchio in ghisa, un Albion press di metà Ottocento. I rituali sono nutrimento, pratiche custodite e testardamente difese. “Queste due cartelle in edizioni limitata con il Maestro Emilio Isgró – ci dice – sono per me un dono grande. È la conferma che il mio navigatore interno, nonostante le ripide salite, mi ha condotto in un posto che ‘riempie’ perché ‘restituisce’. Anche stavolta restituisce emozioni, conferme, crescita, nuovi occhi, bellezza e persone straordinarie”.
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Una stamperia tradizionale a Scicli
Così Loredana Amenta racconta e rivendica la sua scelta, fra impennate di realismo ed utopia, consapevole di tutti i limiti con cui fare i conti ogni giorno. È una nicchia nella nicchia. Una bottega d’incisione giovane, nella periferia di una provincia; un sogno coltivato a sud del sud, con l’Africa davanti e una grande tradizione europea come bagaglio; è la sensazione di trovarsi fuori dal tempo, fuori da qualunque centro, da qualunque ragione del mercato e della tecnologia. Però tutto è prezioso in certi teatri remoti, tra luci metafisiche, pieghe barocche, codici di devozione antica. E ciò che è prezioso ha l’occasione di splendere, a prescindere dalle geografie, dalle logiche vincenti, dalle correnti forti.
“L’incisione ‘vecchia maniera’ – conclude Amenta – è una sorta di bolla che scegli inconsapevolmente: nonostante le ore che richiede, continui a viverla come un’urgenza e non come un lavoro. Rapidamente si sfornano macchine di riproduzione digitale all’ultimo grido, ma nessuno mai mi convincerà che un dito indice che pigia un pulsante, per stampare in pochi secondi carrellate di immagini identiche, possa sostituire la poesia di un processo quasi alchemico, quale è la calcografia”.
La Sicilia, laboratorio del Mediterraneo
In un museo che prova a innescare processi, anche attraverso progetti di ricerca, collaterali alle mostre, quella di Isgrò è una retrospettiva che evita l’“autocelebrazione”, come lui stesso ci tiene a ribadire, per celebrare piuttosto il bisogno di parole, di impegno civile e di pensiero, di navigazioni e di rotte inconsuete, di tradizioni da far schiantare e reinventare, fuori dal pittoresco equivoco di un bozzettismo locale privo di respiro. È una mostra che vuole assomigliare a una parentesi di meditazione sul territorio siciliano, su un pezzetto di mondo, sulle speranze e le aperture che dell’isola sono sostanza, nonostante le eredità peggiori, i traumi, gli stereotipi, le eterne macerie, le colpevoli distrazioni.
“Oggi la Sicilia è il luogo di sperimentazione per eccellenza di tutto il Mediterraneo”, ci dice Isgrò. “Avere accanto a me un collaboratore come il musicista Giovanni Caccamo mi conferma nella mia certezza, come mi dà certezza Loredana Amenta con le sue incisioni calcografiche perfette”: a proposito di testimonianze e di futuro, di eredità raccolte per poterle trasformare. Così come si trasformano i racconti, le immagini, le partiture, sguardo dopo sguardo, ad ogni nuovo ascolto, di parola in parola.
Helga Marsala
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