A Pechino torna il Gallery Weekend Beijing. Siamo andati in Cina a vedere come cambia l’arte contemporanea
La nuova edizione della settimana dell'arte della capitale cinese porta alla luce un nutrito gruppo di gallerie e istituzioni e mostre di primo piano, soprattutto di artiste. Con un occhio sempre rivolto al passato (e l'ombra della censura)

Una trentina di gallerie, una decina di musei e non profit, tutto iperselezionato e su invito esclusivo degli organizzatori: è un po’ cambiato il Gallery Weekend Beijing, la manifestazione che dal 27 maggio al 1 giugno 2025 punta i riflettori sul meglio dell’arte contemporanea cinese. Centro del fitto calendario di iniziative della settimana dell’arte (istituita del 2017) è il distretto artistico della Factory 798, una cittadella ex industriale e semi-pedonale sostenuta dallo Stato che a decine di spazi artistici (anche di primo piano) affianca etichette discografiche, locali dove bere e mangiare, spazi immersivi e sperimentali più o meno indipendenti.
La kermesse, che negli anni scorsi si è allargata oltre le recinzioni del distretto, inaugura quest’ano la Beijing Art Season coinvolgendo nuovi player locali (come la fiera d’arte contemporanea Dangdai) ma anche centri culturali di altre regioni, come la nuova sede dell’Aranya Art Center dell’omonima località di mare. Che se per alcuni è un nuovo faro di cultura decentralizzata – i nuovi cinque spazi espositivi, di cui uno mastodontico che nel 2026 ospiterà David Hockney, si aggiungono a quello principale e a una sede locale dell’UCCA Center for Contemporary Art -, per altri è il pinnacolo della gentrificazione che ha travolto la Golden Coast.
















Gallery Weekend Beijing 2025: il ritorno della pittura
Per chi abbia girato fiere e manifestazioni d’arte contemporanea in Europa negli ultimi anni non sarà una sorpresa: la pittura va fortissimo. Può sorprendere che anche dall’altra parte del mondo la situazione sia simile, ma nemmeno troppo, perché il mercato quello è, e Pechino vuole nuovi collezionisti, che cerca nella crescente classe media e tra i giovani adulti. In oltre venti gallerie visitate, la pittura occupa uno spazio rilevante, anche se spesso è affiancata da installazioni, sculture o new media (come la selezione di video del VH Award dello Hunday Motorstudio). E c’è una sola mostra di opere IA in tutto il distretto (la personale di niceaunties da MG).
Pittura o no, non si resta scontenti: la qualità è molto alta. A spiccare sono i grandi solo show (ovvero le mostre personali) come quelli di Skyler Chen da Platform China, di Bian Kai da INKStudio (fuori dal distretto) e di Evelyn Taocheng Wang da Antenna Space. E, ovviamente, le tre exhibit del mostro sacro dell’arte cinese contemporanea, l’UCCA Center for Contemporary Art, che a una retrospettiva sull’artistar Anicka Yi affianca due personali di Chen Ke (pittura) e Liao Fei (mixed media). Ma tante sono le mostre che meritano attenzione, come la collettiva crossmediale nello spazio principale di Tang Contemporary, quella muscolare da Galleria Continua (che per i suoi 20 anni è tra le pochissime a non portare unicamente artisti cinesi) e quella sperimentale al centro MACA, tutta al femminile. Forse troppo sperimentale per Pechino? “Il nostro programma è più vicino a quello europeo”, spiegano dalla galleria, “non siamo capiti altrettanto dal pubblico cinese”. A proposito di femminile, la lineup di spazi sia pubblici sia privati fa sfigurare le statistiche occidentali: ben più di metà delle mostre sono di artiste.

Gallery Weekend Beijing 2025: temi e zone d’interesse
Quali le tematiche ricorrenti? C’è l’astrazione, che si prende tutto lo spazio dell’X Museum con 20 “giovani” artisti (un concetto di giovane simile al nostro, visto che sono under40); ci sono le riflessioni personali, come le tele perfezioniste di Liu Cong da Reflexion; un generale interesse per il connubio tra arte e scienza, vedasi la personale di Guo Cheng da MagicianSpace (vincitrice del premio 2025 per la migliore mostra) o la nuova Biennale della Scienza e della Tecnologia da 798 Cube; e una condivisa attenzione per la tradizione cinese. La percezione che gli artisti debbano non solo prendere in considerazione ma soprattutto dare lustro alla millenaria eredità del Paese è forte anche per i più giovani: mitologia, storia, cultura visiva, ma anche tecniche e materiali antichi, sono continuamente chiamati in causa, forse una possibile guida per un futuro incerto.
Alcuni temi più difficili, come l’identità sessuale e la persistenza della povertà rurale (ben affrontata dall’artista mongolo Yang Yang da Hunsand Space), vengono toccati meno esplicitamente. Come alcuni avranno immaginato, non c’è nemmeno l’ombra della politica.

La censura in Cina, e come il sistema dell’arte la aggira
La censura artistica in Cina funziona in modo particolare. Tutti sanno che esiste, al punto che non c’è molto interesse a parlarne e viene data per scontata, e tutti sanno di doverci lavorare attorno. Se l’artista rappresenta questioni personali o evoca mondi altri, per esempio quello del sogno, nessun problema. Se individua uno o più temi sgraditi si attirerà invece le attenzioni delle autorità: la galleria CLC si è vista chiudere una mostra subito dopo l’inaugurazione perché le opere evocavano il Giudizio Universale, e la promozione del cristianesimo è vietata. Stessa cosa per i nudi, per la sessualità esplicita e soprattutto per la contestazione politica.
Quindi gli artisti cinesi smettono di produrre tutto quello che riguarda questi temi, o non hanno accesso a questo tipo di opere dall’estero? No, perché tutto comunque si può fare, se si rispettano certe regole (non scritte). La più importante delle quali è non rendere ciò che è sgradito mainstream. In parole povere, troppo visibile. È per questo che l’ereditiera e collezionista Alia Lian ha optato per uno spazio privato in cui aprire la sua Collezione Zhuzhong, all’interno di una gated community fuori città: “Io seleziono solo arte femminile e spesso femminista, perché è quella che mi interessa”, spiega. “E nelle opere che ho esposto per questa prima mostra di temi scottanti ce ne sono molti: nudità, masturbazione e contestazione, con un’opera sulle violenze in Xinjiang. Se la aprissi in una galleria me la chiuderebbero. Peraltro, non penso nemmeno che il grande pubblico la apprezzerebbe”.
Giulia Giaume
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