Rauschenberg e il Novecento in mostra a Milano
Nel centenario della nascita di Robert Rauschenberg, al Museo del Novecento un ampio progetto di dialogo tra le opere di uno degli artisti più innovativi e influenti del XX Secolo e alcuni capolavori custoditi nelle collezioni del museo

Figura centrale della transizione dall’arte moderna a quella contemporanea, Robert Rauschenberg (Port Arthur, 1925 – Captiva Island, 2008), ha dimostrato durante la sua vita di avere un’insaziabile curiosità e di impegnarsi attivamente per la collaborazione e lo scambio di idee. Per l’artista ogni opera era frutto di incontri, scoperte e frammenti di mondo ricomposti in un nuovo ordine ed è proprio questo approccio a costituire il filo narrativo della mostra Rauschenberg e il Novecento al Museo del Novecento di Milano. Curata da Gianfranco Maraniello e Nicola Ricciardi, con il supporto di Viviana Bertanzetti, l’esposizione mette in relazione, a volte in modo volutamente anacronistico, la visione innovativa dell’artista con quella di protagonisti dei principali movimenti artistici che hanno segnato il Novecento italiano, dal Futurismo all’Arte Povera. Avvalendosi della consulenza della Robert Rauschenberg Foundation, i curatori hanno scelto di inserire una selezione di otto opere, provenienti da tutta Europa e realizzate da Rauschenberg tra gli Anni Settanta e Ottanta. Con le opere della collezione del museo, vengono quindi instaurati richiami diretti e mostrate affinità formali e tematiche, creando così un percorso che riflette le sperimentazioni di artisti che, come Rauschenberg, hanno creato nuovi linguaggi, rivoluzionando le convenzioni dell’arte. Questo spirito permea ogni sezione del Museo, recentemente arricchito da un riallestimento, frutto di un attento e meticoloso lavoro curatoriale.
La mostra “Rauschenberg e il Novecento” a Milano
La mostra inizia nella Galleria del Futurismo, dove Rauschenberg dialoga con l’entusiasmo per l’automobile e la velocità di Giacomo Balla. È stato scelto di esporre uno dei Gluts dell’artista americano, la serie per la quale aveva fuso, dandogli nuova vita e trasformandoli in sculture dalla forte valenza simbolica, rottami automobilistici e residui di stazioni di servizio, mettendo in evidenza l’eccesso di offerta di petrolio, che a metà degli Anni Ottanta portò al crollo del prezzo al barile a alla conseguente crisi economica. Questi assemblaggi evocano una riflessione sul ciclo di produzione e consumo e sulla capacità dell’arte di reinventare il senso delle cose e ben dialogano con l’entusiasmo futurista per la velocità e il progresso, presente in questa sala anche nelle opere di Carlo Carrà. Gluts ne sovverte la narrazione, rivelando la possibilità di riscatto nella materia dimenticata. Al piano superiore Napoleone Bonaparte valica il Gran San Bernardo, rilettura di Rauschenberg degli Anni Ottanta del celebre dipinto di Jacques-Louis David di inizio Ottocento. L’opera, intitolata Able Was I Ere I Saw Elba, dal leggendario palindromo attribuito a Napoleone prima di attraversare le Alpi, è messa in relazione con i dipinti di Mario Sironi e Carlo Carrà e con la grande scultura di Arturo Martini, I morti di Bligny trasalirebbero, il cui titolo deriva da un discorso di Mussolini sulle complicate relazioni tra Italia e Francia a metà Anni Trenta. In questa reinterpretazione, il mito napoleonico si sfalda in una nuova visione, in cui passato e presente si sovrappongono, ridefinendo il senso della storia.
Rauschenberg e Burri
Salendo di un piano si arriva agli Anni Cinquanta e ad Alberto Burri, il primo degli artisti incontrati di persona da Rauschenberg. Il pittore, uno dei primi a sperimentare linguaggi inediti e materiali extra-pittorici – quali plastica, sabbia, ferro e cemento – è stato una fonte d’ispirazione per l’artista americano, che è qui presente con uno dei suoi Cardboards, serie degli inizi degli Anni Settanta in cui l’artista introduce pezzi di cartone nell’opera, mostrato nella sua immediata valenza di elemento di scarto. Robert Rauschenberg esplora il potenziale del cartone, trasformandolo da materiale di scarto in bassorilievo murale che trattiene tracce del passato: le scatole conservano la memoria della loro funzione originaria attraverso macchie, ammaccature, strappi ed etichette. Il dialogo con Burri è immediato: come lui Rauschenberg eleva materiali poveri a protagonisti della pittura, spingendo i confini dell’arte oltre la tradizione ed entrambi sovvertono la percezione della materia, rivelandone la nascosta forza espressiva.




Presenza e assenza nelle opere di Rauschenberg e Parmiggiani
Prima di giungere alla Galleria “Gesti e processi”, recentemente completamente ristrutturata e riallestita, trova spazio un affascinante dialogo tra presenza e assenza, tra il presente e il tempo che scorre. La Scultura d’ombra, opera site-specificdi Claudio Parmiggiani per il Museo del Novecento, si specchia in uno dei Phantom di Rauschenberg, serie molto breve, del 1991, realizzata con immagini serigrafate, fotografie scattate dall’artista stesso, su alluminio specchiato anodizzato. Qui le immagini appaiono e scompaiono, a seconda della luce e dei riflessi sulla superficie, trasformando il metallo in una superficie pittorica in continua trasformazione, sovrapponendosi allo sguardo di chi osserva e facendone un inconsapevole protagonista dell’opera.
Rauschenberg e l’arte del Novecento
Nella sala successiva viene proposto un ideale dialogo transoceanico tra i lavori di Daniel Spoerri, Arman e Christo ed uno degli Spread, che mescola immagini trasferite, collage di tessuto e oggetti trovati. Questo raffronto vuole sottolineare l’influenza dei combine-paintings di Rauschenberg nello sviluppo di alcuni tratti caratteristici del nouveau réalisme, movimento che ha ridefinito il rapporto tra arte e realtà attraverso l’uso di oggetti quotidiani. Delle nuove ed eleganti sale, una con vista su Piazza del Duomo – che adesso ospita Rosa bianca e Rosa nera di Jannis Kounellis e l’imponente Festa cinese di Mario Schifano, maestro della pop art italiana – arricchisce la sua riflessione sulla trasformazione della materiacon Summer Glut Fence, 1987, tra i lavori più pop di Rauschenberg ed ultima serie di sculture in metallo. Quest’opera integra l’arte con il caos della vita: gli assemblaggi di oggetti di scarto esplorano le potenzialità del metallo e offrono la possibilità di guardare le cose in relazione alle loro molteplici possibilità, come i Turisti di Maurizio Cattelan, che un occhio attento può notare far capolino da un architrave.
Rauschenberg e l’arte povera
Uno spazio più raccolto mette in dialogo le opere concettuali di Giulio Paolini con la dimensione onirica di uno degli Hoarfrost di Rauschenberg, dei primi Anni Settanta, che è parte di una serie il cui titolo evoca la brina citata da Dante nell’Inferno, immagine di una presenza effimera destinata a scomparire. Rauschenberg reinventa il linguaggio della stampa trasferendo immagini tratte da giornali e riviste su sottili fogli di seta e cotone. I tessuti di cotone e seta leggera, con le pieghe fluttuanti, rivelano le immagini impresse dall’artista americano, materializzando la ricerca della bellezza e dell’ineffabilità dell’arte perseguita da uno dei maestri italiani dell’Arte Povera.
La pratica contaminata di Robert Rauschenberg
La mostra si conclude con una riflessione sulla trasformazione. La materia e l’energia in mutamento dei Crogioli di Gilberto Zorio e la tensione della Stratosferica di Eliseo Mattiacci, intesa come tentativo di dialogo con l’universo, trovano una risonanza profonda nell’ambizioso progetto ROCI, concepito tra il 1984 e 1991. Onoto Snare / ROCI Venezuela, del 1985, qui presentato, incarna l’ideale di Robert Rauschenberg, la sua curiosità e il suo spirito di condivisione e collaborazione. Dai celebri assemblaggi, alla fusione di immagini e oggetti, dalle superfici specchianti alla ricerca del potere evocativo dei materiali di uso comune, la mostra rende evidente come la contaminazione sia il fulcro della pratica artistica di Rauschenberg e celebra la concezione dell’arte come spazio di connessione e dialogo: un invito a riscoprire il Novecento e il Museo attraverso la stessa curiosità e la spinta alla costante sperimentazione che hanno caratterizzato Rauschenberg.
Giulia Bianco
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