Il mondo invisibile della comunità lesbica pugliese raccontata in una mostra a Bari
L’esposizione dell’artista e attivista Flavia Tritto da VOGA Art Project racconta, tra dimensione interiore e sfera pubblica, l’identità lesbica e queer attraverso la storia del gruppo lesbico separatista barese delle Desiderandae
 
                            Geografie dell’amore, del desiderio e dell’immaginazione, vissute – fin dall’infanzia – secondo un’identità sessuale alternativa rispetto alla dicotomia maschio/femmina, imposta dalla società patriarcale, con la conseguente rivendicazione dei diritti delle donne lesbiche e di persone queer, e in generale della comunità LGBTQIA+ attraverso l’arte e l’attivismo politico. Queste tematiche permeano La prima festa dell’anno, la mostra di Flavia Tritto (Bari, 1994) in corso a Bari, negli spazi di VOGA Art Project.
La mostra di Flavia Tritto a Bari
L’artista e attivista pugliese, dal background di livello internazionale e che si esprime attraverso una pluralità di linguaggi, racconta il mondo invisibile delle “minoranze” sessuali. E lo fa da una prospettiva inedita: la riscoperta della storia nascosta del lesbismo pugliese separatista, in particolare del gruppo Desiderandae, attivo a Bari fin dagli Anni Novanta.
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                    Il gruppo Desiderandae nella mostra di Flavia Tritto
Il percorso espositivo, infatti – come tappa conclusiva del progetto di ricerca volto a tracciare un’“iconografia lesbica terrona condivisa” e denominato VIVA. Esperienza e visibilità lesbica dal presente al futuro in Puglia, avviato ad ottobre 2024, a cura di VOGA Art Project in collaborazione con MIXED LGBTQIA+, comprende materiali tratti dagli archivi grafici delle Desiderandae: volantini, locandine, brochure che pubblicizzano vacanze, feste e festini, proprio per rivendicare la funzione della festa come pratica politica in quanto espressione di libertà nell’identità di genere.
Le opere di Flavia Tritto da VOGA Art Project
I vissuti individuali dell’infanzia, la solitudine e le sfide affrontate al cospetto dell’invisibilità sociale e della marginalizzazione dell’identità lesbica, emergono nell’opera Sandokan, un’installazione formata da foto di bambine tratte dai loro album di famiglia, da una spada di plastica e dal costume di Sandokan, indossato dall’autrice a Carnevale, più di vent’anni fa. La metafora del desiderio inespresso e dell’impossibilità di pronunciare la parola “lesbica” è invece rappresentata dall’installazione Prima di addormentarmi, formata da nivei cuscini sui quali si staglia una lingua di ceramica e foglia d’oro. 
Cecilia Pavone
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