Intervista all’attrice Eva Robin’s per la sua mostra a Bologna

Colori accesi, figure eteree e persino una svastica nell'occhio: la prima mostra dell'artista e attrice è inquietante e affascinante. L’intervista

È stata Artefiera l’occasione per Eva Robin’s di vedersi finalmente dedicare la sua prima personale. La mostra, che ha ricevuto parecchi consensi ed una grande affluenza di pubblico ai Teatri di Vita Studio in Via del Pratello 90/a, ha resto omaggio alle opere di una protagonista dello spettacolo italiano, nel cinema (con registi come Dario Argento, Maurizio Nichetti, Alessandro Benvenuti) e nel teatro (con Andrea Adriatico, Valter Malosti, Veronica Cruciani), con autori come Cocteau, Copi, Beckett, Jelinek, Shakespeare, Genet. Parallelamente è attiva da molti anni come originale e sorprendente artista, negli spazi privati della sua abitazione-studio, in un’esplorazione del linguaggio visivo che si nutre delle sueesperienze umane e artistiche, arrivando ad allestire scenari inquietanti o fascinosi. Pittura, composizione materica e assemblaggi, anche di objets trouvés macerati e ricomposti, si mostrano senza soluzione di continuità per avvolgere l’osservatore e trascinarlo in un universo mostruoso. Nella mostra personale Fragili Nascondigli per Peccatori presenta le sue ultime creazioni, all’insegna della fragilità e del peccato.

L’intervista all’artista Eva Robin’s

Quando ha sentito la necessità di incominciare a disegnare?
Ho iniziato tanto tempo fa quando avevamo ancora il telefono fisso in casa scarabocchiavo durante le lunghe telefonate come per un vezzo, era un modo di prendere la telefonata un po’ più in maniera piena poi ho continuato durante le pause del mio lavoro teatrale dove ho iniziato un pochino a pastrocchiare con i colori.

Si è ispirata a qualche soggetto, in che modo ha sentito di esser portata a qualche disegno anziché ad altri?
Diciamo che la prima ispirazione è stato Francis Bacon con la disgregazione dell’immagine, della figura, del contorcimento dovuto anche all’atrocità e questo mi ha tirato fuori un po’ la parte più oscura di me. Ho sempre utilizzato del materiale che trovavo davanti ai cassonetti della spazzatura come ante di armadi, cassette per la frutta, ecc.

…e quindi lei li assembla?
Sì, dipende anche da quello che trovo andando in giro anche per i mercatini; vecchie cornici o soggetti dove io posso dipingerci sopra. Molte cose che ho fatto anche prima del 2000 sono state poi vendute.

Nel tempo ha cambiato il suo interesse per i suoi soggetti o il suo stile?
Quando non ho voglia di disegnare davanti ad una tela bianca utilizzo soggetti già fatti che ho ribattezzato “gli intrusi”; un quadro già fatto dove io inserisco un elemento.
Oppure dei rifatti cioè dei soggetti già disegnati dove io li stravolgo e li chiamo “i rifatti”, come ad esempio “La lumachina” che all’inizio era una Madonna.

Nella mostra saltano all’occhio del visitatore i colori accesi de “La bisteccona” 
Mi pare fosse un sovrapporta abbandonato nei rifiuti color legno che ho dipinto con un total black e bacon con questa “carnaccia” nuda, infine l’ho accentuata con dell’olio in maniera che la rendesse accesa, quasi vera.

Mi racconta anche del quadro Giorni felici
Mi sono ispirata ai Giorni felici di Beckett regia di Andrea Adriatico che mi ha proposto di fare i Teatri di Vita nel ’94 salvandomi col teatro in una pièce de La voce umana di Jean Cocteau. Il personaggio piano piano sprofonda nella terra, trova la sua ubicazione fino alla vita, poi rimane solo col collo, alla fine recita con la testa fuori e il corpo sepolto. Molti anni fa l’avevo fatta in una piscina sepolta nella neve ed è stata un’esperienza pervia ma molto molto bella, qui invece ho trovato il bosco, mi è venuto di metterci un agnello come intruso.

Eva Robin's, Er pupo, Tecnica mista su cartone, 2016
Eva Robin’s, Er pupo, Tecnica mista su cartone, 2016

“Er pupo” con la svastica nell’occhio è un po’ inquietante. A cosa si è ispirata?
Sono sempre stata attratta dai simboli. Quando ero piccolina andavo spesso al cinema, mia madre era una giocatrice di carte mi mandava con un dado a vedere dei film dove c’erano spesso i nazisti, per questo sono venuta su con la visione della svastica, allora mi divertiva farlo con questa testina da orsacchiotto in testa. Ma praticamente era nascosto dal paravento.

Ho notato che si ispira molto a figure eteree.
Si, molto. Anche ai fumetti: mi piace tirar fuori il lato ironico che è molto presente nella mia vita. Anche a certi personaggi fantastici che sono proprio da fumetto.

Come ha deciso il titolo della mostra?
Il fatto di dipingere mi toglieva dall’ossessione sessuale: era anche un modo per distogliermi da qualche delusione amorosa o da qualche rapporto irrisolto con i miei partner; dipingere colmava il vuoto, l’assenza della persona e la delusione di un rapporto.

Paolo Bompani

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Paolo Bompani

Paolo Bompani

Vive a Bologna, si occupa di cultura e comunicazione digitale, collabora con la Redazione di Vpoket, magazine patinato dove cura la rubrica “A tu per tu” con interviste a personaggi dell’intrattenimento e dello spettacolo. Per Artribune segue eventi fieristici, d’arte…

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