Attriti e costellazioni nelle mostre allo spazio Pasquart in Svizzera

La Kunsthaus svizzera di Bienne espone le opere di Fausta Squatriti e Delphine Coindet. Due mostre distinte ma che, nella tensione tra vitalità barocca e riduzione formale, dialogano profondamente

Al Pasquart, nome con cui è designata la Kunsthaus di Bienne, o Biel – città bilingue al confine tra Svizzera francese e tedesca – sono protagoniste due artiste di differenti ambiti e generazioni: oltre a dar vita a due distinte mostre personali, hanno visto incrociarsi e dialogare i loro lavori in un ulteriore allestimento, al cui interno sono risultate singolari affinità di sensibilità e di linguaggio, pur senza che ciascuna di esse fosse a conoscenza del tragitto artistico dell’altra. Stiamo parlando dell’italiana Fausta Squatriti (Milano, 1941) e della francese Delphine Coindet (Albertville, 1969).

Le opere di Fausta Squatriti in mostra a Bienne

Presente sulla scena internazionale fin dagli anni Sessanta, l’artista milanese, attiva anche nel campo della scrittura e dell’editoria di grafiche e multipli, ha visto in questi ultimi anni un crescente ritorno d’attenzione e una ormai acquisita consapevolezza da parte della critica circa l’importanza e l’originalità della sua ricerca. Ricerca che, in questa rassegna elvetica intitolata Galaxie e curata da Marjolaine Lévy, è rappresentata da tutte le varie fasi che hanno scandito il percorso della sua più che sessantennale carriera. Si inizia dai pastelli del ciclo Urformen (1958 – 1964), dove troviamo un’imagerie ancora memore del clima informale, evocante una gamma di allusioni che spaziano dalla dimensione intrauterina a quella galattica. Si continua con La passeggiata di Buster Keaton (1964-1966), un insieme di opere pittoriche che postula una ripresa degli aerei spazi del Tiepolo, reinterpretati attraverso l’intersecarsi di ritagli vagamente biomorfici, i quali si interfoliano entro ampie campiture in cui il nero si alterna a fresche tonalità primaverili e a tinte caramellate. Queste sagome sembrano già presagire l’approdo tridimensionale delle Sculture colorate (1964-1974), dove assistiamo a un’ulteriore galassia di forme che si sbrecciano e si compenetrano, che si sfogliano e di nuovo si accorpano, in cui capita che lo svirgolare di profili lobati o seghettati si incernieri in volumetrie più essenziali e severe. Ma a un certo punto gli interessi dell’artista, ricongiungendosi a motivi già esplorati all’inizio del suo percorso, in cui affioravano interrogativi esistenziali e fermenti barocchi, si rivolgono a materiali organici e di recupero. In una delle sue ultime composizioni, Corpi celesti vaganti (2022-2023), questi oggetti trovati, variamente sagomati e disseminati, assumono le sembianze di misteriose costellazioni, di inesplorate galassie.

La mostra di Delphine Coindet a Bienne

Inclusiva e pletorica, onnivora e plurisignificante, l’opera di Delphine Coindet (qui affidata alla cura di Paul Bernard, il giovane direttore del Pasquart) offre una disarmante molteplicità di vie d’accesso. I singoli lavori denotano una vocazione alla transitorietà e al non finito, che vede nel ready made l’occasione per una incessante rielaborazione linguistica, in cui tutto fa, come recita il titolo della mostra Autofriction, attrito con se stesso. Le opere messe in campo si presentano suscettibili di ulteriori sviluppi e declinazioni: i fondi di magazzino, gli accumuli, le rimanenze, tutto ha la possibilità di essere rimesso in circolo, di collidere e di dare origine a nuove formazioni e combinazioni. Dice infatti l’artista: “Non voglio considerare il lavoro come un oggetto chiuso e finito, o anche come un fine in sé, ma piuttosto come una forma transitoria che rivela il contesto che lo ha reso possibile”. Consideriamo ad esempio il grande dispiegamento di pneumatici: verniciati e sovrapposti diventano colonne che scandiscono e articolano lo spazio della grande Salle Poma; stratificati lungo un lato della stessa sala, ora diventano contenitori di fortuna entro cui si danno convegno gli oggetti più disparati, ora mantengono il loro carattere di scarti, di riempitivi, di materiale grezzo in attesa di un possibile ripescaggio e riscatto. 

Fausta Squatriti, Urformen, installation view at Pasquart Bienne 2023. photo Mauro Brovelli
Fausta Squatriti, Urformen, installation view at Pasquart Bienne 2023. photo Mauro Brovelli

Il dialogo tra le due mostre del Pasquart di Bienne

Entro questo profluvio di ready made, ecco però che da un lato si inseguono scritte, proclami, asserzioni, slogan, come se le parole si rispecchiassero e si ribaltassero nelle cose e viceversa; dall’altro vediamo distaccarsi da questi accumuli dei ritagli di materia che si assestano entro profilature geometriche, sagome che si squadrano e si solidificano come in cerca di un ordine. Ed è proprio nei momenti in cui manifestano questa parziale tensione verso la sintesi che i lavori delle due artiste sembrano scambiarsi i connotati e quasi confondersi gli uni con gli altri: laddove, nella variegata articolazione dei diversi stadi della loro ricerca, l’adesione sentimentale a una concezione vitalistica e barocca trova la sua contromisura in una volontà di riduzione formale e in un principio di cristallografica essenzialità.

Alberto Mugnaini

Bienne // fino al 19 novembre 2023
Fausta Squatriti. Galaxie
Delphine Coindet. Autofriction
KUNSTHAUS PASQUART
Seevorstadt 71
https://www.pasquart.ch/

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Alberto Mugnaini

Alberto Mugnaini

Alberto Mugnaini, storico dell’arte e artista, si è laureato e ha conseguito il Dottorato di Ricerca all’Università di Pisa. Dal 1994 al 1999 ha vissuto a New York, dove è stato tra i fondatori del laboratorio di design “New York…

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