Piero Gilardi e la rivoluzione dei suoi tappeti-natura

Simbolo della produzione artistica di Piero Gilardi, morto da poche ore, i tappeti-natura sono lontani sia dall’Arte Povera sia dalla Pop Art. Ecco perché

Dietro ai miei tagli, s’intravedono i tappeti-natura di Piero Gilardi“. Lucio Fontana, nel 1965, quando vide, per la prima volta, le opere dell’artista torinese le individuò immediatamente come l’altrove dei Concetti spaziali, la realtà che si colloca al di là dei confini fisici.
Sono passati quasi sessant’anni dalla nascita dei tappeti-natura e queste strane creazioni non smettono di affascinare come se avessero imboccato una strada autonoma persino dal loro autore. I tappeti-natura si rigenerano come corpi pulsanti in grado di trasformarsi in relazione con lo spazio che li circonda e, al contrario di altri segni artistici prodotti negli Anni Sessanta, non sono usurati dal tempo e non appaiono circoscrivibili esclusivamente a un determinato periodo storico. Sono una rivoluzione semantica in grado d’incidere sul nostro sistema percettivo e di cui, forse, non sono ancora state messe in risalto tutte le possibili conseguenze.
Spesso fraintesi, talvolta banalizzati, i tappeti-natura non sono certamente un Eden artificiale, né vanno considerati esclusivamente sotto l’aspetto contenutistico come monito a sfondo sociologico. “I miei tappeti non sono nati come quadri, come oggetti da galleria, ma sono nati come proposta per la vita di tutti i giorni. Erano pensati come tappeti da mettere in casa, da calpestare. Sotto sotto c’era l’intenzione di far uscire l’arte dagli schemi convenzionali e di farla vivere dentro l’esperienza della quotidianità con una funzione e con un meccanismo interno di tipo ludico. È però chiaro che l’idea generatrice di quel lavoro scaturiva da una riflessione sulla morte della natura, intesa come metafora delle pulsioni umane, annichilite e vilipese dalla razionalità industriale e metaforicamente rappresentata dal trancio di paesaggio, quasi un cippo alla memoria che, per ironia della sorte, era fatto di poliuretano, un polimero artificiale e non di lunga durata”, ha scritto Gilardi ricordando la genesi dei tappeti-natura che alla metà degli Anni Sessanta hanno rappresentato una deflagrazione ponendosi a debita distanza sia dall’Arte Povera sia dalla Pop Art.

Piero Gilardi. Museo MAXXI, Roma 2017

Piero Gilardi. Museo MAXXI, Roma 2017

GILARDI, L’ARTE POVERA E LA POP ART

Pur avendo partecipato attivamente agli esordi del movimento di Germano Celant, è evidente che nell’opera di Gilardi c’è già una critica implicita nei confronti di una ricerca, come quella dei poveristi, che faceva propri i dati naturali attraverso un atteggiamento di tipo tautologico.
Non è un caso che Celant, nel suo celebre testo sull’Arte Povera Appunti per una guerriglia, pubblicato su Flash Art  nel 1967, prenda le distanze dai tappeti-natura prediligendo gli oggetti poveristi realizzati negli stessi anni da Gilardi: “Un’urgenza all’esserci che ha condotto Gilardi, soffocato dai suoi tappeti-natura e dal poliuretano, a realizzare nel 1966 degli oggetti che sono la concretizzazione, non più mediata e mimetica, del suo agire strumentale e funzionale, ed ecco il basto, la carriola, la sega, la scala. Per chi conosce ‘l’operoso’ Gilardi, questi sono i suoi ‘simboli’”.
Gilardi esprime il medesimo distacco nei confronti della Pop Art e il fatto stesso di aver scelto l’artificialità della natura come punto di partenza crea una frattura rispetto al movimento americano che connota le proprie immagini intorno al desiderio di consumo. L’artista torinese non ci sta e, non a caso, preferisce definirsi come post-pop, dal momento che la sua natura appare come un oggetto autoreferenziale che si rifà a specifici codici linguistici in base a un’indagine dove l’arte è intesa come sistema di relazioni formali determinata dal proprio essere e dal proprio divenire: “Io penso che la mia collocazione corretta sia quella di un artista post-pop, ovvero di un artista che ha lavorato in un periodo di transizione tra l’inizio e la fine degli anni Sessanta”.
I tappeti-natura insomma appaiono come un segmento di natura più vera della natura stessa ma non realistica. Un inverosimile totalmente vero o, se si preferisce, un vero totalmente inverosimile.

Piero Gilardi. Tappeto-Natura. Exhibition view at Magazzino Italian Art, Cold Spring 2022. Photo Marco Anelli _ Tommaso Sacconi

Piero Gilardi. Tappeto-Natura. Exhibition view at Magazzino Italian Art, Cold Spring 2022. Photo Marco Anelli _ Tommaso Sacconi

I TAPPETI-NATURA DI PIERO GILARDI

Si tratta di una costruzione plastica e cromatica che prende le distanze dall’oggetto rappresentato nel momento stesso in cui lo rappresenta. Nulla è davvero come sembra in un’opera polisemica e artificiosa, interattiva e tattile dove, citando le parole di Henri Focillon, “la forma esercita una specie di magnetismo su sensi diversi”.
Di fronte ai tappeti-natura, più che di mimesis in senso platonico, si può parlare di mimetismo dove l’artista impone la propria vis teatrale su una natura che diventa essa stessa oggetto di rappresentazione in un continuo gioco di travestimenti, accentuando l’aspetto illusorio dell’arte, secondo un’ottica che pone Gilardi come punto di riferimento per una parte significativa delle ricerche contemporanee.
Siamo di fronte a un’artificialità esibita, a un’imitazione del plausibile, a un mondo parallelo, all’interno di un percorso dove il virtuale viene filtrato dall’immaginario in un’esibizione continua di simulacri, di feticci di riserva, come se il tappeto-natura diventasse un’iperpresenza all’interno di un sistema dove viene negata la realtà oggettiva.
Gilardi ha agito sull’aspetto sensoriale e tattile creando un universo immobile, gradevole e totalmente sterilizzato; l’apparenza delle cose prende il sopravvento all’interno di un simulacro dove la seduzione passa attraverso la morte della natura esibendo e ostentando l’artificio della sovracomunicazione.
Quella compiuta da Gilardi è stata un’ibridazione in cui il paesaggio in poliuretano tende a cannibalizzare quello reale, ponendo come punto centrale del suo operare l’aspetto relazionale che scardina di continuo la flebile linea che separa la natura dall’artificio.
È chiaro che, sin dalle origini, i tappeti-natura evocano il multimediale e si pongono come punto di partenza di tutta la sua ricerca tecnologica e virtuale. L’elemento dell’artificio, connesso alla funzionalità e al recupero di una nuova dimensione del fantastico, trova il suo sviluppo nelle installazioni virtuali interattive realizzate dal 1988 che lo conducono nel 2008 alla realizzazione del PAV, il Parco Arte Vivente di Torino.

Alberto Fiz

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Alberto Fiz

Alberto Fiz

Alberto Fiz (1963), critico d’arte, curatore di mostre e giornalista specializzato in arte e mercato dell’arte. Ha un'ampia attività pubblicistica e saggistica. Ha svolto ruoli di direzione e di consulenza artistica per amministrazioni ed enti pubblici. Ha realizzato il progetto…

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