La mostra all’Orto botanico di Maurizio Pierfranceschi (Roma, 1957), accolta in una serra immersa nel verde, ha la potenza di un racconto fondativo, narra qualcosa di universale ‒ la tradizione figurativa ‒ e profondamente umano: l’esperienza di un artista sulla scena dagli Anni Ottanta. L’impressione è quella di una pittura che riflette sulle stesse ragioni che l’hanno generata e intanto colpisce i sensi, già accesi dalla bellezza del parco.

LA MOSTRA DI MAURIZIO PIERFRANCESCHI A ROMA
I grandi lavori a olio e tempera all’uovo, omaggio alla tradizione, si specchiano nelle essenze del giardino, ricevendone e restituendone suggestioni. Dai dipinti emergono piante misteriose, canneti abitati da creature nascoste, squarci di cielo e campi arati, pozze d’acqua e anfratti. In questa natura fitta e magica, animali e sagome umane attendono a gesti solenni o rituali, ma nella loro essenza eterea sembrano parte stessa dell’epifania naturale. Altre figure giungono in punta di piedi dal repertorio fiabesco, mitologico, letterario e iconografico, confondendosi nel bosco sacro allestito dall’artista.
Da pittore colto, Pierfranceschi raccoglie i frutti una lunga ricerca come fosse giunto il tempo della mietitura e sintetizza la sua storia e le passioni figurative, molte delle quali riconoscibili. Da scultore qual è, plasma la forma pittorica, mentre con la ferma spartizione tra orizzonte e fughe rammenta che lo spazio va costruito, prima che riempito con la forza psichica dell’immaginazione.
– Francesca Bottari
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