Frasi, immagini e colore nella mostra di Cesare Viel a Milano

Un mare di frasi e parole accoglie il pubblico della Galleria Milano, che ospita la riflessione su spazio e linguaggio da parte di Cesare Viel

Condividere frasi in un campo allargato è il titolo dell’ultima installazione di Cesare Viel (Chivasso, 1964) alla Galleria Milano. La sua ricerca è volta a indagare i rapporti tra spazio e linguaggio, e qui sono affrontati una volta di più i paradossi dello sguardo nel suo relazionarsi con le parole e le cose. Se il riferimento immediato è individuabile nell’ipotesi di Rosalind Krauss di un “campo allargato” della scultura, il fantasma non evocato che vi aleggia è piuttosto quello di Jacques Derrida, con il suo interrogarsi sul campo e lo spazio delle parole, e la conseguente conclusione dell’irriducibilità del dato visivo al dato linguistico.

Cesare Viel

Cesare Viel

LA MOSTRA DI CESARE VIEL A MILANO

Come si organizza dunque, in questo caso, il proposito di Viel di dar vita a un “paesaggio di frasi”? Durante lo scorso anno egli aveva contattato un largo numero di conoscenti e sodali, invitandoli a comunicargli una frase che per loro fosse particolarmente pregnante e adatta a esprimere lo spirito del presente, e ricavandone così una collezione di una settantina tra motti, facezie, citazioni, massime, aforismi, proponimenti. Queste frasi sono state quindi trascritte a mano su grandi riquadri rettangolari di carta da pacchi disposti sul pavimento, i quali sono stati a loro volta fiancheggiati da una passerella di bancali lignei posta a ridosso della parete finestrata che collega i due locali della galleria: luogo di transito e postazione di avvistamento, questo pontile delimita rigorosamente la posizione dell’osservatore, obbligandolo a una lettura forzatamente prospettica. Le frasi restano comunque inserite in una griglia, rappresentata dalla disposizione a scacchiera dei fogli: se si può parlare, come recita il comunicato della mostra, di “un mare metaforico” di parole, questo dovrà pur sempre concepirsi come un mare a scomparti, tipo quello di Pino Pascali per intenderci, nel quale, dunque le parole mantengono una loro parvenza di impaginazione. Ma queste pagine, facendosi tappeto e aderendo al suolo, a mano a mano che aumenta la distanza dalla nostra postazione lungo la passerella, diventano progressivamente illeggibili, e le frasi in esse inscritte finiscono per ridursi a bave appena percepibili, residui insettiformi, ricami di licheni, geroglifici botanici: riassorbiti nel paesaggio, il loro significato si sottrae alla nostra comprensione.

Cesare Viel, Pietre nella mente, 2021, pennarello su carta da pacchi, 100x140 cm. Courtesy Cesare Viel e Galleria Milano

Cesare Viel, Pietre nella mente, 2021, pennarello su carta da pacchi, 100×140 cm. Courtesy Cesare Viel e Galleria Milano

PAROLE E IMMAGINI SECONDO CESARE VIEL

Per decrittare tale significato non resta che ricorrere al foglio esplicativo che riporta in bell’ordine tutte queste frasi riferendole ai loro legittimi autori e riconsacrandone la loro piena leggibilità: le parole ritrovano il loro ordine e la loro origine, si assestano in un piccolo zibaldone, in una mappa che assiste uno sguardo smarrito, forzatamente miope, ostaggio delle leggi dell’ottica e della prospettiva. Leggere e vedere restano irrimediabilmente due attività non perfettamente sovrapponibili.
Non abbiamo però ancora parlato di un’ulteriore immissione di senso, o di un’ulteriore complicazione del discorso. Sulle pareti poste all’altro capo della passerella che unisce i due locali sono appese delle carte incorniciate: tre in una stanza, che recano brevissime frasi di Viel stesso, quattro nell’altra, raffiguranti degli scogli o dei massi delineati a grafite e pastelli colorati. Lo sguardo rasoterra, sintonizzato su una lettura prospettica, viene così distolto e ricondotto a una dimensione verticale, frontale, espositiva, oppositiva. Le frasi, nel loro sigillo parietale, riacquistano piena saldezza epigrafica, e una focalizzazione privilegiata che contrasta con la dispersione delle parole sul pavimento; nel caso dei disegni assistiamo a un cambio ancor più drastico di registro, si passa da un regime segnico a uno iconico, si rientra trionfalmente nella sfera del visibile, dell’estetico, del cromatico: con la loro carica metaforica e il loro potenziale affettivo, essi ci riportano su un terreno più familiare e più confortevole da percorrere con lo sguardo, e ci rassicurano che ci troviamo, dopotutto, in una galleria d’arte.

Alberto Mugnaini

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Alberto Mugnaini

Alberto Mugnaini

Alberto Mugnaini, storico dell’arte e artista, si è laureato e ha conseguito il Dottorato di Ricerca all’Università di Pisa. Dal 1994 al 1999 ha vissuto a New York, dove è stato tra i fondatori del laboratorio di design “New York…

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