Grazia Toderi e Gilberto Zorio. La storia d’amore tra due artisti nella mostra G

A Vigone, in Piemonte, la congiuntura astrale e d’amore tra due importanti artisti è al centro della mostra curata da Andrea Viliani. Il racconto di Alessandra Mammì.

Di tanto in tanto Gilberto Zorio chiedeva a Grazia Toderi: “Perché non ci sposiamo un’altra volta?”. Lei rideva. Ma Zorio non scherzava. Si può sempre aggiungere qualcosa a un matrimonio che agli occhi di molti sembra un’unione riuscita: miracolo di “amour coniugal” tra due artisti potenti, complessi e diversi per generazione e materia ed entrambi avvolti nel loro lavoro.

Grazia Toderi e Gilberto Zorio

Grazia Toderi e Gilberto Zorio

GRAZIA TODERI E GILBERTO ZORIO

Anche se Grazia e Gilberto non avevano mai lavorato insieme, piuttosto vissuto e creato l’uno accanto all’altra nel medesimo edificio, ognuno nel suo mondo: lo studio di lui dominato da un caos controllato e fitto di strumenti, fosforo, ferro, estranianti colori e improvvisi equilibri che arrivano dalle più impreviste leggi della chimica e della fisica da cui nascono le sue stelle, le sue canoe, le sue “macchine irradianti” (come le chiamava Germano Celant); gli ordinati tavoli di lei che ospitano grandi schermi nella quiete mentale di un colore neutro che avvolge tutto, dalle pareti agli scaffali metallici con l’ordinata sequenza di archivi, libri, carte e saperi scientifici, teorici e umanistici che trovano forma nelle ipnotiche proiezioni caci di rubare magia all’universo. E nelle stanze che separano gli spazi di lavoro, i due artisti vivono il loro quotidiano con il continuo scambio di pensieri, idee, informazioni, i tanti amici, i nutrimenti per la mente, il buon cibo e un giardino pensile dove si coltivavano piante commestibili e pause meditative.

TODERI ZORIO: PUBBLICO E PRIVATO

La vita, dunque, che fonde il privato e il pubblico. Ma mai una mostra insieme. Bisognava sposarsi un’altra volta a celebrare le nozze mistiche in nome dell’arte. L’occasione nuziale arriva inaspettata a circa trenta chilometri a sud est di Torino: Vigone, borgo di cinquemila abitanti, tra coltivazione intensiva di mais e tante chiese. Una, ora sconsacrata, ci interessa in particolare edificata alla metà del XVII secolo dalla confraternita del SS. Nome di Gesù per invocare la fine della pestilenza. Ed è lì, espandendosi dalla navata all’abside, che per la prima volta Grazia e Gilberto si fronteggiano e insieme sconvolgono, trasformano, trasmutano lo spazio seicentesco nella perfetta compenetrazione di due lavori e nella costruzione di un evento che si manifesta come un miracolo laico e che non a caso si fonde nel titolo con cui battezzano questa pagina della loro vita: G.

“Come se le opere dell’uno richiedessero di essere completate dalle opere dell’altra, fino a farci intravedere che le G in questa loro mostra, in realtà, sono due, o più, sovrapposte l’una all’altra come in un’eclissi di sole, di luna o di altri pianeti”, scrive Andrea Viliani in qualità di curatore e testimone di queste nozze dove la forza costruttiva della Torre Stella di Zorio si presta a diventare schermo delle proiezioni di Toderi, mentre le proiezioni di Toderi si flettono a illuminare e a rendere incandescenti i blocchi bianchi di Zorio.

E in entrambi i casi a guidarli sono le stelle, che guidano anche noi nell’oscurità della chiesa dove le pupille faticano a riconoscere subito l’inizio e la fine delle opere, il braccio della Torre Stella che si allunga verso l’abside dove l’impalpabile materia catturata da Grazia in We Mark slitta sulla superficie della cupola.

E vien da chiedere: “Cos’è questo ovale rossastro in perenne movimento: una eco della luce stellare, un pulviscolo, l’ombra luminosa di una costellazione? E quella croce rossa che ne divide le parti è un tentativo di organizzazione matematica di un cosmo che sfugge ad ogni umana misurazione oppure un mirino o ancora un mistico simbolo?”. Risponde Viliani. “Qualsiasi cosa siano, le proiezioni di Grazia rendono cangiante e espanso, vibrante… incandescente il cuore della stella di Gilberto”.

IL RACCONTO DI ANDREA VILIANI

E stupisce come questa stella archetipa nella sua architettura assoluta e primitiva, nei suoi blocchi che s’incastrano l’uno con l’altro possa rispondere con tanta naturalezza alla visione impalpabile e fluttuante della video proiezione. Incanta questo dialogo profondo e spontaneo, con la stessa meraviglia che in ogni antica chiesa suscita l’unione dell’affresco e della pietra, della vibrazione del colore e della forza del marmo. Mentre l’unione tra i due artisti si rivela qui in una complicità e compensazione inimmaginabile prima, si riflette sulle ragioni profonde e teoriche di queste nozze che celebrano due storie lontane (o forse non così tanto). Ma il testimone- curatore conosce bene le ragioni e i cuori degli sposi e scrive di lui e di lei: “Figlio della generazione che rifiutò la finzione del modernismo per abbracciare la povertà radicale della vita e della storia, ricercatore delle energie vitali e intellettuali di materie e fenomeni, esploratore di un pianeta che si riscopre in transito fra le stelle, esponente e interprete delle linee di ricerca di quella che, nella seconda metà degli anni sessanta del XX secolo, fu definita Arte povera. Figlia della generazione che per la prima volta – grazie ai telescopi, ai satelliti in orbita, alle navicelle spaziali e allo schermo televisivo che ne trasmette le immagini – volgerà lo sguardo non più solo dal basso verso l’alto ma anche dall’alto verso il basso, osservando se stessi e il proprio pianeta dall’esterno di entrambi. E che grazie agli strumenti ottici più avanzati guarderà d’ora in poi verso il cielo per scoprire sconvolgenti fenomeni astronomici invisibili ad occhio umano intuendo così che le stelle si possono raggiungere e esplorare, e non solo sognarle dalla Terra”. Un matrimonio, ci dice ancora Andrea Viliani, tra la geosofia (sapienza della terra) e astrofilia (amore per le stelle nelle ellissi dell’architettura barocca. Perfetta celebrazione di un’unione creativa e mentale.

Ite missa est”. Si esce dalla chiesa ma fuori, sul sagrato, la festa continua. Le panchine in pietra di Zorio in forma di stella che di giorno accolgono passanti e fedeli, nella notte si accendono di fosforescenze grazie alla proiezione di Grazia che avvolge la facciata. Un lento vortice che illumina d’immenso questa stradina di Vigone con la gentilezza e il mistero che ogni volta lei riesce a regalarci. Ma questa volta ancor di più grazie alla pietra, alla stella e alla vulcanica forza di lui.

Alessandra Mammì

“G”, Fino al 16 gennaio
sabato 15.00-19.00; domenica 11.00-13.00 / 15.00-19.00; e su appuntamento.
Vigone (Torino)

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