L’arte di Jeff Koons risplende a Firenze tra mainstream e inquietudine

Shine, la lucentezza che accomuna le più celebri opere di Jeff Koons, è il filo conduttore per rileggere, sotto una nuova luce, oltre quarant’anni della sua produzione nella cornice di Palazzo Strozzi a Firenze.

Sculture, installazioni e dipinti che catturano subito lo sguardo per poi rimbalzarci negli occhi e farci riflettere sul concetto stesso di arte: seducente inganno dei sensi o il più autentico punto di vista sulla realtà? Tra lucentezza e bagliore, essere e apparire, una visione democratica che illumina senz’ombra di imbarazzo le inesauribili potenzialità espressive dell’estetica pop.

Jeff Koons, Tulips, 1995-98, dalla serie Celebration, olio su tela, cm 282,9 x 332,7. Collezione privata © Jeff Koons. Photo Tom Powel Imaging

Jeff Koons, Tulips, 1995-98, dalla serie Celebration, olio su tela, cm 282,9 x 332,7. Collezione privata © Jeff Koons. Photo Tom Powel Imaging

LA POETICA DI KOONS

La prima a brillare è Baloon Monckey (Blue), scimmia-sfinge installata nel cortile di Palazzo Strozzi come un siderurgico cavallo di Troia che apre all’occupazione del piano nobile del palazzo rinascimentale da parte di un esercito di creature forti, il più delle volte, dalla stessa inscalfibile armatura in acciaio inossidabile lucidato a specchio. È il materiale delle batterie di pentole da cucina e dell’industria pesante a far risplendere le più quotate e discusse sculture di Jeff Koons (York, Pennsylvania, 1955), fusione di immaginario mainstream e citazionismo raffinato, appagamento estetico immediato e virtuosismo tecnico della realizzazione. Alla bottega di Benvenuto Cellini si è sostituita una factory iperspecializzata – con succursale in fonderia – capace di plasmare con lega pressoché eterna le forme di consumo più effimero e dissimularne l’apparente inconsistenza con un’aura di preziosità.

Jeff Koons, "Seated Ballerina", 2010 2015, Gagosian

Jeff Koons, “Seated Ballerina”, 2010 2015, Gagosian

DA DUCHAMP A KOONS

In molti casi, la partenza è decontestualizzare – Duchamp insegna – e riprodurre in grande scala oggetti tirati fuori dal nostro carrello degli acquisti in piena sindrome di Peter Pan o dall’armamentario domestico più cheap e kitsch messo a fuoco in una fotografia di Martin Parr. Perché reprimere l’immediata familiarità e la risonanza emotiva di fronte a Bluebird Planter e Seated Ballerina, celebrazioni in forma di iridescente monumento metallico dei soprammobili a buon mercato che ammiravamo a casa di nonna? La contaminazione di “alto” e “basso” è una costante della poetica di Koons che libera da ogni senso di colpa lo spettatore, irrimediabilmente attratto dai codici suadenti dell’advertising che anima la società dei consumi. Dopo l’immediato effetto euforizzante dei colori accesi, dell’effetto patinato e della trascendente lucidità, emergono significati rimasti opachi, connotazioni cangianti, memorie appannate. Ciò che in un lampo ci aveva attratto assume i contorni di una forma complessa, ciò che sembrava innocuo può rivelarsi intossicante e disturbante. E la riflessione interiore non si fa affatto banale.

Jeff Koons, Lobster, 2007-12, dalla serie Lobster, acciaio inossidabile, cm 147 x 94 x 47,9, prova d’artista (ed. di 3+1 PA). Collezione dell’artista © Jeff Koons. Photo Marc Domage. Courtesy Almine Rech Gallery

Jeff Koons, Lobster, 2007-12, dalla serie Lobster, acciaio inossidabile, cm 147 x 94 x 47,9, prova d’artista (ed. di 3+1 PA). Collezione dell’artista © Jeff Koons. Photo Marc Domage. Courtesy Almine Rech Gallery

OLTRE IL POP

Nel forgiare le sculture di gonfiabili da piscina, creazioni zoomorfe di palloncini annodati, statuaria topiaria o supereroi, Koons galvanizza sulla loro superfice un’inedita proprietà di riflessione: un caleidoscopio che frammenta l’apparente innocenza del pop nella simultanea rifrazione di richiami sessuali, archetipici e culturali, fino a far scorgere surrealisti baffi alla Dalí in un’aragosta (Lobster) o paniche erezioni falliche nei turgidi balloon (Elephant, Rabbit, Balloon Dog-Red) o la religiosità di un ex voto dietro al packaging magenta di un cuore da scartare come caramella (Sacred Heart). Scintille di un cortocircuito che scatta riconnettendo, senza alcuna precauzione gerarchica, ordinari elementi iconici contemporanei con i fondamentali della storia dell’arte. Accade nella serie Antiquity, dove un’ancestrale Dea Madre diventa iperbolica astrazione di seni e natiche (le totemiche Ballon Venus) e una Venere Callipigia cromata di turchese (Metallic Venus) abbandona l’antico pudore per sfilarsi il peplo.

KOONS E LO SPETTATORE

Nelle opere delle serie Gazing Ball Paintings e Gazing Ball Sculptures, cui è dedicata un’intera sala della mostra, le sfere decorative che campeggiano nei giardini della buona borghesia americana diventano dispositivo di osservazione e specchio metafisico della realtà. Artefatti in vetro soffiato blu che restituiscono un’istantanea convessa della relazione tra spettatore, copie-simulacro di capolavori senza tempo e la vita intorno: perché, come avverte Koons, “non si tratta di creare un oggetto o un’immagine; tutto avviene nella relazione con lo spettatore. È qui che avviene l’arte”.

Maurizio Rossi

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Maurizio Rossi

Maurizio Rossi

Consulente di comunicazione per istituzioni e imprese, autore di narrazioni crossmediali e docufilm. Ha diretto la rivista Nota Bene. I linguaggi della comunicazione (Fausto Lupetti Editore) e curato le tre edizioni del Convegno internazionale di studio La città senza nome…

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