Fotografia Europea 2021: a Reggio Emilia va in scena un panorama promettente

Dai grandi nomi agli emergenti, la città emiliana si distingue ancora una volta per la sua attenzione al medium fotografico, che qui si fonde con arte e attivismo

Chiostri, strade, palazzi e passaggi: Reggio Emilia vive di fotografia, ma anche arte, analisi e dialogo. Tornare a interagire con l’arte oltre gli schermi è una grande gioia, e la città non la nasconde. Per la sedicesima edizione del festival della Fotografia Europea, la principale kermesse italiana dedicata alla fotografia contemporanea, Fondazione Palazzo Magnani e il comune di Reggio Emilia hanno fatto le cose in grande: venti progetti espositivi in sette sedi storiche e altrettante piazze, invase per oltre un mese (dal 21 maggio al 4 luglio) per aprire una finestra di dialogo sul ruolo delle immagini, più che mai fonte di interazione con il mondo e modellatrici di senso. Dopo un anno di stop forzato, il festival riprende da dove aveva lasciato con un verso di Gianni Rodari: “Sulla Luna e sulla Terra, fate largo ai sognatori!”, una dedica alla fantasia, generatrice di visioni e – soprattutto dopo l’ultimo anno – rigeneratrice di sogni.

FOTOGRAFIA EUROPEA A REGGIO EMILIA. UN NUOVO IMMAGINARIO

Proprio per festeggiare questi sogni Palazzo Magnani ha dedicato il suo spazio alla staged photography, che non meno della fotografia documentaria e “veritiera” (per quanto questo parametro debba sempre essere riportato alla lente soggettiva dell’autore o autrice delle foto) merita finalmente uno spazio dignitoso all’interno del medium: l’antologica True Fictions, curata da Walter Guadagnini – direttore artistico del festival insieme a Diane Dufour (già direttrice di Magnum Photos) e Tim Clarke – dedica per la prima volta in Italia un ampio spazio al tema della fotografia visionaria, immaginifica e dalle velleità spiccatamente artistiche, con opere, tra gli altri, di Teun Hocks, Joan Fontcuberta & Pere Formiguera, Cindy Sherman, Thomas Demand, Sandy Skoglund e David Lachapelle.

FOTOGRAFIA EUROPEA 2021. DOCUMENTO E INTERPRETAZIONE

Ai chiostri di San Pietro l’esposizione continua, con spazi dedicati a fotografia, arte, editoria indipendente: i progetti sono moltissimi, tutti dimostrano la tendenza a occuparsi del cambiamento. Il compito della fotografia, appare chiaro, non è però solo quello di registrare ma anche di dare voce a diverse comunità e alle loro istanze – letteralmente, come nel caso de L’isola di Vittorio Mortarotti e Anush Hamzehia, che tenta di tenere in vita il suono e l’identità della lingua dunan, o metaforicamente, come nello studio antropologico-cronachistico Index G di Piergiorgio Casotti ed Emanuele Brutti, che studia le modalità di segregazione della nuova America attraverso l’esempio di St. Louis. Poi ci sono i parallelismi geometrici di Aura di David Jimenez, espressionisti e quasi magici, le polaroid di Yasmina Benabderrahmane, che in La Bête: a modern tale registrano con timore la perdita delle tradizioni nel suo Marocco, e le ricostruzioni fisico-teoriche delle fotografie “ricomposte” di Noemi Goudal con Telluris – la cui esposizione riflette, attraverso un sistema a incastonatura nel legno, una moltiplicazione geometrica quasi ipnotica. Espressione da grande fotogiornalista quella di Donovan Wylie, che dalla sua Irlanda del Nord all’Artico, passando per l’Afghanistan, studia dall’alto l’architettura bellica di controllo al confine con le sue Tower Series – mentre la ricchissima opera di Lobohang Kganye Tell Tale / In search for memory studia la compenetrazione tra linguaggi fotografici, letterari e teatrali ricreando con cartonati neri su fondo bianco in due e tre dimensioni l’anima conflittuale del suo Sud Africa, tra paura per un futuro distopico e disincanto per un presente diseguale. Forti anche le immagini di Raymond Meeks, Halfstory Halflife, sulla ritualità di passaggio adolescenziale. A chiudere l’esperienza dei chiostri, l’arte visuale e la scultura di Sophie Whettnall, che con le sue opere site specific ricrea la magia della luce in trasparenza, la meraviglia del colore con i suoi iceberg rosa, la matericità delle onde e delle montagne con carta e metallo traforato.

FOTOGRAFIA EUROPEA. OPERA APERTA

Non sono mancati nemmeno i grandissimi nomi: tra questi non si può annoverare quello di Alex Majoli, fotografo storico della Magnum e autore di celebri fotografie che da Lesbo alle favelas brasiliane hanno raccontato il mondo moderno e le sue drammaticità – un concetto che spesso ha a che fare con il suo senso inglese di drama, opera teatrale: spesso chiamato Caravaggio moderno, ha portato al festival la sua visione sulla pandemia, creando dei collage tra attori teatrali e fotografie degli ospedali ricolmi di malati di coronavirus. La sua Opera aperta ha fissato quella drammatica quotidianità (già portata dallo stesso Majoli sulle pagine di Vanity Fair con quel terribile e necessario servizio sulla città di Bergamo in piena crisi da Covid) per le strade di Reggio Emilia e all’esterno del Teatro Valli. 

Giulia Giaume

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Giulia Giaume

Giulia Giaume

Amante della cultura in ogni sua forma, è divoratrice di libri, spettacoli, mostre e balletti. Laureata in Lettere Moderne, con una tesi sul Furioso, e in Scienze Storiche, indirizzo di Storia Contemporanea, ha frequentato l'VIII edizione del master di giornalismo…

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