La rivincita del disegno

Durante il primo lockdown il disegno ha rappresentato un mezzo di espressione per moltissimi artisti. E allora perché non valorizzarlo come merita?

Tra le tante iniziative fiorite nel settore artistico contemporaneo durante il lockdown, al di là che fossero più o meno benefiche e, si potrebbe aggiungere, più o meno di qualità, molte erano basate sul disegno. Il motivo forse è semplice: chiusi in casa, con pochi strumenti, l’unica soluzione era quella di tornare a carta e matita. E così, in un largo ventaglio, abbiamo potuto vedere chi è ritornato al diario (tra le tante proposte, anche quelle di Ugo La Pietra e Corrado Levi, stampate poi da Corraini), chi ha preferito affidarsi al foglio sparso senza seguire l’ordine del calendario (qui gli esempi sarebbero troppi, meglio farsi un giro sui profili Instagram), chi, ancora, lo ha fatto (solo) perché chiamato a rispondere a un invito (tra le varie opzioni, forse The Colouring Book di Milano Art Guide è quella che ha avuto più successo mediatico). Ciò che andrebbe posto sotto la lente, superati i criteri di merito e persino quelli di gusto, è che in una situazione critica, letteralmente di crisi, si è riaffacciato con prepotenza il “segno sulla carta”. Ma questo, di preciso, cosa può significare?

Non solo il disegno non è s(otto)valutabile, e questo era chiaro, ma al contrario andrebbero costituiti percorsi di analisi e approfondimento di questa straordinaria modalità di ‘interrogare il visibile’”.

Vuol dire dunque che la tecnica del disegno, in particolare quello di piccola scala e realizzato a mano libera, come si sarebbe detto una volta, assumerà una posizione centrale nella lettura delle pratiche artistiche? O che lo sviluppo di questa recentissima tendenza si esprimerà in un rinnovato interesse di artisti, pubblico e, perché no?, mercato, verso forme più oneste, sincere e dirette della ricerca estetica? Oppure che, finalmente, direbbe qualcuno, arriverà il momento di riconsiderare vincoli e separazioni che volevano il disegno come gregario dell’opera, in secondo piano nella produzione e nell’esposizione, sempre un passo indietro?
Non è questa la sede per rispondere a tali quesiti, ma di certo porli impone qualche seria considerazione. Se come sosteneva John Berger, “un disegno lo si può spingere solo fino al suo grado estremo”, ogni prova, tentativo, esperimento, progetto, scarabocchio così definito è in grado di contenere vere e proprie dichiarazioni di poetica. Cioè, non solo il disegno non è s(otto)valutabile, e questo era chiaro, ma al contrario andrebbero costituiti percorsi di analisi e approfondimento di questa straordinaria modalità di “interrogare il visibile” che giungano alla più stretta contemporaneità.

DIFFONDERE LE POTENZIALITÀ DEL DISEGNO

Del resto, forse dovrebbero essere gli artisti in primis a farsene carico, cercando per queste delicate “anime instabili” canali di diffusione capaci di trasmetterne le potenzialità espressive e concettuali. In fondo l’augurio è quello di ritrovarsi in questa affermazione di Lucio Del Pezzo: “Trovo che l’esiguità dei mezzi e la semplicità dei risultati debbano necessariamente privilegiare la carica dei contenuti e le intenzioni dell’artista”.

Claudio Musso

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #57

Abbonati ad Artribune Magazine
Acquista la tua inserzione sul prossimo Artribune

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Claudio Musso

Claudio Musso

Critico d'arte e curatore indipendente, la sua attività di ricerca pone particolare attenzione al rapporto tra arte visiva, linguaggio e comunicazione, all'arte urbana e alle nuove tecnologie nel panorama artistico. Ha conseguito il dottorato di ricerca in Archeologia e Storia…

Scopri di più