Chi ha paura del buio? La mostra di Musja a Roma

Musja, Roma – fino al 1° marzo 2020. Buio e paura sono i temi che innervano la mostra ospite di Musja. Una collettiva di artisti invitati a riflettere su dinamiche profondamente umane.

Al Musja di Roma, Danilo Eccher porta avanti la linea di mostre tematiche definita negli anni passati e cura The Dark Side ‒ Chi ha paura del Buio? Who is Afraid of the Dark?, presentando un gruppo di artisti, alcuni scelti dalla collezione Jacorossi (che ha sede nel Musja) più molti lavori “site specific”, pensati per gli spazi della Fondazione. Il progetto comprende altre due mostre nel futuro, intitolate Paura della solitudine e Paura del tempo. Il percorso elenca diversi artisti, diverse tendenze e diversi modi di rappresentare il “lato oscuro”. Cosa non facile in un momento in cui gli artisti affrontano ogni tematica con un approccio più analitico che emozionale. La paura e il buio sono comunque elementi che emergono nel mare di segni dell’arte oggi e, mentre nulla ricorda la frenesia di mistero e paura del periodo romantico o del periodo surrealista, un mondo contemporaneo minacciato da 400 fronti di guerra e dalla minaccia incombente del disastro climatico non può non suggerire anche i temi delle paure.

LA MOSTRA DI MUSJA

La mostra inizia con Gregor Schneider, End of the Museum, una sala di museo distrutta da un incendio (come nelle profezie futuriste?) e nella sala annerita dal fuoco sono appesi quadri irriconoscibili, resti distrutti del museo, immagini perse nell’iconografia sterminata dell’arte contemporanea e nel suo rapido consumo. Paura dei mostri dell’infanzia nei lavori di Monster Chetwynd e nei suoi giganteschi pipistrelli, paura della razza (e della sua persecuzione) nella croce in fiamme del Ku Klux Klan di Robert Longo in una serie in cui elabora la storia dell’America, con i suoi sempre efficaci foto-disegni. Christian Boltanski, artista che ha legato il suo lavoro da molti anni alla ricerca delle forme della memoria e della scomparsa, lavora sull’idea del passaggio e della precarietà esistenziale. Proiettati su veli di garza, innumerevoli libellule-falene volano impazzite, e il volo, così incontrollabile e vitale, è già prossimo alla scomparsa. Con Hermann Nitsch la paura è quella rappresentata dalla morte nelle religioni occidentali: buio, inferno, assenza. Nitsch attacca l’immagine religiosa dell’occidente con un’operazione di totale rovesciamento: la Messa della conciliazione con Dio diventa una Messa Nera, dove il sangue non è più il vino, metafora del sangue di Cristo, bensì il sangue sacrificale del rapporto con le forze oscure della realtà. Come nelle antiche religioni, appaiono animali scannati, panni sacri insanguinati, immagini forti tipiche dell’atmosfera violenta delle performance del gruppo Azionismo viennese degli Anni Sessanta, azioni che spostano il punto dalla paura alla rivolta alla paura. L’Aktionismus combatte l’idea classica della religione e la ripropone come una cerimonia primitiva di contatto con la natura, come rapporto col sangue e la terra. Nel radicalismo Fluxus esasperato di Hermann Nitsch, di Günter Brus e degli altri sembra riemergere il fantasma di un dato storico: nel Seicento, durante la Guerra dei Trent’anni, il popolo, esasperato dalle inesauribili sofferenze, si dedica al culto del diavolo.

Gregor Schneider, End of the Museum, 2019. Courtesy the artist

Gregor Schneider, End of the Museum, 2019. Courtesy the artist

GLI ARTISTI

Monica Bonvicini intreccia delle cinture di cuoio nero dalle pesanti fibbie (Belts Ball) come in un incubo sado-masochista e suggerisce ambiguamente: il buio è la volontà di morte, la possessione, il dominio o altro ancora? L’americano Tony Oursler entra in questo contesto con i suoi “puppets” dialoganti, le sue affabulazioni misteriose, le sue conversazioni-confessioni che hanno la tensione di una seduta psicanalitica. I primi piani di volti di personaggi maschili e femminili proiettati su superfici bianche e convesse si deformano con l’intervento di effetti speciali oppure con lacrime di plastica o sbocchi di sangue che aumentano la drammaticità di questi disperati a-solo che diventano cori sussurrati, dialoghi senza speranza con l’alterità che sono gli Altri. Anche i lavori di Gianni Dessì e di Gino De Dominicis si collocano, con delle differenze, nel dramma grottesco di Oursler, con le loro figure di “omuncoli”, caricature di esseri umani che soffrono e hanno paura. La figura archetipa di Pinocchio, la grande fiaba filosofica italiana, riemerge caricando i lavori di simboli e significati. Ma nella giapponese Chiharu Shiota l’aspetto più oscuro e drammatico ridiventa prevalente: ragnatele di filo nero coprono lo spazio e ne cambiano il senso, confermando il rapporto fra buio e tempo e fra tempo e perdita. “Dormire è come la morte”, titola il suo lavoro la Shiota, intrecciando pazientemente fili neri su dei lettini da vecchio ospedale, bianchi e ordinati ma già destinati a sprofondare nel tempo e nel dolore. Giorgio Agamben nel saggio Che cos’è il contemporaneo? invita, in un cielo stellato, a guardare e capire il buio e non le luci che viaggiano con lentezza. Il contemporaneo è nel buio di cui dobbiamo interpretare il senso.

Lorenzo Taiuti

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Lorenzo Taiuti

Lorenzo Taiuti

Lorenzo Taiuti ha insegnato corsi su Mass media e Arte e Media presso Academie e Università (Accademia di Belle Arti di Torino e Milano, e Facoltà di Architettura Roma). È esperto delle problematiche estetiche dei nuovi media. È autore di…

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