Collezionista e imprenditore culturale. La storia di Marcello Rumma
Il Museo Madre di Napoli rende omaggio a Marcello Rumma, caposaldo dell’arte italiana contemporanea. Grazie a una lungimiranza che ha fatto epoca.
Chi era Marcello Rumma (Salerno, 1942-1970), il giovane imprenditore culturale che nella Salerno della fine degli Anni Sessanta commissionava mostre a giovani critici come Renato Barilli, Filiberto Menna, Alberto Boatto e Germano Celant, pubblicava libri di Marcel Duchamp e Michelangelo Pistoletto e aveva una collezione, condivisa con la moglie Lia, che riuniva opere di Dan Flavin, Lucio Fontana, Pino Pascali e Robert Rauschenberg? Una figura leggendaria ma ancora poco conosciuta, che viene analizzata per la prima volta grazie alla mostra I sei anni di Marcello Rumma 1965-1970, curata da Gabriele Guercio e Andrea Viliani al Madre di Napoli.
Allestita come un racconto, che alterna zone d’ombra a momenti di luce grazie a un allestimento firmato da Carla Giusti e Laura Garcìa Rubio, che suggerisce un’atmosfera domestica e meditativa, la rassegna è frutto di anni di ricerche, condotte da Renata Caragliano, Francesca Gallo e Alessandra Troncone, ed è stata resa possibile dalla collaborazione con l’archivio Lia Incutti Rumma. “Il percorso” ‒ spiegano i curatori ‒ “si struttura intorno a due filoni paralleli, che si intrecciano in una scrittura espositiva che attraversa 11 sezioni: l’attività pubblica di Marcello Rumma e una prima ricostruzione della collezione. L’idea è aver tracciato un primo ritratto di Rumma, che dovrà essere ulteriormente definito nei prossimi anni”.
LA STORIA DI MARCELLO RUMMA
Figlio dei proprietari del Collegio Arturo Colautti di Salerno, Marcello affianca fin da giovanissimo il padre nella definizione dei programmi didattici, basati sulla stretta collaborazione tra professori e studenti. In quel contesto fonda due riviste, alla quale collaborano intellettuali come Aldo Masullo ed Edoardo Sanguineti, e comincia la collezione, condivisa fin dall’inizio con la giovanissima moglie Lia, ospitata nell’appartamento di Parco Persichetti. Il quartier generale dell’attività espositiva sono invece gli Arsenali di Amalfi, un magnifico edificio medievale che ospita nel 1966 la mostra Aspetti del” ritorno alle cose stesse”, curata da Renato Barilli, che analizzava il rapporto tra le immagini e i loro referenti concreti, documentata al Madre da opere di Giosetta Fioroni, Titina Maselli e Tano Festa. Il secondo capitolo della Rassegna d’Arte Internazionale di Amalfi è affidato ad Alberto Boatto e Filiberto Menna, che curano L’impatto percettivo: un’indagine sulla percezione attraverso le opere di alcuni artisti Op e Pop, presentati in Italia per la prima volta insieme, come Robert Indiana, Ellsworth Kelly e Frank Stella, accanto ad artisti europei come Victor Vasarely, Pietro Dorazio ed Enrico Castellani, autore della grande tela che fa da sfondo al convegno Lo spazio dell’arte d’oggi, curato da Renato Barilli secondo le idee di Rumma, che affiancava alle attività espositive momenti di riflessione teorica. La terza mostra, aperta all’inizio di ottobre del 1968, è Arte Povera più Azioni Povere, curata da Germano Celant: una sorta di laboratorio aperto con le opere del gruppo poverista quasi al completo (manca Calzolari) insieme alle azioni di undici artisti, tra i quali Paolo Icaro, Pietro Lista, Gino Marotta, Riccardo Camoni e Carmine Ableo, artista locale che aiuta gli ospiti (tra i quali i tre stranieri Richard Long, Jan Dibbets e Ger van Elk) a reperire materiali per i loro lavori. Alla mostra e alla sua preparazione sono dedicate sette sale del museo, tra le più emozionanti e ricche di materiali in buona parte inediti, come la corrispondenza di Celant con gli artisti e con Rumma, insieme a una serie di fotografie che documentano il rapporto tra gli artisti e il pubblico che assisteva in diretta alla realizzazione delle opere, con i bambini che si nascondono tra le zampe pelose della Vedova Blu di Pascali e la gente che partecipa entusiasta alla performance dello Zoo di Pistoletto per le strade di Amalfi.
DALL’ARTE ALL’EDITORIA
Nello stesso anno Marcello affida ad Angelo Trimarco la cura di Ricognizione Cinque, un ciclo di mostre personali di Agostino Bonalumi, Marcolino Gandini, Aldo Mondino, Gianni Ruffi e Gilberto Zorio in due sedi alternative: la libreria Einaudi 691 e il negozio New Design a Salerno, documentate in tre sale del Madre. Come se non bastasse, fonda la casa editrice Rumma Editore, che pubblica nell’arco di tre anni testi fondamentali inediti in Italia come Chiave della Poesia (1968) di Jean Paulhan, Marchand du Sel di Marcel Duchamp (1969) e L’Uomo nero, il lato insopportabile (1970) di Michelangelo Pistoletto. Occupato dalla casa editrice, lascia a sua moglie Lia il compito di portare avanti la collezione. “Eravamo molto giovani ma già interessati all’arte più innovativa, impegnati in un continuo dialogo con gli artisti e i critici della nostra generazione”, racconta Lia Rumma. Concepita dai curatori come un” teatro della memoria” che si costruisce sala per sala in un dialogo puntuale tra documenti e opere d’arte, la mostra restituisce l’immagine di Marcello Rumma come un giovane visionario, interessato alle pratiche di coinvolgimento diretto del pubblico nelle attività culturali, con un atteggiamento del tutto pionieristico per l’epoca.
“Sono contenta che questa mostra riporti l’attenzione su Marcello nella maniera più corretta possibile, in modo da valorizzare la sua personalità poliedrica di imprenditore culturale”, conclude Lia, degna custode di una narrazione in buona parte ancora da scrivere.
‒ Ludovico Pratesi
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