Forma vs. funzione. Un esplosivo Richard Artschwager a Rovereto

Con una mostra corposa e completa, in stretto rapporto con lo spazio, il MART di Rovereto omaggia l'artista americano che sovverte le categorie prestabilite. Tra mobile e scultura, Pop e Minimalismo, un'opera ironica, intellettuale e sensoriale.

Percorrere la corposa monografica che il MART dedica a Richard Artschwager (Washington, 1923 ‒ Albany, 2013) significa sorprendersi a ogni passo: accettare di rivedere le proprie categorie acquisite, lasciarsi andare all’incontro con l’opera senza cercare di afferrarla del tutto o definirla. Quelle dell’artista americano sono opere-oggetto inclassificabili. Saltano in aria e perdono di senso le dicotomie; si sfocia in un terreno dai confini sfrangiati, denso di slancio intellettuale ma anche di stimoli tattili, corporei, corporali.
La forza del lavoro di Artschwager nasce da un gesto originario: la decisione di confondere forma e funzione, oggetto d’uso e opera d’arte, Pop e Minimalismo (le due scelte obbligate negli Anni Sessanta). E la decisione di utilizzare materiali industriali, la formica su tutti.

PICCOLE INCONGRUENZE

I “mobili” sono le opere simbolo: sculture che evocano la forma (e la funzione) di sedie, scrivanie, pianoforti, persino di arredi sacri come confessionali e crocifissi. Il manufatto è presentato nella sua concretezza allo spettatore, ma si sottrae alla cognizione e all’individuazione a causa di diverse incongruenze (i tasti del pianoforte “disegnati” dall’intarsio e non effettivi, per esempio). L’oggetto d’uso risulta amputato eppure perfezionato, monco e potenziato. Delle cose rimane solo l’idea, che però ha forma tattile e paradossalmente monumentale.
Altro processo di ibridazione innescato da Artschwager è quello tra pittura e scultura: i dipinti sono concrezioni paradossalmente impressioniste di figura e materia, di eleganza e trivialità. Materiali di provenienza industriale come il celotex danno il tono tanto quanto l’immagine, proponendo una versione “deviata”, junkie, della società di massa.

Richard Artschwager, Two Point Perspective, 1994. Heinz und Marianne Ebers Stiftung, Kunstmuseen Krefeld. Kunstmuseen Krefeld Dirk Rose © ARTOTHEK

Richard Artschwager, Two Point Perspective, 1994. Heinz und Marianne Ebers Stiftung, Kunstmuseen Krefeld. Kunstmuseen Krefeld Dirk Rose © ARTOTHEK

UN MONDO ANARCHICO

Allestita senza ordine cronologico e sfruttando appieno lo spazio, innescando “incontri” tra gruppi di opere e spettatore, la mostra si struttura come una sessione di free jazz. A un inizio fitto ma più sommesso e ordinato, che presenta una gamma completa dei diversi filoni dell’artista, segue una seconda parte felicemente cacofonica. Qui, l’esposizione esplode in una serie di porte/portali, casse per il trasporto/bare, dipinti falsamente di genere, il già citato pianoforte, i dipinti/zerbino…
I monumentali segni di punteggiatura fatti in setole di plastica (le opere più note dell’artista) costituiscono poi un segno di interpunzione anche per lo svolgersi della mostra: arrivano a metà percorso e sono un momento di apertura e respiro che coordina i due tempi.
Sabotare il processo univoco di nominazione delle cose è in fondo il malizioso, ironico, colto progetto di Artschwager. Per dar vita a un mondo anarchico, dalle identità rivedibili, fatto di una bizzarra comunanza tra uomo, natura e manufatto.

Stefano Castelli

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Stefano Castelli

Stefano Castelli

Stefano Castelli (nato a Milano nel 1979, dove vive e lavora) è critico d'arte, curatore indipendente e giornalista. Laureato in Scienze politiche con una tesi su Andy Warhol, adotta nei confronti dell'arte un approccio antiformalista che coniuga estetica ed etica.…

Scopri di più