Ai Weiwei vs Skandinavisk Motor. Report e disegni dal processo in Danimarca

La storia del processo intentato da Ai Weiwei contro la Skandinavisk Motor Co. A/S, accusata di avere utilizzato senza permesso una sua installazione pubblica per un campagna della Volkswagen. Qui il racconto di come è andata, insieme ai disegni di Gianluca Costantini, invitato da Ai Weiwei a documentare il processo.

Quando arriva l’avvocata di Ai Weiwei (Pechino, 1957), la prima cosa che fa è scusarsi per il tempo: “Abbiamo solo due settimane di estate in questo Paese. Di solito non durante le nostre ferie …”. È normale che voglia allentare la tensione. L’artista si è svegliato alle 2 di notte per rivedere la sua testimonianza durante il processo contro la Skandinavisk Motor Co. A/S, che rappresenta, tra le altre, la casa automobilistica Volkswagen. E anche molti del suo staff non sembrano aver dormito molto. Sul taxi, mentre ci muoviamo verso il tribunale, compare infatti un libro stampato con tutti i materiali del caso: miracoli dell’organizzazione di Ai Weiwei studio, un gruppo di persone che lavora con l’artista. Nella pubblicazione appaiono uno statement dell’accusatore, la storia della casa automobilistica, foto e materiali vari relativi alle vicende che hanno portato a questa vicenda giudiziaria a partire dal 2017, quando la Kunsthal Charlottenborg ospitò l’installazione Soleil Levant: 3500 giubbotti di salvataggio installati come in un enorme mosaico contemporaneo nelle grandi finestre del museo danese, con un effetto cromatico di un intenso arancione.

I FATTI

La mostra era rimasta aperta da giugno a ottobre, riscuotendo un’attenzione che il direttore del museo Michael Thouber ipotizza sia arrivata a una copertura stampa di circa 280 milioni di persone nel mondo, cosa che rende molto improbabile che la Volkswagen non sapesse che la facciata del museo era un’opera d’arte nel momento in cui decisero di fotografare per ragioni pubblicitarie una Polo “casualmente” arancione con lo sfondo dell’installazione…
Siamo qui per registrare visivamente questo processo, che si tiene in una zona alla periferia della capitale danese, dove la società accusata di violazione dei diritti d’autore ha la propria sede. Qui non compaiono i visi dei candidati delle europee appesi agli alberi ovunque, come nel centro della città. Siamo in quelle zone che ospitano alcuni servizi, come ad esempio gli edifici di questo enorme tribunale, ma che non hanno chiara la propria vocazione urbanistica.
Entriamo in un tribunale che, se non fosse per i controlli all’ingresso, sembrerebbe un hotel. Riflettiamo un attimo. In effetti, come artista che collabora con i musei più importanti di tutti i Paesi europei, ma in generale di tutti i continenti, fare un torto alla settima azienda del mondo che compare come main sponsor in molte iniziative sportive e culturali non è una cosa banale. Sono scelte che per molti artisti sarebbero proibitive o comunque li metterebbero in una posizione scomoda, elementi, oggi, spesso connessi. E tutto questo per una foto su una rivista promozionale? “Certo” ‒ dice quando glielo chiediamo ‒ “è una questione di credibilità. Di relazione di fiducia. Lo devo alle migliaia di migranti che in questi anni ho intervistato e incontrato. Non devono pensare che questo diventi materiale per vendere un’automobile”.

Ai Weiwei contro la Skandinavisk Motor Co. A/S. Ai Weiwei. Disegno di Gianluca Costantini

Ai Weiwei contro la Skandinavisk Motor Co. A/S. Ai Weiwei. Disegno di Gianluca Costantini

IL PROCESSO

Siamo un gruppo nutrito di persone a seguire il processo, non solo gli assistenti dello studio, ma anche un traduttore di danese cinese amico dell’artista, una giornalista freelance danese, altri amici dell’artista. La corte è composta da due donne magistrato e un uomo, e sia l’accusa che la difesa sono condotte da avvocate. Non possiamo non notarlo. Qui ovviamente è qualcosa di normale.
All’accusa di Ai Weiwei viene dedicata un’ora. Certo, non è facile ascoltare con la traduzione in cinese, che funziona così così. Cosa che era stata immaginata, tant’è che era stata richiesta la traduzione in inglese, lingua parlata da Ai perfettamente. Ma sembra sia stato impossibile. Così abbiamo una LAN fatta in casa in cui riceviamo sintesi in inglese da una pessima traduzione in cinese, Insomma le sfumature si perdono.
Anche il fatto che il tribunale non sia monocratico, in un caso come questo, fa capire come l’apparente rilassamento e tranquillità della Skandinavian Motor, rappresentata dal suo amministratore delegato in aula, sia solo apparente. I media hanno dato ampio risalto alla notizia a livello nazionale e proprio nel giorno in cui scriviamo The Guardian ha ospitato un articolo dell’artista che spiega le sue ragioni. L’arroganza e la superficialità con cui è stata trattata in fase di negoziazione la sua richiesta mostrano, a suo dire, la protervia che queste società nascondono dietro le loro luminose pubblicità e i loro atti di “carità”. Il messaggio è arrivato, e forse la cosa è stata presa sul serio nel rush finale.
Colpisce che proprio quest’ultimo aspetto viene ripreso subito dall’AD durante la sua difesa: “Siamo una piccola compagnia danese, rappresentiamo 50 marchi tra cui la Volkswagen. Facciamo beneficenza, lo abbiamo fatto anche a favore dei rifugiati, anche dell’Africa e dei bimbi con il cancro”. Bravi, viene da dire. Ma qui il tema è un altro. Lo chiarisce in modo esemplare il direttore della Kusthal Charlottenborg: “Non sono solo lesi i diritti dell’artista, ma anche del museo che ha commissionato l’opera. Se non si riconosce la violazione, l’arte è destinata a morire”. Parole dure, in un intervento che non ha temuto, anche qui, la reazione di eventuali sponsor privati legati all’istituzione che dirige. Sarebbe possibile in Italia?

Ai Weiwei contro la Skandinavisk Motor Co. A/S. Ulrik Drejsig e Anne Marie Sannemand Kjøller. Disegno di Gianluca Costantini

Ai Weiwei contro la Skandinavisk Motor Co. A/S. Ulrik Drejsig e Anne Marie Sannemand Kjøller. Disegno di Gianluca Costantini

ETICA E VIOLAZIONE

Mentre Gianluca Costantini disegna i volti e soprattutto la posizione dei piedi di chi interviene, viene naturale interrogarsi sul livello di correttezza etica che richiediamo ai mecenati che devolvono in favore della cultura. Non diciamo dell’uso del materiale degli artisti. In alcuni periodi gli sponsor diventano con il loro marchio addirittura il monumento: chi non ricorda il Colosseo rivestito di pubblicità?
Ma ormai quegli architetti e artisti sono morti e sepolti. Non possono certo tornare e chiedere conto di quello che il neocapitalismo consumista considera naturale e quasi dovuto.
Il fotografo ed editor della rivista alla gogna farfuglia: “Non sono mai entrato in quel museo”. Sarà vero? Ma soprattutto, diviene una giustificazione? E così nella requisitoria finale l’avvocata della difesa rincara la dose: “In fondo, l’immagine non ha avuto effetti di marketing. Pochi in Danimarca sapevano di quella mostra”. L’imbarazzo nella nutrita platea cresce, soprattutto tra i danesi. La difesa sarà la nostra ignoranza? O pensiamo che uno degli artisti più influenti e conosciuti al mondo proprio qui sia una quisquilia?
Nell’aula non si può né registrare né fotografare. Così i piedi sicuri e piantati in terra dell’amministratore delegato saranno per sempre immortalati solo dallo sguardo di Costantini. In quelle linee vediamo molto del dialogo impossibile tra le corporation e la società civile. Tra il capitale che si è trasformato in un drago politico capace di fare accordi con chiunque a favore di una crescita continua e geometrica, ma incapace di cogliere dove può essere celata un’opera d’arte.
Questa sorta di ottusità culturale, connaturata a questo sistema di produzione e consumo, è incarnato in questi piedi e queste scarpe. E anche in quel sorriso sornione che Ai Weiwei ha mantenuto durante la lunga requisitoria della difesa, quando sostanzialmente gli si stava dicendo: “Beh, sai, non vai bene per vendere automobili”. La corte si è presa 72 giorni per decidere, quindi il verdetto sarà pubblicato a luglio. Intanto l’artista cinese sembra non interessato alla vittoria, ma piuttosto al dibattito pubblico sul tema: quale è il rapporto tra corporation e libertà di espressione? Dove finisce, se finisce, il lavoro dell’artista? E tutta una serie di dilemmi che sono nel cuore selvaggio del rapporto tra arte e capitale.

Elettra Stamboulis

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Elettra Stamboulis

Elettra Stamboulis

Scrittrice e curatrice indipendente. Laureata in Lettere all'Università di Roma “La Sapienza”, ha perfezionato i propri studi sulla museografia all'Istituto Albe Steiner di Ravenna. Ha conseguito un Master di secondo livello all'Università di Roma Tre. Collabora con numerose testate (Linus,…

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