Biennale di Venezia. Oggetti e memoria

Una lettura della Biennale di Venezia curata da Ralph Rugoff attraverso il tema universale della memoria esplicitato dagli oggetti.

Abitiamo in un mondo in cui tutto ciò che siamo è rivelato in un delirio collettivo fatto di avvenimenti storico-sociali e tragedie umane, spesso raccontate in un freddo resoconto di cronaca giornalistica o definite attraverso un linguaggio globalizzato e distaccato, esito di fake news, informazioni “epidermiche” e immagini strazianti. Notizie che subiamo nella totale indifferenza, riducendo ogni immagine percepita a un numero, che avvilisce ogni principio morale, trasportandoci da una realtà quotidiana in un reality anomalo e poco concreto.
In questo contesto, a svolgere un ruolo fondamentale è sicuramente l’arte, poiché con il suo linguaggio universale rappresenta non solo la documentazione di un periodo storico o di una realtà, ma riesce a trascinare e scuotere la società dal sonno dell’impassibilità nella quale sembra essere inabissata. Tutti questi concetti paiono essere racchiusi nel titolo, May You Live In Interesting Times, di questa 58esima Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia, scelto dal curatore newyorchese Ralph Rugoff, il quale, nel testo di presentazione dichiara: “L’arte può offrire una guida che ci aiuti a vivere e pensare in questi ‘tempi interessanti’”.

I NOSTRI TEMPI “INTERESSANTI”

Nella grande mostra divisa in due spazi, quello all’Arsenale e quello del Padiglione Centrale ai Giardini, gli artisti invitati da Rugoff, pur mostrando aspetti diversi della loro pratica, raccontano attraverso i loro lavori il posto dal quale provengono, ma allo stesso tempo affrontano con i loro “oggetti originari” tematiche contemporanee globali che riflettono su tutti gli aspetti incerti e infelici della nostra attuale esistenza.
Alcune delle opere selezionate, infatti, testimoniano l’importanza della sedimentazione di quei processi che conosciamo come “memoria”. Oggetti che, nella loro natura rievocativa, in attesa di essere risvegliata, rappresentano una prova tangibile di una tragedia o di una storia che in più modi conosciamo o di cui siamo “superficialmente” consapevoli.

58. Biennale d’Arte di Venezia. Lee Bul, Aubade V, 2019. Photo Italo Rondinella. Courtesy La Biennale di Venezia

58. Biennale d’Arte di Venezia. Lee Bul, Aubade V, 2019. Photo Italo Rondinella. Courtesy La Biennale di Venezia

OGGETTI E MEMORIA PER NON DIMENTICARE

Queste tematiche trovano una perfetta manifestazione visiva nel lavoro Barca Nostra (2018-19), carcassa di una nave che nel 2015 affondò nel Mediterraneo e su cui morirono circa 1000 migranti, portata a Venezia dall’artista svizzero Christoph Büchel. Il relitto, collocato nel bacino dell’Arsenale, all’altezza della grande gru metallica ottocentesca, nella sua scheletrica forma arrugginita e rovinata dal tempo pone il pubblico davanti alla cruda realtà e lo invita a riflettere su questo “naufragio collettivo”, nonché sulla strage e le difficoltà di chi scappa.
Un oggetto, non più “rifiuto”, ma esempio di una tragedia umana ed emblema di chi si avventura in mare per cercare di salvarsi dalla guerra e dalle terribili condizioni di vita nel proprio Paese di provenienza. Per di più, diviene simbolo socio-politico dei nostri tempi, di cui tutti noi facciamo parte. Osservare questo oggetto-bara ci rende consci ancora una volta dello “scandalo riconosciuto di una migrazione” che non si può e non si deve dimenticare.
Altro oggetto, non creato dall’artista e trasportato appositamente a Venezia, è il lavoro dal titolo Muro Ciudad Juárez (2010) di Teresa Margolles.  L’opera, esposta nella sala principale del Padiglione Centrale nei Giardini, è un muro in blocchi di cemento crivellato di buchi di pallottole e sormontato da un groviglio di filo spinato, prelevato dalla Margolles davanti a una scuola pubblica di Ciudad Juárez, in Messico, di fronte alla quale morirono alcune persone durante una resa di conti tra esponenti del crimine organizzato.
Come in Barca Nostra di Büchel, l’artista messicana non dipinge o racconta la violenza della morte, ma pone il pubblico davanti all’oggetto reale, immagine di una recente tragedia, generando un cortocircuito temporale tra passato, presente e futuro.
Anche l’installazione dell’artista coreana Lee Bul, dal titolo Aubade V (2019), è realizzata con i metalli recuperati dalle postazioni di protezione smantellate nella zona demilitarizzata (DMZ) tra Nord e Sud Corea. Il risultato dell’opera esposta all’Arsenale è una torre-faro che trasmette messaggi a LED che rimandano all’inclinazione assiale della Terra, ma allo stesso tempo suggeriscono un moderno monumento incentrato sulla ostilità e sulla questione storica coreana.

58. Biennale d’Arte di Venezia. Augustas Serapinas, Vygintas, Kirilas & Semionovas, 2018. Photo Francesco Galli. Courtesy La Biennale di Venezia

58. Biennale d’Arte di Venezia. Augustas Serapinas, Vygintas, Kirilas & Semionovas, 2018. Photo Francesco Galli. Courtesy La Biennale di Venezia

AUGUSTAS SERAPINAS

Infine, anche per il giovane lituano Augustas Serapinas l’utilizzo di oggetti della “memoria”, la connessione con il luogo e il contesto storico di provenienza risultano elementi chiave per la creazione della sua opera Vygintas, Kirilas e Semionovas (2018), esposta nel Padiglione Centrale ai Giardini.  Un lavoro che svela, attraverso i “souvenir” di scarto provenienti dalla defunta centrale nucleare di Ignalina, nella città di Visaginas, la complessa situazione della Lituania rispetto all’energia nucleare. L’essenza di questa installazione risiede nelle storie umane infuse nelle componenti fisiche e nella memoria che l’oggetto reca in sé. In particolare Serapinas racconta ed esibisce queste problematiche in un modo quasi commovente, se si pensa all’allestimento dell’opera avvenuta per merito di tre bambini di Visaginas, le cui famiglie sono legate alla centrale elettrica, chiamati dall’artista a concludere l’opera a Venezia.
In conclusione, le tematiche toccate dagli artisti sono insite negli oggetti di cui si sono serviti per ideare le opere di questa Biennale, attraverso le quali vogliono instaurare un diverso e fertile dialogo con chiunque avrà modo di osservarle. Come scrive Ralph Rugoff, “l’aspetto più importante di una mostra non è ciò che accade in uno spazio espositivo, bensì il modo in cui il pubblico utilizza l’esperienza in un secondo momento, per ripensare realtà quotidiane da prospettive ampliate”.

Giovanni Viceconte

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Giovanni Viceconte

Giovanni Viceconte

Giovanni Viceconte (Cosenza, 1974), è giornalista e curatore d’arte contemporanea. Si laurea presso l’Accademia di Belle Arti, nel 2004 consegue il Master in Organizzazione Eventi Culturali e nel 2005 il Master in Organizzazione e Comunicazione delle Arti Visive presso l’Accademia…

Scopri di più